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Emiliano Battazzi
Brighella e Balanzone
05 dic 2016
05 dic 2016
Antonio Conte e Pep Guardiola sono al momento i due migliori allenatori al mondo. Ecco come il tecnico italiano ha vinto la loro prima sfida.
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Emiliano Battazzi
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L’eterna disputa tra caso e programmazione, trova nel calcio un’esaltazione senza pari: praticamente ogni partita può essere vista secondo queste due visioni opposte. Da un lato, è solo la somma degli eventi a determinare un risultato finale che segue una logica pressoché irrazionale («Se De Bruyne non avesse sbagliato quel gol»); dall’altro, gli eventi si piegano e si incurvano fino a diventare totalmente determinati da quello che si è studiato, elaborato e implementato durante la settimana e nella partita specifica. Una dialettica di cui abbiamo bisogno per capire, per rassicurarci o per elaborare il risultato di una partita secondo i nostri schemi.

 

Allo stesso modo, abbiamo bisogno di etichette, di definizioni, di maschere, come nella commedia dell’arte: e così Guardiola è un Balanzone, presuntuoso e pedante, ideologo del gioco di posizione da cui non può deviare mai. Il suo avversario Conte è un Brighella vispo e furbo, sempre pronto a creare una trappola all’avversario, alfiere del calcio all’italiana fatto di difesa posizionale perfetta e transizioni devastanti.
In un mondo sempre più sofisticato la richiesta di semplificazione è ormai pressante, e il calcio non fa eccezione: questa narrazione si è diffusa anche dopo la vittoria del Chelsea a Manchester. Ma la modernità si fa sempre più liquida, il calcio pure e gli schemi che usavamo una volta non funzionano più.

 

Nella classica conferenza stampa prepartita, Guardiola si era sbilanciato nei confronti del suo avversario: «Conte è uno dei migliori allenatori al mondo, forse il migliore in questo momento». La partita tra Manchester City e Chelsea era quindi anche la sfida tra i due migliori allenatori al mondo, in questo momento: e sono i migliori perché hanno capito come essere forti nel calcio liquido. I principi di gioco definiscono la base indissolubile della squadra, su cui costruire una strategia di gioco da adeguare di volta in volta con i vari piani di gara.

 

Manchester City e Chelsea si sono sfidati in campo cambiando continuamente pelle, utilizzando tutti i possibili strumenti del calcio moderno, cercando di essere proattivi ma interpretando al meglio le fasi reattive. Una partita bella ed emozionante, con vari piani tattici, con grandi calciatori protagonisti, nel bene e nel male: gli allenatori contano, soprattutto quando sono i migliori.

 

 



 

Per uno strano caso calcistico, i due allenatori si affrontavano per la prima volta: Conte ha mantenuto il 3-4-3, modulo ritenuto alla base dei sette successi consecutivi in Premier League, con la sola novità di Fabregas a centrocampo, al posto dell’infortunato Matic. Pep Guardiola ha invece scelto di cambiare e passare alla difesa a tre, usata in pochissime occasioni, per non rischiare mai l’inferiorità numerica in nessuna zona del campo e scardinare la difesa dei “Blues” costringendola ad allargarsi. La scelta decisiva del match è stata quella di schierare due esterni di fascia con spiccata tendenza offensiva: Navas a destra e Sané a sinistra, con De Bruyne e Silva ad occupare gli half-spaces. L’idea di rispondere al Chelsea con lo stesso sistema di gioco d’altronde sembrava aver funzionato con il Tottenham di Pochettino, anche se solo per un tempo.

 


La pressione altissima del Chelsea nella prima mezzora: nessun giocatore è nella propria metà campo e il City prova una transizione rapida nello spazio. Non proprio il classico calcio all’italiana.



