È l'estate del 1998, mi trovo allo stadio del baseball da poco inaugurato a Palermo, a poche centinaia di metri dalla casa di famiglia dove ancora vivo, e sto guardando la partita tra Canada e Corea del Sud, valida per il campionato del mondo. In mano ho un grosso foglio di carta preso all'ingresso su cui compilo al termine di ogni azione il cosiddetto “score”, un complesso e codificato sistema di numeri e simboli che rappresenta tutte le azioni della partita. Quello ufficiale è tenuto dai “classificatori”, e da lì si tirano fuori le statistiche di cui si nutre il baseball. Quel pomeriggio, io compilo lo score per puro piacere, e non sono certo di farlo bene: ci sono dei corsi specifici per fare il classificatore e non so se sono davvero in grado di distinguere in una situazione dubbia una battuta valida da un errore della difesa. D'altronde, mi interesso al gioco da poco tempo, ma se sto tenendo lo score invece di guardare semplicemente la partita è perché sono rimasto invischiato anch’io nella passione per il baseball.
Il baseball è lo sport della memoria americana. Philip Roth scrisse il suo The Great American Novel utilizzando le gesta degli atleti della Patriot League di baseball, una terza lega americana dopo la American e la National, cancellata dalla memoria. I cimeli sono parte integrante della cultura del baseball e le statistiche raccolte sin dagli albori consentono continui confronti tra i campioni di diverse epoche. Persino l’estetica (cappellino, casacca, pantaloni lunghi) sempre uguale a se stessa e apparentemente anacronistica rafforza il legame tra baseball e memoria collettiva. Assieme ai Paesi Bassi, l’Italia è la grande potenza europea del baseball: ha vinto il campionato europeo per ben 10 volte (i Paesi Bassi 23), rimanendo fuori dal podio solo in 4 edizioni su 35 (solo Spagna e Belgio, una volta a testa, sono riusciti a interrompere il dominio delle nazionali italiana e olandese). Tuttavia, il baseball in Italia è uno sport minore: gli ultimi dati disponibili nel sito del CONI informano che la FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball) nel 2017 aveva 16717 tesserati e 281 società affiliate. Per capirci, nello stesso anno in Italia c’erano più di un milione di calciatori tesserati e quasi 13000 società di calcio. Anche il bridge e l’arrampicata sportiva avevano più tesserati e società del baseball. Troppo poco, insomma, per costruire una memoria diffusa. Localmente, però, per tante piccole città italiane, il baseball ha rappresentato un’esperienza sportiva molto importante, capace di costruire un’identità condivisa.
Se 30 anni fa foste capitati in un pomeriggio di un giorno qualunque a Ustica, la parte emersa di un vulcano sottomarino spento, grande poco più di 8 chilometri quadrati e posta a circa 70 chilometri a nord-ovest della città di Palermo, invece di trovare ragazzini impegnati a giocare a calcio vi sareste sorpresi a vederli giocare a baseball. La storia è raccontata nel bel documentario Gli anni del diamantedi Stefano e Mathia Coco, ex giocatori di baseball a Ustica e videomaker, premiato per la migliore sceneggiatura all’edizione del 2017 dello Sport Film Festival. Il documentario prova a tutelare la memoria del baseball a Ustica, che rischia altrimenti di essere pian piano perduta, e ricostruisce le tappe di una lunga e imprevedibile avventura.
Come tutto ebbe inizio
Bruno Beneck è stato un uomo dalle mille idee e dalla vita movimentata - un personaggio che merita un grosso spazio nella storia dello sport italiano. Nel 1936, a 21 anni ha raggiunto Mogadiscio come aspirante ufficiale dell’esercito italiano nella campagna d’Etiopia e dopo 4 anni in Africa è tornato in Italia dove ha lavorato per l’EIAR, l’ente precursore della RAI. Richiamato dall’esercito nel 1940 ha frequentato la Scuola Ufficiali a Parma, dove ha trovato il tempo di giocare come centravanti in Serie C con la squadra locale.
