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Andrea Pracucci
Non sono un esempio, intervista a Pamela Malvina
07 set 2023
07 set 2023
La pugile cresciuta a Bologna si giocherà il titolo italiano dei pesi leggeri.
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Andrea Pracucci
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Valerio Lo Muzio 
(foto) Valerio Lo Muzio 
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L’asfalto assorbe il calore e lo restituisce all’aria, rendendola torrida. Bologna, a fine luglio, si svuota. Restano alcuni coraggiosi turisti, le cicale rumorose sugli alberi e le persone che lavorano anche in piena estate. Una di queste è Pamela Malvina Noutcho Sawa, pugile italiana di origini camerunensi. La incontriamo durante una pausa dal suo allenamento. Deve prepararsi per un match importante: combatterà l’8 settembre a Casoria, vicino a Napoli, per il titolo italiano dei pesi leggeri.

La strada che l’ha portata a questo incontro è stata segnata da ostacoli non solo di natura sportiva. Pamela si è trasferita in Italia quando aveva otto anni. È cresciuta a Perugia con i suoi genitori, ora lavora come infermiera all’ospedale Maggiore di Bologna. La cittadinanza italiana, però, è arrivata solo nell'estate del 2022, dopo un percorso burocratico lungo e tortuoso.

Durante il periodo della pandemia, la vicenda di Pamela ha avuto particolare risalto grazie al suo lavoro da infermiera. La sua figura è stata elevata a modello nella battaglia per l’ottenimento della cittadinanza: nessuno le ha mai chiesto se si sentisse a suo agio in questo ruolo, ci dice. Non le piace quando le chiedono se si senta un esempio da seguire, perché una domanda come questa serve a rinforzare l'idea che la cittadinanza sia una conseguenza delle vittorie sul ring o della dedizione al suo lavoro da infermiera. Qualcosa che ti devi meritare.

Quello di Pamela è un profilo che va oltre l’etichetta di infermiera-pugile che combatte sia sul ring che in corsia. Sa di poter diventare simbolo delle lotte per i diritti civili, ma è consapevole di voler avere il controllo sulla narrazione di sé. E, soprattutto, vuole concentrarsi principalmente sulla boxe, perché Pamela è un’atleta incredibilmente promettente.

Siamo alla Bolognina Boxe, in cui sembra che la palestra sia uno dei pochi luoghi vitali in una città sonnecchiante. Le tappe che hanno portato Pamela a giocarsi un titolo così importante sono indissolubilmente legate a questa palestra popolare che, come recita il suo slogan, è animata da “Gente che lotta dentro e fuori dal ring!”. Una comunità sportiva e politica che si spende per consentire a tutti l’accesso libero allo sport. È impossibile parlare di Pamela senza parlare di Bolognina Boxe: il ruolo di supporto che la palestra ha ricoperto nella battaglia personale di questa pugile, in particolare attraverso la figura del maestro Alessandro Dané, è stato fondamentale e le ha permesso, dopo troppi anni, di ottenere quel documento che le consentirà di competere per il titolo italiano dei pesi leggeri.

Foto di Valerio Lo Muzio

Ci racconti il percorso che ti ha portata ad essere qui oggi?

[reply]Sono originaria del Camerun. Arrivo in Italia a otto anni: mio padre aveva trovato un lavoro ben pagato come operaio a Perugia e lì ho fatto elementari, medie e superiori. Poi ho scelto Bologna per studiare all’università, mi sono iscritta ad infermieristica. Mi sono avvicinata alla boxe durante un tirocinio: ero al Beltrame, un centro per persone senza fissa dimora. Tra le varie attività che si svolgevano c’era una palestra in cui si facevano boxe, muay thai e yoga. Così ho iniziato un corso, a 24 anni. Il mio maestro, dopo un anno, mi ha convinto a combattere. È stato un incontro casuale, non l'avrei mai detto: la boxe è uno di quegli sport tacciati di essere poco femminili, aggressivi, che per farli devi necessariamente avere dei problemi. Anch'io l'avevo sempre considerato così. Avevo anche dei traumi, perché da piccola sono sempre stata abbastanza muscolosa e alcuni miei compagni mi chiamavano Mike Tyson [ride, ndr]. Non me la vivevo bene.[/reply]

