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Foto di Claudio Villa / Stringer
Calcio Tommaso Giagni 26 marzo 2019 9'

Biraghi, Lasagna e la classe media del calcio italiano

Le storie dei due giocatori che contro la Polonia hanno permesso alla Nazionale di tornare alla vittoria in una gara ufficiale dopo oltre un anno.

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Chorzów, Slesia, 14 ottobre 2018, minuti di recupero di Polonia-Italia di Nations League. La partita è inchiodata sullo 0-0, gli Azzurri non vincono una gara ufficiale da oltre un anno. Non riesce ad avviarsi un processo d’elaborazione dello spareggio con la Svezia e dei Mondiali visti da casa.

 

Calcio d’angolo dalla destra. Sul primo palo, Kevin Lasagna si avvita e colpisce di testa. È appena entrato in campo, il suo esordio assoluto con la nazionale. La palla attraversa l’area piccola, sul secondo palo Cristiano Biraghi ci arriva per primo e la spinge in rete. È la sua terza presenza in azzurro, il primo gol, lui che in carriera non ha segnato quasi mai. Alza le dita per una dedica a Davide Astori.

 

Appena tre settimane separano le date di nascita di Lasagna e Biraghi, 10 agosto e 1° settembre 1992. Non più giovanissimi, con percorsi diversi ma la stessa gavetta di serie inferiori e provincia, possono rappresentare bene la ricostruzione di una Nazionale in convalescenza.

 

Per entrambi la maglia azzurra sembrava un obiettivo eccessivo. Per Biraghi non l’avrebbe immaginato («Mai, sono sincero») neanche il tecnico, Claudio Foscarini, che per primo gli diede un posto da titolare. E probabilmente non lo avrebbe immaginato nessuno per Lasagna, che ha avuto un percorso ancora più accidentato e che la sera di Italia-Svezia sedeva da spettatore a San Siro.

 

L’instant spot ideato dall’azienda di formaggi e prodotti caseari Biraghi, a poche ore dal gol contro la Polonia.

 

Probabilmente Cristiano Biraghi di questo pezzo non ne verrà mai a conoscenza. La sua strategia è isolarsi da quello che ruota intorno al calcio, restare impermeabile sotto gli elogi e le critiche: «Non leggo mai niente. Vivo con il paraorecchie e il paraocchi, seguo solo la mia strada».

 

Da ragazzino era un attaccante. Dopo i primi calci a Carugate, già a otto anni era entrato nel vivaio dell’Atalanta e a dodici era passato alle giovanili nell’Inter, la squadra di cui è tifoso come tutta la famiglia.

 

Nella stagione 2010/’11 Rafa Benítez lo aggrega alla prima squadra fin dall’estate, quando Biraghi segna un gol da trenta metri in amichevole al Manchester City. Poco dopo esordisce anche da professionista, in Champions League contro il Twente. Davanti, nelle gerarchie e nell’esempio, ha una figura che diventa un amico e un riferimento come Maicon.

 

Nel 2016 Biraghi arriva a giocare con continuità in Serie A, con il Pescara. In Abruzzo pagherà una stagione del club nervosa e avara di gratificazioni, alla quale si allineerà con ben 11 ammonizioni.

 

Inter Milan's Cristiano Biraghi is congr

A diciassette anni, incredulo dopo aver segnato al Manchester City, nell’abbraccio Stanković e Natalino (foto di Nicholas Kamm / Getty Images).

 

In privato è giocoso e allegro, a fronte di un’immagine pubblica chiusa, che la moglie gli rimprovera. «Resto antipatico. Sono introverso, mi apro con pochissimi». Piuttosto ruvido in campo, dal carattere spigoloso secondo l’ex allenatore Foscarini, fuori Biraghi ama i videogiochi di guerra alla Playstation, anche se ci gioca poco “se no mi arrabbio”. Militare è anche la rigorosa autodisciplina, la severità verso se stesso che emerge nelle interviste, lui che sul petto ha tatuato per esteso: “Vae Victis”.

 

Il silenzio nel suo caso si direbbe un surrogato della diplomazia. Che gli manca: «Dovrei imparare a non dire sempre quello che penso». Probabilmente è per questo che ama Roger Federer e il suo autocontrollo, la capacità di mantenere il sorriso sulle labbra «senza arrabbiarsi, urlare, insultare l’avversario».