Dopo l'8 settembre si è trovato a militare tra le file partigiane, impegnato a tenere i collegamenti tra il Comitato di Liberazione Nazionale a Roma e l’esercito americano stanziato a Nettuno. Ed è stato proprio a Nettuno che, guardando i militari americani giocare, si è innamorato del baseball. Alla fine della guerra, dopo un passaggio alla SIPRA, la società pubblicitaria legata alla EIAR, si è messo in proprio, ottenendo un successo tale che la Metro Goldwyn Mayer lo assume per curare la propria comunicazione e la pubblicità dei suoi film in Italia, che portò avanti in maniera rivoluzionaria per l’epoca. Lasciata la MGM, è diventato autore televisivo, lavorando anche per un paio d’anni, all’inizio degli anni settanta, alla produzione della Domenica Sportiva.
Nel frattempo, la sua passione per il baseball lo ha portato a fondare, a Torino, la squadra ”Juventus 48” e a promuovere l’unificazione delle due associazioni di baseball esistenti da cui nasce la FIPAB (Federazione Italiana Palla a Base), di cui nel 1968 è diventato presidente, ribattezzandola con il nome di FIBS. Nel 1969, Beneck ha organizzato il primo campionato di softball femminile in Italia, poi è diventato Presidente della Federazione Europea di baseball e vice Presidente di quella mondiale diventando il principale promotore dell’introduzione del gioco alle Olimpiadi.
Contemporaneamente, ha trovato il tempo di diventare una delle figure più importanti per l’introduzione del football americano in Italia, tanto da meritare un posto nella Hall of fame nazionale: nel 1971 ha creato la FIFA (Federazione Italiana Football Americano) che non è riuscito ad affiliare al CONI per le resistenze della federazione rugby che vedeva nel nuovo sport un possibile concorrente. Ha fondato la storica squadra dei Gladiatori Roma, organizzato tornei e riuscito finalmente a creare la LIF (Lega Italiana Football americano) nel 1979, che ha organizzato i primi campionati di football americano in Italia.
Nel 1971 Bruno Beneck è a Ustica in vacanza, nell’albergo gestito da Vito Ailara. Vede i ragazzini dell’isola giocare in piazza ai quattro cantoni e lanciare sassi da fare rimbalzare sul pelo dell’acqua. Nella sua fervida immaginazione, spinto dall’incessabile voglia di diffondere il baseball, ciò gli basta per sognare un futuro dello sport a Ustica: lo propone a Vito Ailara, passando un’intera nottata a riempire fogli di carta per spiegargli i meccanismi di questo strano sport. Dopo qualche tempo spedisce a Vito Ailara un rifornimento di mazze, guantoni e palline. Insieme al pacco manda a Ustica il tecnico federale, Gianni Sbarra, vincitore con la Lazio del primo campionato italiano nel 1949 e storico scenografo dei fratelli Taviani.
E fu così, che i ragazzini di Ustica cominciarono a giocare a baseball.
I ragazzini usticesi pronti a partecipare ai Giochi della Gioventù.
Dopo i primi allenamenti, nel febbraio 1972, arriva anche il momento della prima partita, un match di esibizione inserito nella cerimonia inaugurale dei Giochi della Gioventù da giocare ad Agrigento. L’emozione è tanta: non solo perché è il loro primo match ma anche perché per alcuni dei ragazzi si tratta di una delle poche occasioni di lasciare l’isola. Giunti a Palermo ai ragazzi viene acquistata una tuta bianca su cui vengono cuciti i numeri e si prosegue per Agrigento dove, imprevedibilmente, alla loro prima partita in assoluto, Ustica vince contro la squadra di casa. Il ritorno a casa della squadra è trionfale. Tutto il paese aspetta i ragazzini al porto, un rituale che si ripeterà spesso negli anni.
