L’asfalto assorbe il calore e lo restituisce all’aria, rendendola torrida. Bologna, a fine luglio, si svuota. Restano alcuni coraggiosi turisti, le cicale rumorose sugli alberi e le persone che lavorano anche in piena estate. Una di queste è Pamela Malvina Noutcho Sawa, pugile italiana di origini camerunensi. La incontriamo durante una pausa dal suo allenamento. Deve prepararsi per un match importante: combatterà l’8 settembre a Casoria, vicino a Napoli, per il titolo italiano dei pesi leggeri.
La strada che l’ha portata a questo incontro è stata segnata da ostacoli non solo di natura sportiva. Pamela si è trasferita in Italia quando aveva otto anni. È cresciuta a Perugia con i suoi genitori, ora lavora come infermiera all’ospedale Maggiore di Bologna. La cittadinanza italiana, però, è arrivata solo nell’estate del 2022, dopo un percorso burocratico lungo e tortuoso.
Durante il periodo della pandemia, la vicenda di Pamela ha avuto particolare risalto grazie al suo lavoro da infermiera. La sua figura è stata elevata a modello nella battaglia per l’ottenimento della cittadinanza: nessuno le ha mai chiesto se si sentisse a suo agio in questo ruolo, ci dice. Non le piace quando le chiedono se si senta un esempio da seguire, perché una domanda come questa serve a rinforzare l’idea che la cittadinanza sia una conseguenza delle vittorie sul ring o della dedizione al suo lavoro da infermiera. Qualcosa che ti devi meritare.
Quello di Pamela è un profilo che va oltre l’etichetta di infermiera-pugile che combatte sia sul ring che in corsia. Sa di poter diventare simbolo delle lotte per i diritti civili, ma è consapevole di voler avere il controllo sulla narrazione di sé. E, soprattutto, vuole concentrarsi principalmente sulla boxe, perché Pamela è un’atleta incredibilmente promettente.
Siamo alla Bolognina Boxe, in cui sembra che la palestra sia uno dei pochi luoghi vitali in una città sonnecchiante. Le tappe che hanno portato Pamela a giocarsi un titolo così importante sono indissolubilmente legate a questa palestra popolare che, come recita il suo slogan, è animata da “Gente che lotta dentro e fuori dal ring!”. Una comunità sportiva e politica che si spende per consentire a tutti l’accesso libero allo sport. È impossibile parlare di Pamela senza parlare di Bolognina Boxe: il ruolo di supporto che la palestra ha ricoperto nella battaglia personale di questa pugile, in particolare attraverso la figura del maestro Alessandro Dané, è stato fondamentale e le ha permesso, dopo troppi anni, di ottenere quel documento che le consentirà di competere per il titolo italiano dei pesi leggeri.
Foto di Valerio Lo Muzio
Ci racconti il percorso che ti ha portata ad essere qui oggi?
È interessante che sia stato il tuo percorso accademico che ti ha portata a conoscere la boxe. Non è una cosa che succede spesso. Altra cosa interessante: di solito, quando si parla con persone che fanno sport a livelli molto alti, si sentono dire frasi come: “avevo la vocazione già da piccolo, ho sempre voluto fare questo…”. Non è il tuo caso.
C’è stato un momento in cui hai capito che era il caso di dedicarsi anima e corpo al pugilato?
In un’intervista hai raccontato di quando ti è stato impedito di disputare incontri con la Nazionale a causa dei problemi legati alla cittadinanza. Quel momento com’è stato per te?
Quindi, senza la cittadinanza potevi disputare i campionati italiani assoluti da dilettante però non potevi competere con la Nazionale. E quando sei passata professionista, sempre per lo stesso problema, non potevi competere per il titolo italiano?
Nei tuoi cinque match da professionista hai totalizzato cinque vittorie, di cui una per KO, è andata abbastanza bene finora. Si dice spesso che la boxe dilettantistica e quella da pro siano due sport molto diversi: adesso che puoi iniziare a fare un bilancio – hai un’esperienza da dilettante solida e una da pro che inizia ad avere il suo spessore – quali sono le differenze principali? Immagino che anche gli allenamenti siano cambiati molto.
Cambia il match, ma cambia tantissimo anche la preparazione al match. Anche perché sai chi è il tuo avversario.
Mi sembra che ci sia anche più spazio per l’estro del singolo pugile. La boxe dilettantistica ha un approccio uguale con tutti, invece nella boxe professionistica c’è più spazio per esprimersi. Se dovessi descrivere il tuo stile da pugile? Quali sono i tuoi tratti identificativi?