È interessante che sia stato il tuo percorso accademico che ti ha portata a conoscere la boxe. Non è una cosa che succede spesso. Altra cosa interessante: di solito, quando si parla con persone che fanno sport a livelli molto alti, si sentono dire frasi come: "avevo la vocazione già da piccolo, ho sempre voluto fare questo…”. Non è il tuo caso.

[reply]Per niente! Era uno sport che non volevo assolutamente fare. Preferivo altre attività, come la pallavolo. La boxe era l'ultimo dei miei pensieri.[/reply]

C'è stato un momento in cui hai capito che era il caso di dedicarsi anima e corpo al pugilato?

[reply]In realtà no, sono andata avanti passo dopo passo. Vincevo le gare e diventavo più brava, ma c'erano sempre nuove cose da imparare. Dopo le vittorie ero di nuovo in palestra a lavorare sui dettagli. Una svolta c’è stata nel 2020, quando ho vinto i campionati italiani dilettanti e mi è stato proposto di diventare professionista. Non mi sono mai detta "oh, questa cosa è ciò che voglio fare in parallelo al lavoro da infermiera". Mi ci sono ritrovata dentro, senza pensarci troppo.[/reply]

In un’intervista hai raccontato di quando ti è stato impedito di disputare incontri con la Nazionale a causa dei problemi legati alla cittadinanza. Quel momento com'è stato per te?

[reply]Strano. Quando vinci i campionati, la Nazionale può chiamarti per sostenere un periodo di prova o un training camp. Nonostante avessi vinto non sono stata neanche considerata. È stato frustrante: la persona che avevo battuto era stata chiamata, io no. Ero convinta di meritarmi quell'occasione e invece mi toccava vedere un'altra persona al posto mio, quella che avevo sconfitto. È stata una delle prime volte in cui ho sentito davvero l'ingiustizia di non avere la cittadinanza. Nella mia vita mi sono sempre detta: "è un pezzo di carta". La maggior parte delle cose già le riesco a fare, ho un lavoro che mi piace, un contratto a tempo indeterminato. Quella volta ho sentito che quel pezzo di carta poteva fare la differenza. Ancora di più quando sono passata ai professionisti e mi è stato detto che non avrei mai potuto combattere per il titolo italiano.[/reply]

Quindi, senza la cittadinanza potevi disputare i campionati italiani assoluti da dilettante però non potevi competere con la Nazionale. E quando sei passata professionista, sempre per lo stesso problema, non potevi competere per il titolo italiano?

[reply]Esatto, però comunque diventavo pro, un livello che mi dava molte più possibilità. Mi è sempre stato detto che la mia boxe, molto riflessiva e tattica, è più adatta ai pro che ai dilettanti.[/reply]

Nei tuoi cinque match da professionista hai totalizzato cinque vittorie, di cui una per KO, è andata abbastanza bene finora. Si dice spesso che la boxe dilettantistica e quella da pro siano due sport molto diversi: adesso che puoi iniziare a fare un bilancio - hai un'esperienza da dilettante solida e una da pro che inizia ad avere il suo spessore - quali sono le differenze principali? Immagino che anche gli allenamenti siano cambiati molto.

