
Con il Bodo si parla sempre del freddo, del campo sintetico e quasi mai della trappola retorica che rappresenta, ancora prima che di campo. Se si perde, infatti, si è perso persino con il Bodo; se si vince, invece, si è vinto solo con il Bodo. Su Ultimo Uomo abbiamo parlato a più riprese delle meraviglie di questa squadra norvegese: spesso nel Bello del Giovedì, quando ancora pensavamo che potessimo relegare questo club nelle coppe minori, e più approfonditamente alla fine della scorsa stagione, quando Marco D’Ottavi ne scrisse poco prima di un quarto di finale di Europa League contro la Lazio.
Da quando Paolo Di Canio qualche anno fa coniò il termine “salmonari” (che ha ispirato anche il titolo di quel pezzo), il Bodo con una certa perfidia continua a comparire sul percorso europeo delle squadre italiane più in crisi quasi ogni anno, come a volerle inchiodare alle proprie idiosincrasie. Aveva iniziato la Roma nel 2021 con la famosa sconfitta per 6-1 che aveva segnato un prima e dopo di quella stagione; ci si è scontrata la Lazio la scorsa stagione, frantumando l'esperienza di Marco Baroni sulla panchina biancoceleste; adesso era il turno della Juventus.
Il Bodo è un ostacolo spaventoso ancora prima di scendere in campo per ciò che rappresenta - lo è per tutte le grandi squadre europee, certo, ma per quelle italiane ancora di più. Parliamo di una squadra costruita quasi letteralmente sul niente, in un Paese con una tradizione calcistica modesta, in un ambiente in cui persino vivere è difficile - figuriamoci giocare per strada. E che nonostante questo gioca come il Barcellona di Guardiola. Una squadra che addirittura si prefigge di reclutare parte dei propri giocatori solo in una specifica regione della Norvegia e che con il suo gioco fa scivolare come sabbia tra le mani i nostri discorsi per cui, per esempio, per costruire l’azione dal basso ci vogliono per forza giocatori di un certo livello.
Anche - forse soprattutto - per questo, la trasferta europea della Juventus veniva avvertita come uno snodo cruciale della stagione. Dopo la vittoria faticosa all’esordio contro la Cremonese, la nuova avventura di Luciano Spalletti sulla panchina bianconera sembrava essersi già impantanata, le sue righe sulla fronte già diventate più pronunciate. La Juventus aveva raccolto tre pareggi di fila nelle ultime tre partite, senza segnare mai più di un gol, e le innovazioni apportate dal nuovo tecnico, come l’abbassamento di Koopmeiners in difesa, iniziavano ad apparire come palliativi per una malattia molto più profonda. In Champions League, poi, c’era una classifica da aggiustare, raccogliere punti per scongiurare un’eliminazione nella fase campionato che sarebbe stata percepita come un nuovo punto di non ritorno. Insomma, se la Juventus non fosse riuscita a fare risultato nemmeno con il Bodo, ieri, avremmo trovato significati più grandi, la prova che eravamo di fronte a un’altra stagione senza uscita.
Al di là della pressione, giocare contro il Bodo è difficile di per sé - non solo per il freddo per il freddo e il campo sintetico. È difficile anche se dei suoi giocatori ne conosciamo uno al massimo.
La squadra di Spalletti se n’è accorta subito quando i norvegesi hanno iniziato a giocare con calma nella pressione avversaria, muovendo la palla a terra in spazi stretti anche nei corridoi centrali, in un modo che le squadre di Serie A forse non sono più abituate a difendere. Per dire: la Juventus, in Serie A, ha una media di possesso palla del 58% e ieri, a fine primo tempo, questa statistica era scesa fino al 42,4%.
In Italia ci ripetiamo ossessivamente che avere il pallone di per sé non significa niente, ma il Bodo sembra giocare proprio per smentire questo luogo comune paradossale - per ricordarci che il pallone può essere (anzi: è) uno strumento per disordinare l’avversario, anche se tecnicamente ti è superiore. Lo si è visto nel lungo possesso che ha portato per due volte il Bodo vicino al gol alla metà del primo tempo - prima di segnarlo davvero, su calcio d’angolo, al 27’. Di fatto, nei tre minuti che hanno preceduto il colpo di testa di Blomberg, la Juventus non ha mai toccato il pallone.
