
"Como no somos los únicos, decidimos ser los mejores": visto che non siamo gli unici, abbiamo deciso di essere i migliori. Questo motto è stampato, a lettere cubitali, su uno dei trapos, su uno striscione (o, come li chiamano in Argentina, su un manto sagrado, un sacro mantello) che copre i tre anelli della Popular, – la curva occupata dal Jugador Número 12, il cuore pulsante della passione per il Boca Juniors – La Bombonera. In quella manciata di parole, rivendicate come una professione di fede, c’è tutto lo spirito di uno dei club più affascinanti, vincenti e conosciuti dell’intera America Latina. In quelle due frasi c’è anche la volontà di non accettare la ciclicità, o meglio: l’intenzione, rassicurante, di trascenderla. Come se, nella testa degli hinchas bosteros, sopravviva – nonostante la sostanza effimera di cui è fatto il successo – qualcosa di più roccioso, che rende il xeneize non solo, ovviamente, ineguagliabile, ma anche difficilmente avvicinabile, a livello di appeal, tanto dagli altri club del continente quanto, per certi versi, dalla stragrande maggioranza delle corazzate europee. Un club mitico, insomma, la cui gloria però ultimamente è diventata una chimera da inseguire. Una specie di ribaltamento del motto dello striscione: "Visto che non siamo i migliori, almeno siamo unici».
Nonostante il Boca Juniors sia il club più vincente dell’America Latina e, a livello mondiale, detenga il record di Coppe Intercontinentali conquistate, a La Bombonera non si solleva un trofeo internazionale da quasi vent’anni (l’ultimo nel 2008, anno in cui gli xeneizes fecero loro la Recopa Sudamericana). Il tempo sembra essersi fermato, vittima di un incantesimo, a quel maledetto dicembre del 2018, quando è giunta come una mannaia a recidere sogni e ambizioni la sconfitta impartita dagli eterni rivali del River Plate nell’ultima doppia finale della storia della Copa Libertadores. E proprio come capita in quelle cassette di mele in cui ce n’è una bacata che inizia a far marcire tutte le altre, dalle parti di Brandsen 805 le cose da quel momento hanno preso a non andare proprio benissimo. È come se il xeneize sia entrato in un loop inarrestabile: arriva a un passo dalla gloria continentale, raggiunge la finale e poi crolla malamente. Dopo la Final del Mundo è successo ancora, nel 2023 a Rio contro il Fluminense.
Anche l’ultimo successo tout court, ormai, è datato: l'ultima vittoria nel campionato argentino risale al 2022, poca cosa però rispetto alle mire gloriose del club de La Boca.
Per cercare di curare questa anoressia di vittorie, i soci del xeneize avevano deciso, a dicembre 2019, di affidarsi a quello che è l’idolo massimo del club, a quel Juan Román Riquelme che, a La Bombonera, forse è superiore anche a Diego Armando Maradona. Pieni di fede in Román – con quel misto di sentimenti tra irrazionale e cieca convinzione tipico di ogni atto di fede – lo hanno investito dapprima del ruolo di vice del presidente Jorge Amor Ameal – al fianco del quale è stato in carica 4 anni; poi, dal 2023, hanno scelto di far indossare proprio a lui le vesti di Grande Timoniere, al vertice della società. Un doppio clamoroso plebiscito, insomma, con percentuali bulgare. Un’investitura per acclamazione che, nelle menti e nei cuori dei "Bosteros", avrebbe garantito una nuova epoca d’oro, proprio come quando Román vestiva la numero 10, e che invece ha regalato al club solo la miseria di due campionati, una Copa Argentina, una Supercoppa nazionale e una Copa del la Liga Profesional. Frattaglie, in pratica, che non possono saziare la fame di gloria di quello che vuole raccontarsi come "el movimiento popular más grande del mundo". Una tifoseria che sogna la settima Copa Libertadores.
