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Michele Serra
La stagione dell’esplosione di Brandon Ingram
13 dic 2019
13 dic 2019
Dopo tre stagioni interlocutorie e un serio problema di salute, l’ala dei New Orleans Pelicans è ascesa a un livello superiore quest’anno.
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Michele Serra
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Nelle ultime stagioni cercare di prevedere la crescita di Brandon Ingram non è stato esercizio semplice, specialmente trovandosi davanti un giocatore arrivato in NBA ancora molto acerbo sia dal punto di vista tecnico che fisico.

 

Nei suoi primi due anni tra i professionisti, Ingram ha certamente migliorato ed espanso il proprio gioco, ma lo scorso anno ha rappresentato un’eccezione rispetto al normale sviluppo di un giocatore al terzo anno di NBA. Ingram ha vissuto una prima parte di stagione assolutamente anonima, salvo poi svoltare nei primi mesi del nuovo anno con un rendimento da All-Star. Ciò nonostante, e pur essendo stato scelto alla numero 2 del Draft 2016 dai Los Angeles Lakers, non veniva più visto come un intoccabile all’interno del roster dei gialloviola, come testimoniano le varie proposte di trade che l’allora GM Magic Johnson aveva portato all’attenzione di David Griffin, neo-GM dei New Orleans Pelicans, per arrivare ad Anthony Davis. Proposte che contenevano sempre il suo nome come pezzo pregiato dello scambio.

 

Alla fine Ingram è stato effettivamente spedito a New Orleans insieme a Lonzo Ball e Josh Hart, più una lunga collezione di serie al Draft. Sono varie le ragioni per cui l’ex Duke non ha sfondato in maglia Lakers: la presenza ingombrante di LeBron James, che gli ha tolto spazio anziché creargliene; una maglia pesante e un mercato esigente come nessun altro in NBA, e a cui la sua personalità forse non era adatta; una sfortunata inclinazione agli infortuni, culminata con la trombosi alla spalla che ha messo fine anzitempo alla sua terza stagione a LA; ma anche un contesto tecnico che non lo ha aiutato, impedendogli di farsi trovare nelle condizioni migliori per avere successo.

 

Ecco, tutto questo appartiene al passato. Brandon Ingram in questa stagione sembra essersi calato mente e corpo nella sua nuova avventura in Louisiana, e il suo rendimento ne è la prova più evidente.

 



L’aspetto del gioco in cui Ingram sembra aver fatto i maggiori progressi in questo primo scorcio di stagione — al di là del tiro, di cui parleremo più avanti — è l’abilità nelle letture: letture nella scelta del tiro, del movimento dei compagni e talvolta anche in difesa, che spesso gli permette di raccogliere più di quanto dovrebbe grazie alle braccia chilometriche di cui Madre Natura lo ha dotato.

 

Ingram rimane un giocatore che crea quasi esclusivamente dal palleggio, ad esempio attraverso il pick and roll. In queste stagione, l’utilizzo del gioco a due è calato rispetto alle ultime due stagione (dal quasi 30% della stagione 2017-18 al 19.5% di quest’anno, passando per il 25.5% della stagione scorsa). È cambiato in meglio, invece, il modo in cui attacca il canestro e pianifica in anticipo le scelte di gioco, e ciò si riflette nei punti per possesso a quota 0.96: siamo “solo” nel 72esimo percentile della lega, ma comunque un netto passo in avanti rispetto agli ultimi due anni, dove si era sempre arenato a 0.79.


 

 

Nel primo caso qui sopra, dopo aver sfruttato il blocco di Jahlil Okafor, Ingram è costretto ad anticipare il primo passo del terzo tempo dalla presenza di Jarrett Allen. Per lui non è un problema cominciare il movimento anche lontano da canestro, usando le sue braccia infinite per concludere sopra il centro dei Nets (è un canestro un po’ alla Giannis Antetokounmpo, in un certo senso). Di seguito, altro gioco a due con Okafor: anche qui Ingram si trova contro un rim protector, che pertanto decide di non sfidare, preferendo dirigersi verso la media distanza da cui fa partire il tiro. La soluzione dalla media è ancora una delle armi preferite da Ingram, che però ne ha ridotto l’utilizzo: solo il 13% delle sue conclusioni arrivano da lì.