[reply]A livello di allenamento è cambiato tutto. Si dà più importanza al dettaglio, perché da pro basta un attimo e vai giù. Puoi vincere nove riprese, arrivi alla decima e l'avversario ti dà quel pugno e vai giù. Bisogna stare più attenti alla guardia, a come metti e dai il pugno, i dettagli contano tantissimo. È importante come dosi le forze e le energie, perché nella boxe pro ci sono più riprese. Nella boxe dilettantistica ci sono tre riprese da tre minuti, mentre in quella da pro, per le donne, ci sono da quattro a dieci riprese, ognuna delle quali dura due minuti. Poi devi avere una tattica, mentre molto spesso nella boxe dilettantistica la tattica è una: andare. L'unica cosa che devi fare, tra i dilettanti, dalla prima alla terza ripresa, è spingere. Molto spesso da dilettante spingevo senza sapere cosa stessi facendo. Da pro ci sono più fasi di studio, osservi i movimenti dell'avversaria, analizzi i suoi punti deboli. La cosa che mi piace di più è il fatto che ho coscienza di me quando sono sul ring. Da dilettante spegnevo il cervello. Da professionista riesco a dire: "ok, adesso la voglio chiudere all'angolo". Riesco a pensare molto di più.[/reply]

Cambia il match, ma cambia tantissimo anche la preparazione al match. Anche perché sai chi è il tuo avversario.

[reply]Puoi lavorare più sulla velocità o sulla forza. La parte della preparazione fisica è fondamentale. La boxe professionistica punta molto sulla forza, molto sullo stare mobile sul tronco, sullo stare mobile sulle gambe, non in maniera automatica, ma anche con molta fantasia.[/reply]

Mi sembra che ci sia anche più spazio per l'estro del singolo pugile. La boxe dilettantistica ha un approccio uguale con tutti, invece nella boxe professionistica c'è più spazio per esprimersi. Se dovessi descrivere il tuo stile da pugile? Quali sono i tuoi tratti identificativi?

[reply]Nasco come pugile attendista. Una di quelle che aspetta e entra appena l'avversaria mette i colpi. Avendo sempre incontrato atlete più alte di me, di quelle che stanno molto mobili sulle gambe e che girano molto, ho dovuto imparare a essere una pugile che cerca di demolire l'avversario. Quindi sto lì, ti inseguo, taglio gli angoli con il footwork, colpisco sotto. Cerco di costringerti a star ferma, così che possiamo boxare da vicino. Se dovessi trovare un termine ti direi che sono una demolitrice, anche se ogni tanto, quando posso permettermelo, il mio stile attendista esce fuori.[/reply]

Nel pugilato da pro le carriere si costruiscono, c'è molta attenzione alla scelta dei match, del management... Abbiamo parlato dell'adattamento sportivo nel passaggio dai dilettanti ai professionisti, ti chiedo qualcosa su quest'altra parte. Tu hai un management? Come si è evoluto questo aspetto della tua carriera?

[reply]All'inizio di gestire la mia carriera se ne occupava la palestra, la Bolognina Boxe. Cercavano i match, si occupavano di ciò che c'era dietro alla mia attività. A un certo punto era diventato dispendioso per la palestra, che doveva pagare la pugile, la riunione e anche l'avversaria che veniva da fuori. Per una riunione da dilettanti spendi sui 1200 euro. Per una riunione da pro, solo la pugile che chiami da fuori costa circa 1500 euro. Non era più fattibile. Ora ho un procuratore che cerca i match, li organizza, mi aiuta a costruire la carriera. La palestra in questo momento è il luogo in cui mi alleno, in cui ci sono le persone che mi seguono nel mio angolo, ma chi mi cerca i match e segue la mia carriera è il procuratore.[/reply]

Il tuo rapporto con la palestra come si è sviluppato nel corso del tempo? Immagino tu sia molto legata a questo ambiente.