Quando i risultati sono ampiamente inferiori alle aspettative, come sempre accade, anche le statue dei padri nobili iniziano a traballare. In questo caso, ovviamente, è stato il piedistallo di Riquelme a vacillare: dapprima a febbraio, quando il Boca è stato eliminato dall’Alianza Lima nel secondo turno preliminare di Libertadores, vedendosi impedito l’accesso alla fase a gironi (e quanto sia importante la Libertadores a Brandsen 805 è chiarissimo se si ascolta uno dei cori più famosi, quello che dice «y dale alegria a mi corazón… la Copa Libertadores es mi obsesión»). Poi, prepotentemente, nel mese di maggio, quando il pari contro il Lanús e il crollo, pochi giorni dopo, contro l’Independiente ha complicato il percorso in campionato, terminato con un altro zero in bacheca alla voce trofei (l’ennesimo).
Comprensibile allora che buona parte del pubblico presente a La Bombonera abbia iniziato a dare sfogo alla rabbia, alla delusione, all’enorme frustrazione accumulata in troppe gare sotto tono, in cui mai è stato mostrato non solo un gioco decente, ma neppure – e verrebbe da dire soprattutto – quel segno distintivo del bosterismo, los huevos, le palle, gli attributi, la voglia di combattere. Il coro che ha avvolto tutto l’impianto e che è stato ripetuto più e più volte non lascia spazio all’immaginazione, è molto più che chiaro: «La comisión, la comisión se va a la puta que los parió», qualcosa del tipo: "questa dirigenza sta andando a puttane".
È interessante notare che Riquelme, il massimo idolo, non è stato ancora insultato direttamente: è come se la sua gloria passata gli garantisca – ancora – una sorta di immunità diplomatica. È stato risparmiato, per ora, ma sembra camminare sulla lama del rasoio, costretto ad aggiungere costantemente pesetti sulla bilancia del gradimento: da una parte cercare di riportare a La Bombonera Paredes, dall’altra cercare di fare una figura decente al Mondiale per Club negli Stati Uniti - palliativo che in queste condizioni potrebbe tornare utile. Che ci sia anche lui al centro di questa contestazione però è chiaro dal fatto che ad essere criticati siano i suoi collaboratori diretti, più fidati, quelli scelti direttamente da "El Diez" in persona, la comisión appunto.
«Insultano Román e i suoi fedelissimi per un motivo ben preciso», mi racconta Gus, una vita nella barra, nel Jugador Número 12. «E quel motivo è meramente politico: stanno provando a farlo fuori, a esautorarlo, a far sì che molli l’osso, che abbandoni el patio de su casa, che lasci la presidenza del club dove è diventato famoso, che dica addio alla squadra che ha fatto grande e vincente non solo qui in Argentina ma in tutto il mondo, perché è scomodo». «E chi vuole farlo fuori sono i sostenitori di Macri e i fan di Milei. Sono loro i responsabili principali della contestazione, con l’avallo della federcalcio argentina e della CONMEBOL, la confederazione del calcio sudamericano. Lo attaccano senza pietà perché sanno bene che se riuscisse a vincere qualcosa di importante da presidente, o se cominciassero davvero i lavori di ammodernamento e di ampliamento dello stadio, beh, i macristi e i fascioliberisti di Milei al timone del club non tornerebbero mai più. Nemmeno tra un milione di anni».
Per comprendere il punto di vista di Gus c’è bisogno di un po’ di contesto: le elezioni presidenziali del Boca, nel 2023, si sono tenute a due mesi di distanza da quelle presidenziali tout court. Hanno coinvolto centomila soci e sono state sospese più volte su richiesta del candidato filo-governativo, l’economista José Ibarra, dietro il quale si muoveva l’eminenza grigia dell'ex presidente Macrì e, implicitamente, dell'attuale presidente Milei, che è pure andato a votare – in quanto socio, nonostante abbia più volte dichiarato che nella finale del 2018 abbia sostenuto il River. Le elezioni del Boca, in qualche modo, si sono trasformate in una sacca di resistenza, anche perché Milei, nel corso della sua campagna presidenziale (per l’Argentina) aveva tirato in ballo un tema piuttosto dibattuto, cioè quello della privatizzazione dei club (meglio, la trasformazione in società per azioni con possibilità di investimenti privati) - uno storico cavallo di battaglia di Macrì.