 

Nella prima azione della partita si è capito subito che il Chelsea non voleva attendere: un sistema di pressione alta nella metà campo del City, con innesco sul passaggio laterale del difensore centrale a quello interno, rendeva davvero difficile l’inizio azione per la squadra di Guardiola. L’aggressività del Chelsea è durata circa 30 minuti: l’idea di fondo era di spostare il match sui duelli individuali, viste le caratteristiche di intensità e fisicità della propria squadra. Un rischio molto grande per Conte, considerato che la linea difensiva si trovava spesso ad accorciare fino al centrocampo, creando profondità per l’avversario: non la migliore situazione di gioco per difensori come Cahill, David Luiz e Azpilicueta. A questo strumento di recupero alto del pallone, Conte ha combinato ovviamente anche i classici del suo repertorio: l’attacco contemporaneo in ampiezza e profondità, la verticalizzazione immediata sin dalla difesa, tanto che due dei tre gol del Chelsea nascono da passaggi lunghi dalla propria trequarti, e la miglior occasione del primo tempo è un lancio stile Pirlo di Fabregas per Hazard. Il belga ha scavalcato il portiere e a porta vuota ha evitato di calciare con il piede debole, temendo il recupero del difensore sulla linea: la dimostrazione pratica dell’importanza della solidità mentale per essere davvero tra i migliori al mondo. Hazard e Pedro si sono costantemente situati alle spalle della linea di centrocampo avversaria per creare la possibilità di ricevere dietro le linee; sia David Luiz che Fabregas hanno permesso di gestire il pallone in modo perfetto, cercando sempre la superiorità numerica alle spalle della linea avversaria, l’obiettivo primo del gioco di posizione. Conte sa usare tutti gli strumenti a disposizione per un allenatore nel 2016, altro che vittoria del gioco all’italiana.



 

 

Inizio azione impossibile per il City.



 

In difficoltà nel far salire il pallone dalla propria difesa, quindi con il cardine del proprio gioco bloccato, il Manchester City è andato in difficoltà: Bravo è stato costretto a ben 11 lanci lunghi (quasi il triplo della sua media per 90 minuti), la soluzione peggiore per una squadra che propone come riferimenti offensivi Agüero, Silva e De Bruyne. Il piano gara di Guardiola prevedeva un sovraccarico sulla fascia destra per poter aggirare la difesa a tre del Chelsea: si puntava sullo scarso dinamismo del trio Fabregas, Marcos Alonso e Cahill, oltre a costringere gli ultimi due a uscite pericolose dalla propria zona. L’idea è fondamentalmente corretta: come si scardina una difesa a tre che chiude benissimo gli spazi di mezzo e che lascia poca profondità? Si passa intorno, mettendo spesso palloni in diagonale (ci pensa Silva) ad aggirare i difensori, con gli inserimenti dei centrocampisti in area difficili da assorbire. Inoltre, in fase offensiva il City sembrava schierarsi con un 3-2-5: sovraccaricare a destra era anche un modo per isolare Sané nell’uno contro uno sull’altra fascia, nell’eterna sintesi degli opposti di cui Guardiola è maestro.

 



Il piano di Guardiola: densità sulla destra, due uomini già a centro area e due inserimenti da dietro sul cross di De Bruyne. Cahill fa segno a Pedro di andare sul belga, perché ha paura ad uscire: così il City riesce ad ottenere la superiorità numerica sulla fascia.



 

In fase di non possesso, invece, il City ha sorpreso ancor di più: sembrava a volte persino attendere, quasi a voler tirare fuori i difensori del Chelsea per potersi creare quegli spazi che altrimenti sembrano introvabili. Anche questa è stata una dichiarazione di principio: è la filosofia offensiva che determina anche le modalità difensiva.
Contro una difesa posizionale così forte, l’arma individuata da Guardiola è quella di portare gli inserimenti in area e di provare spesso il cross. In alcune occasioni è addirittura De Bruyne il giocatore più largo a destra: si susseguono i movimenti interno-esterno con Navas, con Silva che diventa una specie di riferimento centrale molto vicino ad Agüero, a sua volta sempre mobile per non dare un riferimento centrale. Il City sovraccarica talmente tanto la fascia destra (il 55% dei tocchi nella metà campo avversaria nel primo tempo), che alla fine il gol non può che nascere da quella zona: l’ennesimo cross di Navas, perfettamente eseguito per aggirare la linea difensiva, viene trasformato in gol dallo sciagurato intervento di Cahill, che si lancia con il piede destro invece di rinviare con il sinistro, come il suo posizionamento avrebbe richiesto. Solo nel primo tempo, il City di Guardiola ha effettuato ben 19 cross e 30 passaggi lunghi, mentre il Chelsea ha recuperato più volte il pallone nella metà campo avversaria, anticipi compresi. Il calcio moderno è elaborazione continua di strumenti tattici, Guardiola e Conte sanno come interpretarlo senza timore.

