Di Brahim Díaz si parla come di un prodigio sin dai tempi dell’academy del Manchester City. Le impressioni del calcio giovanile, però, spesso si scontrano con la ruvidezza del professionismo. A chi, oltretutto, non è capitato di parlare di calciatori minorenni solo per sentito dire, magari per sembrare esperti agli occhi degli amici?
La prima partita in cui si è capito che Brahim Díaz non era solo un abbaglio da highlights del campionato riserve inglese, è un Getafe-Real Madrid di tre stagioni fa. Era l’aprile 2019, Zidane aveva sostituito Solari nella stagione più disastrosa della storia recente dei Blancos e Brahim era tornato da tre mesi in Spagna. Il Getafe di Bordalás, in quel momento, era la squadra più ruvida della Liga e avrebbe perso la qualificazione in Champions solo all’ultima giornata. Contro l’avversario più ostico possibile per un giocatore con le sue caratteristiche, ne era venuta fuori un’esibizione da circo, tra veroniche con tunnel, tocchi di suola e dribbling da foca. Brahim non aveva controllato gli attacchi del Madrid, aveva giocato da semplice ala destra e per tutta la partita aveva aspettato di ricevere largo per rientrare sul mancino e dare sfogo alla sua fantasia in uno contro uno.
Due anni e mezzo dopo, Brahim non ha perso l’aspetto ludico del proprio calcio. Contro la Juventus, punto nell’orgoglio da Leão che si era liberato di Bentancur con una sorta di doppio passo, gli aveva risposto come si fa al campetto, con una veronica da fermo che aveva lasciato di sale Locatelli.
A differenza di due anni e mezzo fa, però, Brahim non si è limitato a iniziative estemporanee: ha stratificato il suo gioco, lo ha reso più complesso e ha distribuito il suo talento su più altezze del campo. Oggi Brahim gioca lontano dalla fascia, nei corridoi centrali, e ha raffinato il suo contributo fino a diventare il giocatore più importante per la fase offensiva del Milan.
L’eredità di Ҫalhanoğlu
Per tifosi e giornalisti, l’eredità di Ҫalhanoğlu in rossonero era un quesito irrisolto fino a poco tempo fa. Il turco non sarà di certo un giocatore continuo, né un trequartista dei più dotati, ma catalizzava un gran numero di possessi e in fase di rifinitura era il singolo più influente del Milan. È difficile catalogare un giocatore come l’ex Leverkusen, trequartista dalle doti balistiche eccezionali, ma che deve sentirsi libero di sbagliare per essere produttivo. Il suo rendimento dipendeva più della quantità che della qualità delle giocate. È una questione di caratteristiche, visto che il turco non ha mai il dominio totale della palla: poco controllo nello stretto e poco spunto in dribbling, compensati da un modo del tutto unico di calciare.
Brahim Díaz, nello spettro dei rifinitori della Serie A, si situa al polo opposto. Non avrebbe potuto essere altrimenti, vista la loro formazione in contesti antitetici: Ҫalhanoğlu nel calcio caotico e quantitativo di Roger Schmidt, figlio dell’universo Red Bull; Brahim prima nella scuola spagnola - a Malaga, dove sono cresciuti centrocampisti tecnici come Pablo Fornals e Isco – poi nell’academy del City, dove era forte l’influenza di Guardiola. Brahim non perde mai il controllo sulla palla, soprattutto nello stretto, ed è speciale per la qualità di ogni esecuzione. Anzi, la sensazione è che rispetto allo scorso anno il suo ascendente sul Milan sia cresciuto anche perché ha limitato il numero di errori: tenta meno giocate impossibili, di quelle in cui paga un’eccessiva confidenza.
Brahim non ribolle per avere subito la palla, gli piace muoversi incontro ma sa anche aspettare, con fiducia nei piedi dei suoi mediani e di Tomori. In questo modo non solo sostituisce Ҫalhanoğlu, ma apre sentieri nuovi alla fase offensiva del Milan, soprattutto in attacco posizionale.