La squadra norvegese è arrivata al tiro da dentro l’area per due volte nell’arco di una manciata di secondi. Prima con Blomberg al 25’, alla fine di un’azione elaboratissima, fatto di possesso orizzontale e cambi di gioco. Poi con Mättää al 26’, dopo che Berg aveva recuperato ai limiti dell’area una seconda palla nata da un contrasto tentato da Conceiçao, che era finalmente riuscito a spezzare la trama di passaggi degli avversari. Sul tiro di Mättää, ribattuto da Cambiaso (che ha esultato come si fa di solito nei secondi finali di una partita), nascerà il calcio d’angolo del vantaggio norvegese.
La Juventus nel primo tempo ha sofferto soprattutto la difesa dei mezzi spazi che il Bodo, seguendo alla lettera il manuale del gioco di posizione, occupava con le due mezzali (che ieri erano Evjen e Fet) oppure con l’accentramento delle due ali (Blomberg e Mättää). Il classico triangolo che si veniva a creare con il terzino ha messo in crisi la difesa della Juventus, soprattutto i due "braccetti" (Kalulu e Koopmeiners), che per via di queste rotazioni sembravano sempre un attimo in ritardo a spezzare la linea di difesa per uscire sulle ricezioni tra le linee.
Sul tiro ravvicinato di Blomberg al 25’, per esempio, è stato Kalulu ad arrivare in ritardo, permettendo proprio a Blomberg di ricevere verso l’interno della trequarti e di scaricare palla sull’esterno opposto. Ad aprirgli lo spazio centralmente, in quel caso, era stato proprio il movimento di Fet dal mezzo spazio verso la profondità - un movimento che aveva portato via Miretti.

Al 34’ il Bodo è arrivato di nuovo al tiro dal limite dell’area sfruttando la stessa debolezza. Su un’azione manovrata con calma dal basso, Kalulu è rimasto a metà strada tra Fet e Blomberg con il risultato di non prendere né l’uno né l’altro. Il terzino sinistro, Bjorkan, ha pescato Fet nel corridoio di destra con un piccolo lob; la mezzala del Bodo, quindi, ha trasmesso palla a Blomberg sull’esterno, permettendo al Bodo di arrivare fin dentro l’area, dove Hogh poi è stato ribattuto in scivolata alla disperata da Locatelli.
La Juventus, comunque, ha fatto un primo tempo migliore di quanto forse ieri in diretta non ci sia sembrato (forse proprio perché per l’ennesima volta non ci aspettavamo che il Bodo potesse giocare a questo livello, anche se ormai stiamo parlando di una squadra che viene da una semifinale di Europa League). Nonostante il dominio territoriale della squadra norvegese, i bianconeri sono andati vicino al gol almeno due volte - entrambe con Conceiçao, che ha confermato la sua dimensione di giocatore appariscente ma un po’ fumoso quando c’è da concludere l’azione - e spesso sono riusciti a uscire dal pressing alto del Bodo con connessioni tecniche brillanti, che mettevano il campo in discesa verso la porta difesa da Haikin.
Da questo punto di vista è stata molto utile la prestazione di Openda, che ha fatto un ottimo lavoro a cucire il gioco venendo incontro sulla trequarti, ma ancora di più la decisione non scontata di stringere Conceiçao da destra a sinistra, quando la palla era da quel lato, per avvicinarlo al lato forte che per la Juventus si creava naturalmente quando iniziavano a dialogare Cambiaso, Koopmeiners e Miretti.
La squadra di Spalletti è arrivata un passo dal pareggio proprio in questo modo già alla fine del primo tempo, ostinandosi a giocare il pallone fin dentro la propria area e bucando la prima linea di pressione avversaria con una bella verticalizzazione di Miretti verso Conceiçao, che ha quasi tolto il pallone dai piedi di Adzic. Il portoghese ha aperto a destra verso McKennie, sempre intelligentissimo ad occupare gli spazi vuoti lasciati dai compagni, e in questo caso addirittura geniale nel trovare una traccia orizzontale per chiudere il triangolo con il suo compagno. L'ala portoghese è stato messo nelle condizioni di calciare un rigore in movimento ma il tiro è uscito sgonfio. Il pallone è finito docile tra le mani di Haikin, ma da quella azione Spalletti deve aver capito come girare dalla propria parte il secondo tempo.