 

 



 

La partita del Manchester City ha vissuto di circa 30 minuti di grande calcio, a cavallo tra primo e secondo tempo. Mano a mano che il Chelsea si limitava ad attendere con due linee molto vicine, limitandosi a chiudere ogni linea di passaggio centrale, i padroni di casa crescevano ed elaboravano soluzioni di gioco. Mai lasciare per troppo tempo il pallone a una squadra di Guardiola, perché il suo stile di gioco è una sorta di rete neurale artificiale: i giocatori iniziano ad adattarsi in base alle informazioni del campo e a trovare le soluzioni migliori per creare superiorità numerica. I “Citizens” nel primo tempo sono riusciti a creare pericoli sia alle spalle di Moses (splendido third pass di Silva per Sané, che al volo serve Agüero, il cui tiro destinato al gol si infrange sulle gambe di Azpilicueta), sia alle spalle di Alonso. Alla fine il vantaggio, arrivato al termine dei primi 45 minuti, sembra quasi una naturale conseguenza di questo crescente adattamento alla partita.

 

Nel secondo tempo l’espressione calcistica del Manchester City ha raggiunto il suo vertice, arrivando a produrre quasi un’occasione da gol al minuto: il Chelsea persino si impegna, con errori gravissimi in disimpegno (Alonso-Cahill-Courtois quasi regalano un gol ad Agüero), ma i padroni di casa non riescono a concretizzare. Sia con i soliti cross dalla destra che con veloci transizioni offensive (Sané che serve De Bruyne in area), Guardiola evidenzia un grande problema della squadra di Conte: quando si espone troppo nella metà campo avversaria, non riesce a trovare i tempi per chiudere le transizioni difensive, in particolare con un centrocampista come Fabregas in difficoltà nelle coperture preventive. Insomma, in certi frangenti di gioco il Chelsea deve per forza recuperare in alto il pallone. Proprio da una transizione offensiva, Navas serve De Bruyne, che nell’area piccola e a porta vuota colpisce di sinistro, mandando il pallone sulla parte alta della traversa. Da quel momento, la partita si trasforma: il City perde la sua compostezza posizionale e si lascia travolgere dagli eventi. Inizia la “Fase Premier”, cioè quel momento, più o meno lungo, che si verifica in ogni partita di Premier League, in cui le due squadre si allungano,

e cominciano un duello fatto di battere e levare. Non proprio il terreno ideale per una squadra che ha bisogno di dominare pallone, tempi e posizioni.

 

Il grande merito del Chelsea durante la fase di dominio degli avversari è di non essere sparito dal campo, ma di aver continuato a creare pericoli: l’attacco contemporaneo in profondità e ampiezza è risultato comunque molto complicato da difendere per il City. Navas è stato spesso costretto a scalare da terzino destro, con tempi approssimativi, mentre dall’altro lato Sané è andato in difficoltà costante contro Moses.

 

Il Chelsea ha vinto la partita in verticale, dimostrando di avere una qualità che di solito appare decisiva per la vittoria della Premier League: saper gestire al meglio le fasi di intensità sregolata, le fasi Premier appunto. La difesa a tre, infatti, se non si alza troppo, garantisce una solidità quasi indistruttibile per la copertura della zona centrale; allo stesso tempo, la capacità di giocare in campo lungo è esaltata dalla presenza di giocatori come Diego Costa e Hazard (e anche Pedro, poi uscito per infortunio, e Willian, il suo sostituto). Il primo è probabilmente il prototipo del centravanti perfetto per Conte: un uomo che attacca costantemente la profondità, conosce alla perfezione il set di movimenti della punta classica, sa abbassarsi a ricevere tra le linee, vince i duelli individuali, è devastante in transizione, e segna tanto.



 

 

Il City non chiude mai bene sul portatore: qui Fabregas ne approfitta e lancia in profondità per il classico movimento opposto delle punte (Hazard si abbassa, Costa attacca lo spazio). Otamendi scappa indietro perché è un lancio a palla scoperta, ma si fa scavalcare. E poi nessuno ha il senso dello spazio di Diego Costa.