[reply]Sono arrivata che ancora ero una bambina nella boxe. Qui ho costruito la mia fiducia nel saper boxare, nel saper stare sul ring, qui ho fatto la maggior parte dei miei passi. Ovunque io combatta c'è sempre qualcuno dei miei compagni che viene a fare il tifo. Quando non ci sono ne sento davvero tanto la mancanza. Quando ho fatto il debutto, l'anno scorso, è stato uno spettacolo assurdo.[/reply]

Volevo tirare fuori questa cosa, ci ho pensato mentre venivamo qui. È difficile non legarsi a questo luogo, che come tante palestre popolari è un posto in cui, oltre ad un’offerta sportiva a prezzi accessibili per tutte e tutti, c’è molto altro: cultura, socialità, aggregazione, senso di appartenenza. È il motivo per cui la gente è disposta a impegnarsi per organizzare appuntamenti e riunioni. L’anno scorso ho visto il tuo debutto, in una cornice suggestiva e non proprio tradizionale come la corte di un complesso di case popolari, e c’erano almeno mille persone a tifarti. Fumogeni, cori, una walkout song come la rage di Keny Arkana. È stato davvero incredibile.

[reply]Mi sono dovuta estraniare, non potevo farmi prendere dall'emozione. C'erano tutti i miei amici e i miei compagni di boxe, ma io dovevo stare concentrata sull'obiettivo e offrire uno spettacolo di livello. Rivedendo le foto e i video ho pensato che una partecipazione simile non mi capiterà mai più, neanche quando farò un titolo mondiale.[/reply]

Fare un match di boxe, da dilettante o anche da professionista, ti porta a combattere davanti a quante persone? Venti, trenta, quaranta… cento? Alle riunioni di pugilato di questa palestra ci sono sempre, minimo, seicento persone. È una cosa che ti mette energia.

[reply]Il bello è che partecipano. Di solito alle riunioni c'è silenzio. Ho fatto di recente una riunione nel Veneto: c'era poco pubblico e nessuno faceva rumore, tranne qualcuno della palestra che urlava il mio nome. Alla Bolognina Boxe invece senti il calore del pubblico, anche di chi non se ne intende, che sta lì e partecipa.[/reply]

Siamo in un momento in cui questo sport, a livello maschile e femminile, in Italia sta tornando ad avere un certo seguito che prima non aveva. Se ne parla sempre più, grazie ad alcuni broadcaster che hanno ricominciato a trasmetterla ma anche grazie ai social. Nel pugilato femminile ci sono figure piuttosto rilevanti che competono nei main event delle serate, penso a Katie Taylor. Però mi sembra che ai pugili venga richiesto di avere anche un volto mediatico, di essere personaggi. Costruire una carriera solo sul ring sembra sempre più difficile. Tu questa cosa come la vivi?

[reply]È un aspetto faticoso per me. Mi ripetono sempre: "dovresti prendere qualcuno che ti cura la pagina Instagram". È una cosa assurda: a me basta boxare. In realtà mi rendo conto che è importante: capita che i pugili con più follower vengano selezionati più facilmente per i match, ovviamente se sono quotati anche a livello sportivo oltre che sui social. Conta moltissimo, la parte mediatica. In America, ad esempio, il pugile deve fare anche show, deve saper vendere i suoi match. È una cosa che in Italia non c'è ancora molto. Spero rimanga così, non è una parte che mi attrae particolarmente.[/reply]

Non ti ci vedi a fare trash talking sulle stories di instagram.

[reply]No, no. Devi avere tempo, devi essere bravo. E avere voglia.[/reply]

Forse da noi certi sportivi sono più visibili perché parlano anche di temi che non c'entrano direttamente con lo sport. Cose che sono state associate anche a te, come l'integrazione o altri temi sociali.

[reply]Sì, in Italia non sei solo uno sportivo, ma ti vengono associati dei temi, nel mio caso il tema della cittadinanza. Devi mantenere quell'idea che si sono fatti di te, quell'immagine che ti hanno cucito addosso, e la devi mantenere durante tutta la tua carriera. Non puoi dire, da un giorno all'altro, "voglio essere semplicemente una pugile". Se sei associata ad un certo tema, poi, quella connessione rimane.[/reply]

Questo discorso, preso da questo punto di vista, mi sembra interessante. Da un lato immagino che tu certi temi li senta vicini; dall'altro mi sembra di sentire da parte tua, e giustamente, un pizzico di insofferenza, come se volessi dire: "non sono soltanto la pugile-infermiera che non ha avuto la cittadinanza per tanto tempo". Quando sei diventata un simbolo di integrazione e di lotte civili, hai sentito che la tua individualità veniva messa da parte?