In primavera c’è l’appuntamento con i Giochi della Gioventù e i ragazzi di Ustica (guidati da altri tecnici federali inviati sull’isola da Beneck) sconfiggono agevolmente Palermo, Catania e Messina e diventano campioni regionali. Nelle finali nazionali di Pesaro, gli usticesi si fanno valere e guadagnano, solo dopo pochi mesi che il baseball è stato introdotto sull’isola, la medaglia di bronzo nazionale. Il treno è ormai partito e non si può più fermare.
La RAI nel 1972 produsse questo breve documentario sull’impresa dei ragazzi di Ustica ai Giochi della Gioventù.
La ragazza del baseball
Il 19 settembre del 1999 mi sveglio molto presto, vado al porto di Palermo e mi imbarco sull’aliscafo che mi porta a Ustica. Alle 08:00 del mattino sono sull’isola. Prendo un caffè al bar e vado verso il campo di baseball. È l’ultima giornata del campionato di softball di A2 e l’Ustica Softball Club affronta il Woodstock Capannori, squadra della provincia di Lucca.
Quella domenica mattina Ustica e Woodstock si giocano la promozione in A1: chi vince viene promosso, chi perde rimane in A2. Gli spalti sono pieni e il tifo per Ustica è assordante. La partita è molto tirata e le giocatrici sono contratte: poche valide, prevalgono le difese, rarissime le occasioni per segnare un punto. Alla fine dei 7 inning regolamentari la partita è ferma sullo 0-0 iniziale. Si va agli extra-inning, vince la prima squadra che si trova in vantaggio dopo un turno completo di attacco e difesa. In battuta per Ustica va Angela Palmisano che riesce a conquistare la prima base grazie a una base su ball, quattro lanci fuori dalla zona di strike del lanciatore avversario. Giunta in prima base, contro le indicazioni del tecnico, prova a rubare la seconda, ma viene messa in trappola dalle avversarie: rimane quindi nella terra di nessuno tra la prima e la seconda base pronta a essere toccata ed eliminata da una delle due difendenti. L’azione pare a tutti finita, ma miracolosamente Angela riesce con furbizia ed agilità a conquistare la seconda base.
Stabilitasi in seconda, con la prima base vuota, sulla successiva battuta in campo di una compagna riceve dal suo allenatore l’ordine di rimanere in seconda, ma lei disattende la consegna e prova a conquistare la terza base. Sul tentativo di eliminazione delle avversarie, la pallina la colpisce sul caschetto e nel disordine creato da quell’impatto imprevedibile riesce addirittura, dopo avere toccato la terza base, a raggiungere la casa base e a segnare il punto della vittoria che vale la promozione in serie A1.
Le ragazze promosse in A1.
Sono andato a Ustica a vedere la partita perché la mia ragazza di allora, Margherita, è la terza base dell’Ustica Softball Club, che milita nel campionato nazionale di A2. La sua vita si divide tra gli studi universitari a Palermo, l’azienda agricola di famiglia sull’isola, le partite che a weekend alterni la portavano in giro per l’Italia e gli allenamenti, che vengono svolti un po’ a Ustica e un po’ a Palermo, dove molte ragazze passano buona parte della settimana per motivi di studio. È grazie a lei che ho cominciato a seguire il baseball e il softball.
Margherita ha cominciato a giocare a softball da bambina. Il softball è una variante del baseball e le principali differenze consistono in una palla più grande, in un diamante più piccolo e, in fase di lancio, il rilascio della palla è consentito solo di sottomano e all'altezza dell'anca del lanciatore. E se Margherita ha potuto giocare a softball è stato merito di Antonella Licciardi (oggi tecnico UEFA A di calcio e allenatrice della squadra di calcio femminile del Palermo), che, in quegli anni curava anche la preparazione atletica della squadra di softball.
La piazza principale di Ustica è in pendenza, quindi si preferisce giocare sul palchetto, un palco posto in cima alla piazza, davanti la chiesa e abbellito da 4 ficus, sempre pieno di ragazzini impegnati in lanci e battute.