 

Più in generale Biraghi ammira la componente robotica dei grandi tennisti e ha una passione per il tennis tout court. Una volta è stato cacciato dal giudice di sedia perché da spettatore si era troppo avvicinato all’amico Marco Cecchinato per dargli consigli.

 

«Questo è un ambiente molto difficile. Non frega a nessuno che tu sei giovane, magari giovanissimo, e che vieni da un piccolo paese. Devi subito farti le ossa, le spalle grandi».

 

Lui in un piccolo paese, Cernusco sul Naviglio, ci è nato e in un altro piccolo paese, Carugate, ci è cresciuto. Da quel territorio, il calcio italiano ha già avuto tre difensori come Scirea, Tricella e Galbiati. Piuttosto che hinterland, Biraghi lo definisce «periferia di Milano: la vita lì non era in giacca e cravatta». Se non avesse sfondato con il pallone, si sarebbe visto benzinaio.

 

ACF Fiorentina v Cagliari Calcio - Serie A

Foto di Gabriele Maltinti / Stringer.

 

La prima esperienza lontano da casa è alla Juve Stabia. Il diciannovenne Biraghi vive alla periferia di Napoli, trova poco spazio in squadra, affronta un periodo duro che lo costringe a «crescere incredibilmente dal punto di vista umano».

 

È solo la prima delle cinque stagioni di prestiti che lo condurranno in giro, per l’Italia (Cittadella, Catania, Chievo) e all’estero (Granada). L’Inter non scommette davvero su di lui. E nell’estate del 2016 cede il suo cartellino appunto al Pescara, nell’operazione che porta Caprari in nerazzurro.

 

In quegli anni le cose sono sempre andate meglio con la nazionale. Presenza fissa nell’Under 19 e poi in Under 21. Con quest’ultima, allenata da Devis Mangia, argento agli Europei 2013 insieme a Verratti, Insigne e Immobile. Anche uno stage con la nazionale maggiore di Prandelli.

 

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Il gol alla Polonia (foto di Janek Skarzynski / Getty Images).

 

A Firenze è per l’ennesima volta in prestito, ma stavolta c’è l’obbligo di riscatto e un orizzonte più ampio. Quando arriva, trova il pregiudizio nei confronti dell’irresolutezza di un girovago di venticinque anni. Lui stesso a posteriori riconoscerà che lo scetticismo aveva senso: «Nench’io ero sicuro di essere all’altezza».

 

Invece scatta qualcosa. Perché con le prestazioni e i numeri (35 presenze, 1 gol, 5 assist) si guadagna la fiducia, e la fiducia gli dà stabilità, equilibrio, in un circolo virtuoso che lo fa crescere, diventare un giocatore più continuo. E inevitabilmente Biraghi, che ha un ruolo delicato e richiesto come il terzino, attira l’attenzione.

 

Quest’estate lo voleva il Milan. Perciò lui è andato da Pioli a parlar chiaro: «Gli ho chiesto se aveva fiducia in me, il che non significa avere il posto fisso da titolare». L’allenatore lo ha rassicurato, il ragazzo ha detto al suo agente di non iniziare nemmeno la trattativa.

 

Finalmente, con questa stagione, Biraghi non ha dovuto cambiare compagni, società, ambiente. La Fiorentina è diventata la squadra con cui ha messo insieme più presenze. Finora non ha saltato una partita del 2018/’19. L’ingresso nel giro della Nazionale maggiore sembra una conseguenza logica, non certo un colpo di fortuna.

 

Chievo Verona v Udinese - Serie A

Foto di Emilio Andreoli / Stringer

 

A diciannove anni, Kevin Lasagna gioca a calcetto nelle partite tra Carabinieri e Finanzieri del mantovano. A ventuno, la Virtus Verona non lo acquista perché 16mila euro per il cartellino sono troppi.

 

A ventidue anni, poi, non ha neanche una presenza nel calcio professionistico. Lasagna ha la maglia dell’Este, nei Dilettanti. Ci è arrivato tra i malumori dei tifosi, che si aspettavano di accogliere lo svincolato Emiliano Bonazzoli e hanno dovuto accontentarsi di “un perfetto sconosciuto”. Uno che fino a quel momento aveva giocato nella Governolese (i “pirati del Mincio”) e nel Cerea. A distanza di 52 mesi dalla firma con i giallorossi euganei, il ragazzo è in campo con la Nazionale italiana.