Nel pugilato da pro le carriere si costruiscono, c’è molta attenzione alla scelta dei match, del management… Abbiamo parlato dell’adattamento sportivo nel passaggio dai dilettanti ai professionisti, ti chiedo qualcosa su quest’altra parte. Tu hai un management? Come si è evoluto questo aspetto della tua carriera?
Il tuo rapporto con la palestra come si è sviluppato nel corso del tempo? Immagino tu sia molto legata a questo ambiente.
Volevo tirare fuori questa cosa, ci ho pensato mentre venivamo qui. È difficile non legarsi a questo luogo, che come tante palestre popolari è un posto in cui, oltre ad un’offerta sportiva a prezzi accessibili per tutte e tutti, c’è molto altro: cultura, socialità, aggregazione, senso di appartenenza. È il motivo per cui la gente è disposta a impegnarsi per organizzare appuntamenti e riunioni. L’anno scorso ho visto il tuo debutto, in una cornice suggestiva e non proprio tradizionale come la corte di un complesso di case popolari, e c’erano almeno mille persone a tifarti. Fumogeni, cori, una walkout song come la rage di Keny Arkana. È stato davvero incredibile.
Fare un match di boxe, da dilettante o anche da professionista, ti porta a combattere davanti a quante persone? Venti, trenta, quaranta… cento? Alle riunioni di pugilato di questa palestra ci sono sempre, minimo, seicento persone. È una cosa che ti mette energia.
Siamo in un momento in cui questo sport, a livello maschile e femminile, in Italia sta tornando ad avere un certo seguito che prima non aveva. Se ne parla sempre più, grazie ad alcuni broadcaster che hanno ricominciato a trasmetterla ma anche grazie ai social. Nel pugilato femminile ci sono figure piuttosto rilevanti che competono nei main event delle serate, penso a Katie Taylor. Però mi sembra che ai pugili venga richiesto di avere anche un volto mediatico, di essere personaggi. Costruire una carriera solo sul ring sembra sempre più difficile. Tu questa cosa come la vivi?
Non ti ci vedi a fare trash talking sulle stories di instagram.
Forse da noi certi sportivi sono più visibili perché parlano anche di temi che non c’entrano direttamente con lo sport. Cose che sono state associate anche a te, come l’integrazione o altri temi sociali.
Questo discorso, preso da questo punto di vista, mi sembra interessante. Da un lato immagino che tu certi temi li senta vicini; dall’altro mi sembra di sentire da parte tua, e giustamente, un pizzico di insofferenza, come se volessi dire: “non sono soltanto la pugile-infermiera che non ha avuto la cittadinanza per tanto tempo”. Quando sei diventata un simbolo di integrazione e di lotte civili, hai sentito che la tua individualità veniva messa da parte?
La cittadinanza l’hai avuta l’estate scorsa?
Pensi che ti abbiano dato la cittadinanza per meriti?
Ci sono atleti che si concentrano prevalentemente sull’attività sportiva, ma c’è anche chi si espone su temi sensibili a livello socio-politico. Tu sembri una persona a cui certe questioni – legate all’integrazione, al rispetto della diversità, alla discriminazione – stanno a cuore. Se prendessi in carico questi argomenti, anche con un po’ di malizia, sarebbe più semplice per te costruire un’immagine mediatica come pugile. Che idea hai su questo aspetto?
Il processo mediatico spesso è quello di prendere una persona che appartiene a una minoranza e, per forza, renderla rappresentativa di tutta quella categoria, però non funziona così.
Ti sei sentita strumentalizzata?
Cambiando argomento, sarei curioso di sapere di più sul tuo appuntamento di fine estate. L’8 settembre combatti per il titolo italiano dei pesi leggeri, a Casoria. La tua avversaria, com’è?
E invece, com’è stato il percorso che ti ha portato a combattere per il titolo?
Lo senti come uno dei match più importanti della tua carriera?
Inizia a montare un po’ di ansia?
Tu fai anche l’infermiera. Questo è un match che può portare la tua carriera ad un livello diverso? Hai mai pensato di fare solo questo sport?
Comunque, diventare professionisti nel pugilato non significa essere sotto contratto con una squadra di calcio. Soprattutto in Italia.
Questo match è un crocevia importante, però mi sembra di capire che tu cerchi di non pensare troppo in prospettiva.