Quando Antonella era adolescente, il baseball a Ustica era ormai piuttosto diffuso. Nel 1977 tutta la comunità usticese è coinvolta in qualche modo nello sport: sono state già organizzate le squadre giovanili, è stata iscritta la prima squadra al campionato federale di C2 e i ragazzi continuano a partecipare con successo ai Giochi della Gioventù. Le squadre giocano e si allenano in uno spiazzo in terra pieno di pietre ed erba secca su cui sono disegnate le linee del diamante. Anche quell’anno Ustica giunge alle finali nazionali dei giochi, che si svolgono a Napoli: in prima base gioca la quattordicenne Antonella Licciardi, che ha partecipato all’intera fase regionale.
Le altre squadre partecipanti, appellandosi al regolamento, poco specifico sul punto, chiedono che Antonella venga estromessa da una competizione che sembra riservata solamente ai ragazzi e alla fine viene esclusa. Disperata e delusa, rimane a guardare i suoi compagni giungere al secondo posto dietro i friulani di Ronchi dei Legionari e al momento della premiazione Antonella viene invitata a ricevere, anche lei, la medaglia di argento dalle mani di Bruno Beneck. Con un gesto plateale, Antonella rifiuta la medaglia affermando che l’avrebbe accettata solamente quando le ragazze avrebbero potuto, anche loro, giocare a baseball.
Il gesto di Antonella porta alla luce la questione della partecipazione femminile a parecchi sport giovanili, che il CONI dovette affrontare e risolvere. All’episodio la RAI dedicò un breve servizio in cui Antonella, piccola donna di una recondita isola del sud, rivendica con forza il diritto delle ragazze a praticare sport.
“La ragazza usticese del baseball”
Un giorno d’estate a Cuba
È l’estate del 1999 e sono a Ustica a casa di Margherita, in contrada Tramontana, ed è come se fossimo su un’altra isola, Cuba, distante 8500 chilometri. Abbiamo comprato un maialino dal macellaio locale, e Pedro e Reinaldo si occupano, appendendolo al ramo di un albero, dell'eviscerazione e della scuoiatura. Nel frattempo, prepariamo all’ombra di un albero una fossa di forma rettangolare, profonda circa 40 cm e ci procuriamo dai rami degli alberi quattro paletti da fissare ai vertici. Dentro la fossa è preparata la brace e il maiale viene legato dalle zampe, tramite delle funi, ai quattro paletti e posto ad una certa altezza sopra la brace. La cottura, gestita da Pedro e Reinaldo, dura tutto il pomeriggio regolando progressivamente la forza della brace e l’altezza del maialino dalla fossa tramite le funi.
Nel frattempo la festa va avanti, parlando soprattutto di baseball e di Cuba, fino a giungere a sera, quando la più buona carne di maiale mai mangiata in vita mia è perfettamente cotta, bagnata da una semplice marinatura di olio, limone ed aglio. Pedro e Reinaldo sono gli allenatori, entrambi cubani, della squadra di baseball e di quella di softball di Ustica. Perché dopo avere connesso Ustica col resto d’Italia, il baseball ha collegato la piccola isola con il resto del mondo.
Alla fine degli anni settanta la squadra dell’isola ha ricevuto l’invito a partecipare a un torneo a Malta e per ben due volte negli anni ottanta, è partita per gli USA, raggiungendo la folta comunità usticese emigrata a New Orleans, per allenarsi e giocare alcuni match. Nel frattempo, viene organizzato annualmente il Trofeo delle Isole, un torneo internazionale di baseball che richiama a Ustica, oltre alle squadre partecipanti, personalità del panorama mondiale del baseball. Sull’isola la passione divampa e le vittorie, a tutti i livelli, arrivano copiose.
Il campo di Ustica, per tanto tempo nulla più che uno spiazzo pietroso su cui vengono segnate le linee del diamante.