[reply]Qualche giorno fa un giornalista mi ha chiesto: "ti senti un esempio?". Avrei voluto dirgli di no, ma eravamo in Comune, c'era il sindaco, non potevo dire che non mi sento un esempio. Ho tentennato, poi ho detto di sì: spero di essere l'esempio di una persona che è riuscita a fare quello che le piace. Non credo però di poter essere un esempio per qualcuno che vuole prendere la cittadinanza. L’operaio che ha lavorato vent'anni e poi ha preso la cittadinanza è un esempio. Non io, che l’ho avuta anche per ragioni mediatiche.[/reply]

La cittadinanza l'hai avuta l'estate scorsa?

[reply]Ad agosto 2022.[/reply]

Pensi che ti abbiano dato la cittadinanza per meriti?

[reply]Spero di no. La domanda l'avevo già fatta in passato. Nel mio cuore spero tanto di no, non vorrei passare il messaggio che se ti impegni puoi meritartela.[/reply]

Ci sono atleti che si concentrano prevalentemente sull'attività sportiva, ma c'è anche chi si espone su temi sensibili a livello socio-politico. Tu sembri una persona a cui certe questioni - legate all’integrazione, al rispetto della diversità, alla discriminazione - stanno a cuore. Se prendessi in carico questi argomenti, anche con un po’ di malizia, sarebbe più semplice per te costruire un’immagine mediatica come pugile. Che idea hai su questo aspetto?

[reply]Credo che sia molto difficile gestire queste cose. Quando i media hanno iniziato a parlare con frequenza di me, negli anni della pandemia, molti ragazzi della palestra erano convinti che dovessi assumere un ruolo di guida, che dovessi parlare della difficoltà dei neri. Spesso mi viene chiesto di parlarne, ma non posso essere un simbolo in questo senso. Entrambi i miei genitori lavorano, mi hanno accudito, ho vissuto con loro in una bella casa, mi hanno mandato all'università. Non posso certo dire di essere una ragazza nera sfortunata, non sono arrivata su un barcone. Pensa che una volta, mentre stavamo tornando a Bologna dopo un match, un giornalista chiamò il mio allenatore e gli chiese di me parlando della “pugile naufraga”. Queste battaglie sono anche mie, ma io non voglio appropriarmi di un argomento così sensibile, di cui conosco molto poco. Sono stata una privilegiata, non posso dire: "ho sofferto, non mangiavo".[/reply]

Il processo mediatico spesso è quello di prendere una persona che appartiene a una minoranza e, per forza, renderla rappresentativa di tutta quella categoria, però non funziona così.

[reply]Ciascuno ha la sua esperienza, la sua storia da raccontare, per ciascuno è diverso.[/reply]

Ti sei sentita strumentalizzata?

[reply]In un certo senso è una cosa naturale, soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo. Anche per il posto in cui siamo, Bologna, in cui si lotta molto per i diritti di cittadinanza e per l'integrazione. Sono una pugile, donna, extracomunitaria e infermiera che ha lavorato durante il Covid-19: avevo tutte le caratteristiche di una persona che può essere elevata a simbolo.[/reply]

Cambiando argomento, sarei curioso di sapere di più sul tuo appuntamento di fine estate. L’8 settembre combatti per il titolo italiano dei pesi leggeri, a Casoria. La tua avversaria, com'è?