 

Nell’ultimo esempio, invece, vediamo un Ingram intento a mettere in ritmo i compagni. Anche qui vediamo un ottimo uso del blocco, dal lato opposto rispetto a quello in cui era arrivato, a cui fa seguito una serpentina per entrare in area. Anziché tentare il

, però, il numero 14 dei Pelicans premia il taglio di Ball, che conclude dal mezzo angolo.


 
 


Questo è forse l’esempio più evidente della pazienza con cui Ingram sta giocando. Dopo il blocco portato a Holiday, Ingram si trova accoppiato con C.J. McCollum e si posiziona spalle a canestro per sfruttare la differenza di altezza. Anziché tirargli “in testa”, però, Ingram scandaglia il campo finendo per servire Kenrich Williams, lasciato colpevolmente libero oltre l’arco, che trasforma il suo passaggio in un assist.


 

Anche le cifre testimoniano il maggior coinvolgimento dell’ex Duke nel gioco di squadra: la sua percentuali di assist sfiora il 20%, nettamente il miglior dato in carriera.

 

Chiusa la parentesi dedicata alle nuove e migliorate capacità di passatore di Ingram, il vero fondamentale in cui l’ex Lakers è migliorato tanto (e su cui il lavoro estivo ha dato i suoi frutti) è il tiro da tre. I tiri a partita scagliati in media da oltre l’arco sono aumentati esponenzialmente da un anno all’altro (neanche 2 lo scorso anno, 5.7 in questa stagione), ma soprattutto la percentuale è salita al 42% di quest’anno dopo il 33% della passata annata. L’anno scorso erano 1.7 di media le conclusioni da tre punti prese in

, convertite con uno scarso 31.5%; quest’anno si è passati al 46% su quasi 5 conclusioni a partita.

 

Per non parlare dei tiri considerati

da NBA.com, che le difese ancora tendono a concedergli: due a partita, mandate a bersaglio con il 50% (lo scorso anno erano 0.8 con il 38%).


 

 

Nell'azione qui sopra è sintetizzato il meglio di questi due mondi. Ingram porta il pallone in transizione, batte l’uomo dal palleggio con un’esitazione ma, anziché tentare a tutti costi di entrare in area, dimostra ancora una volta visione di gioco servendo Holiday sul perimetro. La guardia preferisce battere il recupero del difensore mettendo palla per terra e trovando lo stesso Ingram, che nel frattempo si era riposizionato in angolo. La tripla non va a bersaglio, ma Ingram ha gestito benissimo il possesso prendendosi un tiro aperto e che ha dimostrato a più riprese di aver aggiunto al proprio arsenale.

 



Come dichiarato in un lungo articolo su

, Ingram ha vissuto i mesi dell’infortunio come un leone in gabbia, afflitto dallo sconforto per un problema fisico serio che ha messo fine anzitempo a una stagione in cui, ancora una volta, sembrava aver messo a posto un altro mattoncino del suo gioco. Mentre era a riposo – ha passato mesi senza nemmeno toccare un pallone, ricominciando ad allenarsi solo a un mese dal training camp – l’unica cosa che gli restava da fare era guardare i suoi stessi video di highlights, chiedendosi ansiosamente se sarebbe più tornato ad essere quel tipo di giocatore.