Anni d’oro
Nel 1986 i ragazzi di Ustica, dopo un bronzo e un argento, vincono i Giochi della Gioventù, mentre le atlete del softball conquistano la medaglia di bronzo. Le squadre giovanili dominano i campionati regionali e sotto la pressione delle ragazze dell’isola nel 1985 viene fondata anche la squadra femminile, l’Ustica Softball Club.
Le ragazze, ancora più velocemente dei ragazzi, scalano la piramide dei campionati partendo dalla C2: nel 1990 si laureano vicecampionesse d’Italia Juniores e l’anno dopo sfiorano la Serie A, giungendo ai playoff promozione. La massima serie nazionale viene comunque conquistata nel 1992, ponendo la piccola isola di circa mille abitanti al vertice italiano di uno sport di squadra femminile.
L’ascesa dei ragazzi nel baseball è più lenta, ma anch’essa inesorabile. La crescita tecnica è sostenuta dall’arrivo di giocatori esterni all’isola anche perché la crescente competitività dei campionati affrontati richiede l’innesto di forze nuove. La squadra di softball viene rinforzata da alcune giocatrici provenienti da Palermo, mentre la squadra maschile, giunta in Serie B, tessera alcuni giocatori siciliani e un gruppo di giocatori proveniente da Nettuno. Ma, la vera svolta, è l’arrivo di allenatori provenienti da Cuba:il primo, Lorenzo Espino, giunge nel 1992 per guidare la squadra maschile alla conquista della serie B, seguito da una lunga serie di tecnici centro-americani che guidano le squadre di baseball e softball usticesi. Nel 1993 l’Ustica Baseball raggiunge la Serie B e, due anni dopo, viene promossa in Serie A2.
Il contributo tecnico-tattico degli allenatori cubani ha portato al miglioramento di ogni singolo giocatore e, complessivamente, anche la strategia e la mentalità delle squadre sono cresciute. Vivendo poi per gran parte dell’anno sulla piccola isola, il legame tra i vari tecnici cubani e la popolazione di Ustica travalica l’aspetto meramente sportivo per diventare un intenso scambio di esperienze e culture. Così, nel 1997, un folto gruppo di usticesi va a Cuba per un viaggio alla scoperta della cultura e del baseball del paese di Fidel Castro.
Negli anni seguenti la squadra femminile partecipa per ben due volte ai playoff scudetto, in Serie A vengono tesserate lanciatrici neozelandesi, cinesi e sudafricane mentre quella squadra maschile nel 1998 arriva a un passo dalla promozione in Serie A1, perdendo il playoff contro San Marino.
La massima espressione sportiva del movimento usticese è la ricevitrice Clelia Ailara, figlia proprio di quell’albergatore sedotto dalle parole di Bruno Beneck nel 1971. Già nel 1991 Clelia Ailara è entrata a far parte della nazionale juniores e in seguito è diventata un punto fermo della nazionale maggiore che ha vinto i Campionati Europei nel 1995, 1997 e 1999. Clelia ha coronato anche il sogno di ogni atleta dilettante, partecipando nel 2000 alle Olimpiadi di Sidney, dove la nazionale italiana ha ottenuto un ottimo quinto posto.
Nel periodo di massima diffusione ad Ustica, tra le formazioni senior e quelle giovanili, sono ben 7 le squadre che partecipano a campionati federali. Si arriva addirittura a 230 tesserati, su una popolazione di circa mille abitanti, e il 90% dei giovani è impegnato agonisticamente con mazze e guantoni. Un fenomeno sportivo e sociale che coinvolge l’intera comunità che riempe con un tifo calorosissimo gli spalti e segue febbrilmente le trasferte, davanti alla vetrina del negozio di fotografia dell’isola dove il cartello del risultato viene aggiornato alla fine di ogni inning, grazie alla notizie giunte via telefono.
Quella del baseball è una lunga stagione in cui convivono stupore, amicizia, scoperta del mondo, passione sportiva, voglia di migliorarsi, orgoglio per l’affermazione a livello nazionale di una piccola e periferica realtà isolana.