Brahim regista avanzato
Per piedi e intelligenza, Brahim può permettersi sia di abbassarsi per giocare vicino ai due mediani, sia di restare più alto per ricevere tra le linee. In questo inizio di stagione Pioli è riuscito a sfruttarlo in entrambe le vesti. Lo spagnolo adatta la tecnica alla zona di campo e in questo modo permette al Milan di variare spartito anche in base alle caratteristiche degli attaccanti che lo accompagnano.
Contro Sampdoria e Cagliari, per esempio, da centravanti titolare ha giocato Giroud. Il francese è un maestro del gioco spalle alla porta e dei duelli aerei e non a caso in quelle due partite il Milan non si è fatto problemi ad alzare il pallone già dalla difesa per innescarlo. Pioli ha puntato molto sui lanci: Leão e Saelemaekers, le ali, sono rimaste aperte e pronte a contendere di testa la palla ai terzini. Con tre riferimenti deputati a creare seconde palle, Maignan ha offerto un saggio delle sue qualità coi piedi. La strategia, ovviamente, ha influenzato i movimenti di Brahim. Con le due ali aperte in ampiezza, lo spagnolo era l’unico uomo del Milan a occupare il corridoio centrale dietro Giroud. Per i difensori, allora, era più facile controllare quello spazio e impedire ricezioni dietro il centrocampo. Vista l’insistenza del Milan sui lanci e l’inferiorità numerica tra le linee, Brahim da subito ha iniziato ad abbassarsi sulla stessa altezza di Tonali e Kessié.
Come insegna Papu Gómez, muoversi incontro alla palla significa o creare superiorità numerica a centrocampo, o portare fuori posizione un avversario, che Brahim per tecnica e controllo del corpo può saltare facilmente. Col suo metro e settanta, l’ex Real Madrid è forte sui quadricipiti e per il marcatore è difficile ostacolarlo. Può spostarsela da un piede all’altro e se ha bisogno di fermarsi per mandare a vuoto chi lo insegue può farlo senza mai scoprire la palla: braccato alle spalle o lateralmente, Brahim è abile, nella sterzata, a spostare il baricentro intorno alla palla senza farla muovere, tenendola così sempre coperta e a debita distanza dal marcatore. Che passi dal destro al sinistro o viceversa non è importante, vista la confidenza con entrambi i piedi.
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Scrollatosi l’avversario di dosso, Brahim può condurre in avanti oppure passare il pallone. Come detto, sembra più maturo nelle scelte, anche se a volte prova ancora a saltare uomini in serie senza avere lo spazio. Se invece decide di liberarsi della palla, dimostra un’ottima capacità di indirizzare il possesso. In questo senso, lo spagnolo sta imparando a fare le veci di Ҫalhanoğlu. Le sue aperture per gli uomini in ampiezza hanno sempre il giro giusto e, rispetto al turco, prova più spesso l’imbucata rasoterra per il compagno tra le linee: il gol dell’1-1 ad Anfield nasce proprio da un suo filtrante diagonale che passa tra Fabinho e Keita e trova Saelemaekers alle loro spalle.
Brahim non solo innesca Saelemaekers tra le linee, ma lo serve anche sul piede giusto, il destro, che gli permette di orientare subito la palla verso la porta. Il belga ha la possibilità di indirizzare il controllo in quel verso perché Rebic con uno scatto abbassa il centrale (Gomez) e dilata lo spazio tra difesa e centrocampo. In ogni caso, Ҫalhanoğlu più raramenta cerca quel tipo di passaggio.
In maniera del tutto inaspettata, poi, quest’anno Brahim si sta rivelando un ottimo lanciatore. Se può, guarda sempre la profondità e alza il pallone alle spalle della difesa: Rebić e Giroud non sono riusciti a trasformare in assist i suoi lanci, ma in una squadra abile ad attaccare in corsa come il Milan di certo il suo gioco lungo potrà essere un’arma in più.
Brahim tra le linee
Se contro Samp e Cagliari la posizione aperta delle ali ha costretto Brahim ad abbassarsi, contro Liverpool e Juventus, invece, Leão e Saelemaekers hanno cambiato registro, con ricadute positive per Brahim e per il Milan. Il portoghese e il belga hanno stretto nei mezzi spazi (Leão a volte è rimasto largo perché a occupare il corridoio intermedio ci pensava Theo). Pioli si sarà convinto di questa strategia anche per l’assenza di un riferimento come Ibra o Giroud. Con i corridoi centrali occupati e con Rebić ad alternare movimenti incontro e profondità, per i difensori avversari è stato più difficile controllare le spalle del centrocampo. Brahim, così, si è potuto concedere qualche ricezione in più tra le linee. In pochi hanno la pazienza e il senso dello spazio per dettare il passaggio dietro il centrocampo; nessuno in Italia sa approfittare di quella zona come Brahim Díaz.