 

Beh, oggi stiamo vedendo che quel tipo di giocatore forse non esiste più, superato da una migliore versione di se stesso. Una versione più aggressiva e, perché no, anche più scaltra. Ingram è sempre stato un giocatore propenso ad attaccare il ferro (sempre in doppia cifra per penetrazioni a partita nelle ultime tre stagioni); quello che si nota non è tanto l’aumento nelle penetrazioni a canestro, ma nei punti segnati di media in questa situazione, passando da 6.7 a 9.6 (11° miglior dato della lega, meglio tra gli altri di LeBron, Giannis e Westbrook, tre carri armati).

 

Ingram ha mostrato nelle ultime stagioni una capacità di gran lunga migliore nell’assorbire i contatti e di finire al ferro, cosa che al primo anno gli era totalmente sconosciuta, complice un fisico a dir poco leggero per questi livelli. Non sarà mai un essere umano “grosso” per quanto possa aumentare i carichi di lavoro, ma ciò non gli impedisce di essere un giocatore sopra la media quando si tratta di finire al ferro, arrivando a sfiorare il 66% al tiro.


 
 

Saper usare il fisico non vuol dire solo ed esclusivamente finire attraverso i contatti, ma anche crearsi delle opportunità o dei tiri più vantaggiosi, come in questo caso: Ingram penetra verso sinistra ma, per evitare l’aiuto di Steven Adams da quella parte, decide che è meglio concludere sopra le braccia protese di Nader. Il numero 11 dei Thunder difende tutto sommato bene, ma qui ha potuto fare ben poco.


 

Le

di Ingram tornano utili anche quando si parla di difesa. Il nativo del North Carolina non è un grande difensore; certamente non è aiutato dal contesto di squadra, essendo i Pelicans quintultimi in

con quasi 114 punti subiti a partita su 100 possessi (cifra praticamente identica al

della squadra quando Ingram è in campo, 113.7 punti). Ma di suo Ingram non è ancora un difensore sufficiente, per quanto il suo fisico così particolare gli venga incontro quando un attaccante pensa di averlo battuto, ritrovandosi poi ostacolato dalle braccia del nostro che spuntano dalle retrovie.


 
 

Nel primo caso, spalle a canestro contro Carmelo Anthony, anziché mandarlo verso il centro e indirizzarlo verso un possibile aiuto di un compagno (cosa preferibile da fare in questi casi), concede all’ex Knicks la linea di fondo. Poi non paga dazio stoppandolo da dietro grazie alle sue doti fisiche. Discorso simile nel caso successivo: Ingram vola sulla finta di tiro di KCP, ma sfrutta i centimetri delle sue braccia per rimediare all’errore.


 

Sarà molto interessante vedere come il gioco offensivo di Ingram si adatterà non appena, e se mai, Zion Williamson debutterà in NBA. La prima scelta assoluta allo scorso Draft si accontenterà di un ruolo di secondo piano, lasciando ad Ingram quello di prima punta? E inoltre: l’ex Laker fin qui ha giocato quasi esclusivamente da 4, vista anche la scarsa affidabilità dei centri di ruolo in casa Pelicans (Okafor è quello che è, e Jaxson Hayes, per quanto molto interessante, è giovanissimo). Ma Zion è troppo basso per fare il 5, e inserire un altro lungo potrebbe essere deleterio per le spaziature che ulteriormente si restingeranno con Williamson in campo. L’attacco di squadra, e di riflesso lo stesso Ingram, come ne risentiranno?

 

In attesa di sciogliere questi dubbi, i Pelicans si aggrappano alla crescita di un giocatore su cui sicuramente puntavano ma che non pensavano potesse diventare tanto determinante in un tempo tanto breve. Bisognerà rifirmarlo al termine di questa estate, e probabilmente i Pels finiranno per pagare più di quanto avrebbero fatto se avessero cercato un’estensione prima dell’inizio della stagione. Ma se i Pelicans possono guardare al proprio futuro con serenità e fiducia è anche grazie a Brandon Ingram. Lui e New Orleans, forse, avevano solo bisogno di incontrarsi.

 

 

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