Il “seaball” una versione usticese del baseball. Il battitore è su una piccola banchina a riva, la squadra che difende è tutta in acqua e le basi sono dei galleggianti sul mare. Si batte e ci si tuffa per conquistare a nuoto le basi. A Ustica a baseball si gioca letteralmente ovunque.
Oggi
Il diamante dove io più di 20 anni fa andavo a vedere la partite dei Mondiali segnando lo score è oggi ridotto un cumulo di macerie, ennesimo simbolo del degrado degli impianti sportivi di Palermo. Costruito nel 1997 in occasioni delle Universiadi disputate in Sicilia, in 20 anni l’impianto è stato abbandonato, lasciato all’incuria e depredato dai ladri che hanno portato via tutto il rame, gli infissi d’alluminio e tranciato le torri dei fari.
A Ustica il campo di baseball e softball è stato sostituto da un campo di calcio dove gioca la locale formazione di terza categoria e l’unico ricordo del bellissimo stadio con terra rossa tra le basi, verdissima erba all’esterno, dugout e tribuna, inaugurato nel 1998, è il tabellone elettronico, seminascosto alle spalle di una bandierina del calcio d’angolo.
Circa due anni fa Pedro è morto, ancora piuttosto giovane, a Cuba. A Ustica (da dove era andato via più di 30 anni prima) è stata organizzata una raccolta di fondi per sostenere la sua famiglia, a testimonianza della profondità dei rapporti creatisi nell’epoca d’oro del baseball.
Margherita, dopo la laurea in Agraria ha abbandonato il suo lavoro a Roma al Ministero dell’Agricoltura per dedicarsi, assieme a Vito, il suo compagno, all’azienda agricola di famiglia. Produce, tra le altre cose, le pregiate lenticchie di Ustica e un buonissimo passito di zibibbo. Accoglie ospiti e gestisce un Museo della civiltà contadina.
Ne Gli anni del diamante Stefano e Mathia Coco fanno parlare i ragazzini di Ustica: sanno che il baseball è lo sport dei loro padri e dei loro nonni, ma non ci giocano e non ne conoscono le regole. Sul palchetto si gioca a calcio e si sogna CR7.
Ma come è potuto svanire il sogno del baseball? Proprio all'apice della parabola sportiva, nel 2000, l'Ustica Baseball Club rinuncia all'iscrizione al campionato di A2. Nel suo ultimo anno di attività era giunto al terzo posto del suo girone di A2, con un record di 50% di vittorie. Le necessità economiche per l’attività, però, crescono di pari passo con i progressi sportivi e la conseguente partecipazione a campionati di livello superiore: per le squadre di Ustica poi le spese sono enormi, quasi ogni partita fuori casa presuppone giorni di pernottamento in trasferta e l’utilizzo dell’aereo da Palermo, oltre al necessario trasferimento dall’isola al capoluogo siciliano. Ustica è distante tre ore di traghetto o un’ora e mezza di aliscafo dal capoluogo siciliano. Le piccole realtà economiche locali non possono garantire grosse somme per sponsorizzazioni, mentre i contributi pubblici si riducono gradualmente nel tempo, a causa di una minore disponibilità di fondi da destinare allo sport, proprio nel momento in cui le necessità del baseball di Ustica aumentano.
Gli usticesi accusano la FIBS di non fare nulla, anzi, di avversare le possibilità di sopravvivenza dello sport nell’isola favorendo le predominanti società del nord. Nessuna deroga all’obbligo di avere un impianto di illuminazione e nessuna cura nel disegnare un girone capace di ridurre il più possibile le spese di trasferta della squadra. Né le squadre del resto d’Italia si affannano a trovare una soluzione per salvare il baseball ad Ustica: mal digeriscono i viaggi sull’isola, impegnativi sia da un punto di vista logistico che da quello economico, c’è persino la possibilità di rimanere bloccati per giorni sull’isola se le condizioni meteorologiche non consentono la partenza dei traghetti e degli aliscafi.