[reply]Con lei ci conosciamo già, si chiama Nadia Flalhi. Anche lei è stata campionessa italiana, nel 2018. È molto brava come pugile, è longilinea, alta e tecnica. Ha anche un bel pugno, di quelli che fanno abbastanza male. Mi sto preparando molto sulla difesa, voglio demolire le sue sicurezze. Devo stare mobile sulle gambe, girare, avere i colpi un po' lunghi. Stiamo lavorando per provare gli incroci, per provare i colpi sotto.[/reply]

E invece, com’è stato il percorso che ti ha portato a combattere per il titolo?

[reply]L'idea era di arrivarci anche prima ad un incontro come questo, ma purtroppo abbiamo subito uno stop forzato nella preparazione. L’estate scorsa, da un giorno all’altro, ci siamo ritrovati con i sigilli alla palestra. C’erano dei problemi strutturali: in teoria stavamo cercando una soluzione di concerto col comune, vista anche la funzione che la Bolognina Boxe assolve in quartiere. Invece, senza troppo preavviso, ci hanno chiuso. Per alcuni mesi siamo rimasti senza una sede dove allenarci con regolarità. Così, quando sono rientrata a combattere, abbiamo dovuto ricominciare il percorso di preparazione da capo, facendo qualche altro match di rodaggio.[/reply]

Lo senti come uno dei match più importanti della tua carriera?

[reply]Per me è un match-prova, per vedere qual è il mio livello e capire se in questi due anni in cui ho lavorato per diventare pro ho lavorato bene, se sono una pugile di livello che può anche confrontarsi con le pugili fuori dai confini nazionali. È un po' lo spartiacque per dire: "ok, in Italia ho dato, posso provare l'estero". Vediamo cosa riusciamo a fare.[/reply]

Inizia a montare un po' di ansia?

[reply]Per il momento no. Di solito, durante la preparazione, sono tranquilla. Qualche giorno fa c’è stata la conferenza stampa in Comune in vista dell'incontro, lì ero un po' agitata. Quando percepisco che molte persone hanno delle aspettative tendo a essere più tesa. Altre volte sono più calma e mi immagino tutto l’incontro, lo visualizzo. Nella settimana del match tendenzialmente sono tranquilla, di solito l’ansia si presenta dieci minuti prima di salire sul ring, poi durante la prima ripresa mi sciolgo.[/reply]

Tu fai anche l'infermiera. Questo è un match che può portare la tua carriera ad un livello diverso? Hai mai pensato di fare solo questo sport?

[reply]Risponderò con una battuta molto italiana: il posto fisso non si lascia. Lo dico sempre! Me lo chiedono in molti: perché non lasci sto lavoro per fare pugilato? A parte gli scherzi, a me fare l'infermiera piace. È il mio punto fisso, una cosa a cui ritorno, l'ho studiata e mi piace. Potrò farla sempre. Poi se mi venisse offerta la possibilità di fare un titolo importante, per cui dovrei mettere in pausa il mio lavoro, valuterò.[/reply]

Comunque, diventare professionisti nel pugilato non significa essere sotto contratto con una squadra di calcio. Soprattutto in Italia.

[reply]Puoi fare un match ogni 25 giorni, ma in media un pugile combatte una volta ogni due mesi. In Italia pagano in media noi donne tra i 600 e i 1.000 euro e gli uomini tra i 1000 e i 1200 euro. A Bologna non vivo neanche un mese con quei soldi. E ho anche la fortuna di far parte di una palestra popolare: praticamente non pago niente. In alcune palestre devi pagare un preparatore che ti allena, un maestro che ti allena e se dopo gli elementi pesanti vuoi fare un massaggio devi pagare…[/reply]

Questo match è un crocevia importante, però mi sembra di capire che tu cerchi di non pensare troppo in prospettiva.

[reply]Il mio obiettivo adesso è questo match. È davvero un match importante per me: un punto di partenza, ma anche un punto di rottura. Se va male male male, che salgo sul ring e non la trovo neanche, vuol dire che davvero c'è ancora tanto lavoro da fare. Sarà un momento della verità.[/reply]

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