«L’onda di destra nel Paese s’è assicurata tutto», continua Gus, «manca loro solo il simbolo sportivo d’Argentina, il club più amato, tifato, seguito, Manca solo La Mitad Más Uno, la metà più uno del Paese per fare filotto, per non avere più avversario alcuno. La destra ha contatti con "Chiqui" Tapia [cioè Claudio Tapia, presidente della federazione argentina di calcio, nda] e l’AFA, con Alejandro Domínguez, presidente della Conmebol, e quindi anche con gli arbitri argentini e continentali. Noi stiamo giocando male e non da oggi, questo è innegabile, ma se poi gli arbitri non ti concedono rigori solari o te ne fischiano contro alcuni che sono più che dubbi, beh, capisci che tutto diventa incredibilmente più difficile, che si crea un combo esplosivo: siamo bruttini a livello di prestazioni offerte e nei pochi momenti di brillantezza e lucidità ci pensano gli arbitri a azzopparti». Riquelme, insomma, e per estensione la squadra, sarebbero vittime di un complotto: «Quello che sta succedendo è una vergogna, una verguenza total e no, non mi riferisco alla gestione di Riquelme. La politica nazionale tenta di impossessarsi dell’ultima cosa che resta a noi peronisti: il Boca».
Il legame tra peronismo e La Boca, tra peronismo e Boca, è storicamente molto radicato. «Con questo non dico che non ci siano problemi nel club, non sono né cieco, né orbo, né boludo. Chi sa di calcio ha ben chiaro in testa che le squadre si fanno più unite, più forti e competitive con le vittorie: se quando tu stai vincendo, però, ci si mettono di mezzo gli arbitri e i giochi politici, beh, allora tutto diventa impossibile».
Sebastian Sellaro, che da lustri segue le vicende del Boca Juniors come giornalista per SomosBoca, mi spiega i motivi che hanno portato il xeneize ad essere una sorta di tritacarne per gli allenatori, visto che, sotto la vicepresidenza e presidenza di Riquelme sono stati fagocitati Miguel Ángel Russo, Seba Battaglia, Hugo Ibarra, Jorge Almirón, Diego Hernán Martínez, Fernando Gago. Pochi giorni fa, nel disperato tentativo di evitare una debacle al Mondiale per club, in panchina è tornato Russo: «Riquelme, da presidente, è oltremodo jugadorista, si mette sempre e comunque dalla parte dei giocatori essendo stato uno di loro. Li difende totalmente e incondizionatamente: lo ha fatto con Fabra, con Rojo, con Janson. I giocatori non hanno mai colpa, quello che paga è l’allenatore, sempre e comunque. Questo è qualcosa che, almeno per me, Román deve assolutamente rivedere: non può continuare a perdonare qualsiasi cosa ai giocatori, anche a quelli che in campo camminano anziché correre, licenziando tecnici uno dopo l’altro. Alla fine, quando vinci, il merito è dei giocatori all’80% e dell’allenatore per il restante 20%, no? Ecco: quando si perde dovrebbe essere lo stesso, la percentuale di colpa deve essere simile a quella del merito».
Che Riquelme continui a comportarsi come un giocatore, come fosse ancora un giocatore, è evidente anche da alcuni comportamenti presidenziali – come dire – leggermente anti istituzionali. In occasione del Superclásico di quest’anno ha dapprima disertato la conferenza stampa congiunta con il presidente del River Jorge Pablo Brito, un momento istituzionale teoricamente importante, visto che si sarebbe parlato anche della presenza dei due club al Mondiale di questi giorni; poi, dopo un’ora, si è sì presentato, ma ha dato le spalle a Brito, non gli ha voluto stringere la mano, insomma: mancava soltanto si turasse il naso o si segnasse il petto col segno della banda orizzontale.