Vito Ailara, a cui Bruno Beneck 30 anni prima aveva svelato i segreti del baseball e presidente della società maschile, getta la spugna nel 2000. Il softball sopravviverà per altri 4 anni, cessando le attività nel 2004. Da allora il baseball a Ustica è sparito. Nessuna squadra nei campionati federali, nessuna squadra giovanile, mai più nessuna partita.
Perché, un fenomeno di tale portata, che aveva coinvolto più di una generazione di usticesi e l’intero tessuto sociale dell’isola è quasi improvvisamente scomparso?
Per quale motivo ciò che aveva costituito per i giovani dell’isola un’esperienza di impagabile valore educativo, di inclusione, di apertura al mondo, di conoscenza di altre culture e di superamento delle barriere di genere non ha più trovato la forza di ripartire?
Perché l’enorme ed entusiasmante vissuto che lo sport ha regalato a tantissimi giovani usticesi non è mai più stato messo a disposizione delle nuove generazioni?
Le risposte non sono semplici. La fine dell’attività delle squadre di Serie A di baseball e softball è legata alle crescenti difficoltà a sostenere economicamente campionati sempre più competitivi e che inevitabilmente richiedono spese sempre più ingenti; tuttavia, assieme alle squadre maggiori è franato immediatamente tutto lo sport giovanile e di base e da allora, nonostante l’enorme patrimonio tecnico e di conoscenze degli isolani, non è mai ripartito, confinando il baseball in un angolo della memoria sempre più lontano.
La parabola del baseball a Ustica ha seguito quella del sostegno pubblico allo sport che, tramite i canali del CONI e delle istituzioni regionali e provinciali, ha sostenuto la nascita e la crescita dello sport nell’isola con finalità di inclusione e di aggregazione sociale. La progressiva riduzione dell’intervento pubblico ha reso tutto più complicato. Il supporto economico, logistico e tecnico fornito dalla federazione negli anni settanta sarebbe oggi impensabile e il tramonto del baseball sull’isola è forse un esempio paradigmatico della più generale questione meridionale dello sport e delle difficoltà della pratica sportiva nelle periferie e in luoghi geograficamente disagiati.
La crescente richiesta di contributi privati e delle famiglie nello sport di base colpisce, come è facile immaginare, le realtà più marginali e la scomparsa di mazze e guantoni a Ustica è in parte attribuibile a ragioni che investono direttamente le scelte politiche e sociali di un intero paese.
Ma c’è dell’altro. Stefano Coco, il regista de Gli anni del diamante, mi ha descritto una sorta di rimozione collettiva del ricordo del baseball a Ustica: tutti hanno - chiusi in un armadio - mazze, guantoni e pallina, ma del baseball si parla poco o niente. Troppo forte, forse, il trauma per la fine di un’esperienza così totalizzante ed entusiasmante. Secondo Coco la proiezione del documentario a Ustica è stato, in un certo senso, un momento liberatorio che ha consentito agli ex ragazzi del baseball di ricordare con più serenità una parte importante della loro esperienza.
Margherita mi racconta che lei e gli altri si interrogano talvolta se esistano altri motivi, oltre a quelli economici, per cui quella formidabile stagione collettiva della loro vita e di quella dell’isola si sia conclusa con una cesura netta, senza che nessuno abbia in seguito provato a continuare o a ripartire. Non è semplice per lei focalizzare il sentimento che la accompagna ripensando alla sua avventura sportiva: sostiene che su quel periodo sia stata messo una sorta di coperchio emotivo, in parte per preservarne il ricordo, in parte per evitare di rimpiangere una stagione che non può più tornare.
In fin dei conti per Margherita il sentimento provato, sia individuale che collettivo, ha a che fare con la sensazione che ogni tentativo di riportare il baseball a Ustica si risolverebbe inevitabilmente in una brutta copia di un’originale irripetibile. Anche io, nel mio piccolo, non saprei più da dove cominciare a compilare lo score di una partita.