All’inizio della ripresa l’allenatore toscano ha tolto Adzic per inserire Yildiz e la mossa è stata decisiva non solo per il diverso peso tecnico dei due giocatori, ma anche perché ha aiutato la Juventus ad occupare meglio il campo. Con Conceiçao che veniva molto dentro, infatti, Adzic - che a sua volta preferisce giocare molto nei corridoi centrali - diventava di fatto superfluo, togliendo un giocatore alla Juventus, e anche da questo punto di vista va vista la sua prestazione opaca. Yildiz invece ha subito iniziato a isolarsi sull’esterno di sinistra, spostando ancora di più il centro di gravità della Juventus da quella parte, e permettendo a Conceiçao di rimanere largo a destra. In questo modo, il campo da coprire per il Bodo ha iniziato ad allargarsi, e difendere entrambi i lati del campo contemporaneamente è diventato sempre più difficile.
Non a caso, nel corso del secondo tempo, sono diventati sempre più importanti i cambi di gioco, con cui la Juventus trovava sempre Conceiçao in isolamento a destra dopo che il Bodo si era concentrato tutto dall’altra parte per cercare di tamponare Yildiz; e gli inserimenti delle due mezzali nei corridoi intermedi, diventati molto più difficili da difendere per la squadra norvegese una volta che il fronte dell’attacco bianconero si era esteso a tutta l’estensione orizzontale del campo.
Sul gol del pareggio è stato proprio un controllo orientato di Miretti nel mezzo spazio di sinistra verso l’area di rigore a portare alla mischia in area che ha prodotto il tiro decisivo di Openda, ma è soprattutto sul gol dell’1-2 che si è visto quanto il nuovo assetto della Juventus avesse messo in crisi gli avversari.
La Juventus ha recuperato palla sulla trequarti con un’uscita aggressiva di Koopmeiners e da destra ha trasferito il pallone a sinistra. Lì Yildiz ha calamitato l’attenzione di ben quattro giocatori diversi e poi ha imbucato in verticale per Miretti, che si è inserito di nuovo in area dal mezzo spazio di sinistra. Il centrocampista della Juventus ha lasciato scorrere il pallone e poi di prima l’ha messo con un cross morbido sul secondo palo, ben attaccato da McKennie.
Nel secondo tempo la Juventus ha sfondato, forte anche di un'aggressività molto più accentuata sulla prima costruzione avversaria, che ha tolto al Bodo la possibilità di far risalire il pallone in maniera pulita. La squadra di Spalletti in questo modo ha creato 15 dei suoi 23 tiri totali (11 dei 16 in porta), in una partita in cui è riuscita a produrre ben 3.44 xG (dati Sofa Score). Il risultato, però, sarebbe potuto essere comunque molto diverso da quello che ci troviamo a commentare oggi, e comunque non va sottovalutato il fatto che anche il Bodo di xG ne ha creati 1.75.
La squadra norvegese ha pareggiato all’87’ su un calcio di rigore confezionato dalla disattenzione prima di Kelly (che non è salito per mettere Jorgensen in fuorigioco sul lancio della difesa) e poi di Cabal (che è entrato direttamente con i tacchetti sulla tibia di Auklend), e poi avrebbe potuto anche vincere, se Fet al 90’ fosse stato più pronto a tirare al centro dell’area di rigore o se l’arbitro fosse stato più severo nel valutare la scivolata un po' avventata di Locatelli su Hauge, che si era inserito in area da sinistra.
Nessuna squadra come la Juventus ha chiamato i suoi avversari a concentrarsi sui risultati più che sulle prestazioni. La squadra bianconera, però, ha bisogno di certezze ancora prima dei risultati per poter guardare al futuro con più ottimismo e per una squadra italiana non c’è niente di meglio oggi che una prestazione convincente in Norvegia contro il Bodo-Glimt.