 

Il pareggio del Chelsea è nato da questa capacità di attaccare in verticale, con Fabregas che dalla sua metà capo ha servito il movimento di Costa in profondità. Si tratta di movimenti codificati, che abbiamo visto con la Juve, con la Nazionale italiana, e che sono ancora profondamente difficili da difendere per gli avversari: in altre occasioni il lancio lungo alle spalle della linea difensiva non è riuscito di pochissimo. Insomma, non è palla lunga e pedalare, ma è la ricerca dei limiti di una difesa, che come una coperta non può allargarsi contemporaneamente in orizzontale e in verticale.

 

Dopo il pareggio, il Chelsea ha dimostrato la sua miglior capacità di adattamento al contesto: quando i ritmi salgono e le squadre si scollegano, la squadra di Conte diventa un colosso, capace di colpire con transizioni velocissime, orchestrate da un tridente che negli spazi non ha rivali in Premier. E così Diego Costa ha servito il contropiede di Willian, mentre Marcos Alonso ha lanciato lungo per il 3-1 di Hazard.




 

 

Fernandinho è troppo lento nel chiudere su Hazard e poi Otamendi si fa fregare di nuovo dalla maestosa propriocezione di Diego Costa. A quel punto il gol di Willian sembra quasi inevitabile.



 

Nella sfida tra i due migliori allenatori del momento, ha vinto quello che ha saputo mantenere la solidità nel caos: il Chelsea di Conte surfava negli spazi ampi concessi dalle scalate sbagliate di Sané, con Willian che saltava tutti in profondità. La vittoria “italiana” non è legata al fatto che i “Blues” abbiano segnato in contropiede, ma alla capacità superiore che Conte ha avuto di adattarsi al contesto, una caratteristica diffusissima tra i nostri allenatori; ma rispetto a quasi tutti gli altri, Conte ha una serie di principi di gioco molto solidi, che attingono da diverse scuole, e che lo rendono semplicemente un grande allenatore moderno. All’ottava vittoria consecutiva, diventa difficile capire se il Chelsea stia già andando oltre i propri limiti: ma le sue caratteristiche British rimangono e gli permetteranno di prendere il sopravvento in ogni partita in un determinato momento. Il passaggio alla difesa a tre ha determinato questa possibilità in modo chiaro: nei momenti di battere e levare, il Chelsea getta l’ancora dei tre centrali e lancia le sue moto d’acqua offensive nel mare aperto.

 


A pochi minuti dalla fine, la difesa a 5 del Chelsea non è bassa e le due linee sono corte: compattezza nel momento chiave, senza rinchiudersi.



 

Il Manchester City cade per la prima volta in casa in questa stagione, perde contatto con il vertice (meno 4 dal Chelsea) e si fa scavalcare dall’Arsenal. Ancora una volta è apparso chiaro che il progetto di Guardiola è controculturale in modo quasi estremo: implementare un gioco di posizione in Premier è difficile ogni oltre misura, sia per ritmi che per stili di gioco avversari. Inoltre, la rosa del City continua a suscitare dubbi sull’adattabilità ai principi del suo allenatore: nel rombo di costruzione arretrata, il migliore nel tagliare le linee e nel gestire il pallone sembra addirittura il portiere Bravo. A causa di queste difficoltà, il City perde compattezza anche nelle altre zone del campo: e così invece di usare il pallone per disordinare l’avversario, finisce per disordinare sé stesso. Non è un semplice problema di transizioni offensive o di una generica “fase difensiva” errata: il City attacca male, quindi difende male. I “Citizens” hanno effettuato quasi 200 passaggi in più rispetto agli avversari, ma nel primo terzo di campo i dati quasi coincidono (solo 8 passaggi in più): significa che la squadra di Guardiola non è riuscita a costruire la sua azione con calma, partendo dal basso. La calma inoltre sembra averla persa anche Pep, che durante la partita si sbracciava, ridicolizzava l’arbitro e chiedeva l’aiuto del pubblico: di nuovo le maschere dei due allenatori si sono intrecciate. Ma le squadre di Guardiola hanno soprattutto bisogno di razionalità, e alla fine il City sembrava fuori di sé, con le espulsioni assurde di Agüero e Fernandinho. Prima della fine dell’anno il City è atteso da due partite cruciali, contro l’Arsenal in casa e contro il Liverpool in trasferta: Guardiola farà bene a trovare subito le contromisure per mantenere la solidità della sua squadra, altrimenti rischia di essere travolto dal disordine.

 

 

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