Da regola del gioco di posizione, lo spagnolo sa che occorre allontanarsi dalla palla per ricevere in situazione di vantaggio dietro una linea avversaria. Brahim si piazza tra le linee cercando la distanza giusta per rimanere alle spalle dei centrocampisti e non dare il tempo ai difensori di uscire in avanti. Chissà quanto pesa, nella sua consapevolezza, il modo in cui Guardiola ha condizionato l’Academy del City. Albert Puig, collaboratore a New York dell’ex vice di Guardiola Domènec Torrent, e coordinatore del settore giovanile del Barcellona, parla però di una predisposizione spontanea di Brahim per alcuni concetti cari alla tradizione catalana: «Sembrava un giocatore formato alla Masia, dotato in più di un talento naturale davvero speciale».
Le ricezioni del numero dieci tra le linee hanno consentito al Milan di ribaltare momentaneamente la partita col Liverpool e di soffocare la Juventus nel secondo tempo di Torino. Brahim ha il talento per adattarsi ai metri concessi dagli avversari. Molti trequartisti, pur ricevendo dietro il centrocampo, per il poco spazio si vedono obbligati a orientare il controllo all’indietro e sfilarsi dal corridoio tra le linee: si spinge comunque l’avversario ad abbassarsi, ma non si punta direttamente la difesa. Anche Brahim, se le distanze della difesa sono perfette, deve ricorrere a questa giocata. Tuttavia, gli basta davvero poco per mantenere la palla tra le linee senza indietreggiare. La soluzione che lo rende così speciale in quella zona è il primo controllo con il piede lontano, grazie al quale orienta la palla per rimanere alle spalle del centrocampo e puntare la difesa. Brahim si profila per controllare verso il centro del campo, con una postura da manuale. La palla arriva sul piede più lontano, la indirizza verso l’interno e fa fiorire il gioco tra le linee del Milan con un dribbling o un triangolo. Se le linee avversarie sono un po’ più lunghe del dovuto, come è accaduto qualche volta al Liverpool, si gira senza perdere tempo, porta fuori posizione un difensore e lo fa secco (Brahim è un grande dribblatore se la prima mossa la fa chi difende, al contrario non è esplosivo abbastanza da forzare il dribbling).
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Se invece le linee avversarie sono strette, come contro la Juve, tiene la palla vicina, resiste al contrasto del centrocampista che rientra e cerca lo scarico. In definitiva, a seconda degli spazi può attivare combinazioni veloci – come contro il Liverpool – o costringere gli avversari a stazionare sempre di più vicino alla propria porta – come contro la Juve, che non ha avuto la puntualità difensiva degli anni migliori e alla fine il gol lo ha preso, come è normale che accada se ci si abbassa troppo contro una squadra con i ricorsi offensivi del Milan.
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Il gioco tra le linee di Brahim, sia che crei un vantaggio diretto, sia che dia continuità al possesso, è una delle soluzioni con cui Pioli ha rimediato all’assenza di Ibrahimović e Giroud. Vista l’età dei due centravanti, il lavoro del malagueño è ancora più prezioso. Non c’è bisogno di giocare in maniera immediata verso una punta che attivi i trequartisti. Ҫalhanoğlu amava ruotare intorno a Ibrahimović per raccogliere le sue sponde, il meglio lo ha dato grazie allo svedese. Non aveva però la qualità di Brahim tra le linee, né per tecnica, né per intelligenza posizionale: ecco perché il Milan può gestire con meno ansia gli acciacchi delle punte titolari.
Brahim fa giocare bene la squadra senza dover toccare per forza tutti i palloni. Pioli di certo ne apprezzerà il Q.I.. Noi, con più distacco, continueremo a pretendere il solito repertorio di virtuosismi che in Serie A appartengono a lui e a pochi altri.