In questo casino tremendo su cui spirano zeffiri mefitici di complotto politico, il Boca sbarca negli Stati Uniti per il Mondiale per club, e stanotte fa il suo esordio contro il Benfica del "Fideo" Ángel Di María e del fenomenino ex Vélez Sarsfield Gianluca Prestianni. Sabato 21 invece ci sarà da scalare una montagna chiamata Bayern Monaco. La chiusura della fase a gironi, martedì 24 contro i neozelandesi dell’Auckland City, potrebbe in qualche modo segnare le sorti di Riquelme, in un verso o nell’altro.
Realisticamente, viste le condizioni più che deficitarie della squadra, se arrivassero 4 punti figli di un pareggio con il Benfica e di una vittoria con l'Auckland City sarebbe già da considerarsi come un enorme e clamoroso successo, anche considerando il fatto che il tecnico Russo, in questa campagna acquisti, ha visto arrivare come rinforzi solamente Malcom Braida dal San Lorenzo e quel Marco Pellegrino che in Italia non ha convinto né con il Milan né con la Salernitana.
Le speranze di realizzare un miracolo saranno dunque tutte affidate, com'è da solida tradizione argentina, tutte concentrate su un totem. Anche stavolta è un diez, anche se non lo è davvero: Edinson Cavani, che compare assieme a Messi, Mbappé, Kane e Haaland nella prima pagina che L’Equipe ha creato per presentare il Mondiale.
Secondo Rolando Carlos Schiavi, ex compagno di squadra di Riquelme, con il quale ha vinto la Coppa Intercontinentale nella mitica finale contro il Real Madrid, l’uruguaiano potrebbe essere l’uomo del destino: «Per me è stato un super acquisto del Boca di Riquelme, e questo lo dico indipendentemente da alcuni gol clamorosi che ha sbagliato. Un attaccante per rendere al meglio deve ricevere cross e assist da scaricare in rete e al Boca, in questo Boca, le punte non sono aiutate al meglio, gli altri giocatori non creano molto. Attenti, però, a dare il Boca Juniors per sconfitto, magari pure con una goleada, contro il Benfica e il Bayern Monaco. Miguel Angel Russo sa perfettamente cosa è lo spirito Xeneize, sono sicuro che ficcherà nella testa dei suoi ragazzi la voglia di combattere su ogni palla, di mettere in campo la grinta, la garra, il dejar todo en la cancha ossia lottare fino a che le gambe non reggono più. Non dite che non vi ho avvertito: un risultato positivo contro i portoghesi potrebbe cambiare radicalmente le gerarchie nel girone e poi, con quelli del Bayern abbiamo un conto aperto da 24 anni, da quella finale Intercontinentale che i tedeschi ci scipparono nel 2001…».
Insomma, per evitare una débâcle il Boca dovrà sforzarsi di incarnare lo spirito di Benjamin, il ragazzino che divenne virale in un’intervista prima della finale di Libertadores del 2023 al Maracanã, quella in cui disse «abbiamo venduto la moto di papà e sorteggiato in una lotteria la mia Playstation per trovare i soldi per venire qui a Rio e manco abbiamo i biglietti per entrare alla partita. Però lo vedete che cosa è tutto questo? La vedete Copacabana dipinta di blu e giallo? Esto es Boca, loco! Questo è il Boca!».
Insomma dovrà dimostrarsi pronto a rinunciare a tutto – allo spirito di grandeur, all’orgoglio – per un bene superiore. E poi dovrà dimostrare che essere unici e essere i migliori non necessariamente sono due affermazioni che si smentiscono.