 

Kevin e sua sorella Sharon (i nomi sono un omaggio molto anni Novanta a Kevin Costner e Sharon Stone), sono cresciuti a San Benedetto Po, nel basso mantovano. Tifoso dell’Inter, con Ronaldo come idolo, per lui il calcio era più o meno tutto. In una camera da letto disordinatissima, gli scarpini erano lustri e perfettamente allineati.

 

Hellas Verona FC v Carpi FC - Serie A

KL15 (foto di Dino Panato / Stringer)

 

A un certo punto le giovanili del Chievo Verona, dove veniva schierato da esterno, erano sembrate la vetta del suo percorso. Da lì peraltro se n’era andato lui. Non giocava quasi mai, considerato “un po’ gracile”, e non era sereno. Perciò con la famiglia aveva fatto la scelta di tornare nel suo territorio, a Suzzara, dove la prima squadra giocava in Serie D. Kevin prende il diploma da geometra, fare il calciatore assume i contorni dell’utopia.

 

Eppure già allora, a detta del tecnico degli Allievi di Suzzara, Fabrizio Pini, il ragazzo aveva caratteristiche che l’avrebbero portato lontano: facilità di corsa, concentrazione («Era impossibile distrarlo»), un bel sinistro. E poi l’approccio mentale: nonostante venisse da un vivaio importante, scendendo a un livello più modesto non si mostrò presuntuoso né destabilizzato. Ricorda Pini: «Di giovani promesse mancate ne avevo già viste prima e ne ho viste anche dopo. Ma lui è stato l’unico che mi ha dato l’impressione come di avere cancellato il suo passato».

 

La svolta arriva nell’estate 2014. Le prestazioni nell’Este sono state notate dal procuratore Massimo Briaschi, che lo porta a fare un provino a Carpi. E il DS Giuntoli e il tecnico Castori si convincono. I genitori non dimenticheranno mai la faccia di Kevin quando torna a casa. Di colpo, la Serie B. Solo un anno prima partecipava ai tornei estivi di Polpenazze e Mezzane, nel bresciano, dove c’era in palio un maiale da 160 chili.

 

 

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#Repost @rodridepaul with @get_repost ・・・ bella coppia hermanito!! 🤜🏽🤛🏽

A post shared by Kevin Lasagna (@kevinlasa) on Aug 1, 2018 at 2:21am PDT

Con l’hermanito De Paul: «Bella coppia», commenta Lasagna.

 

Nella prima stagione in biancorosso, si ritaglia spazio fino a ritrovarsi titolare e segnare qualche gol determinante per la promozione. Non paga dazio al salto in Serie A, anzi realizza lo stesso numero di reti e praticamente con lo stesso minutaggio dell’anno precedente.

 

24 gennaio 2016. A San Siro si giocano gli ultimi secondi di gara, il Carpi è in dieci e l’Inter sta liquidando la pratica col minimo sforzo, 1-0. Al 92° una palla in profondità premia il taglio di Kevin Lasagna, che controlla e incrocia sul secondo palo, battendo Handanovič. È il gol del pareggio finale, il suo primo in assoluto in Serie A. Lui non sa come esultare: fa per togliersi la maglia, poi alza il braccio, si butta sui compagni in panchina. L’allenatore avversario è Roberto Mancini, che meno di tre anni dopo lo chiamerà da CT in azzurro. Lasagna non aveva fatto neanche una presenza con una selezione giovanile, direttamente la nazionale maggiore.

 

Nel 2016/17 il campionato in B col Carpi lascia intuire ai dirigenti dell’Udinese che per Lasagna la massima serie non deve rimanere una parentesi. Scopriranno di aver ragione. Alla sua prima stagione in Friuli, prestazioni e numeri (14 gol e 6 assist in 2.317 minuti) diranno che l’investimento di 4,5 milioni era più che sensato.

 

Alla stessa età in cui Lasagna giocava in Promozione col Cerea, il suo attuale partner d’attacco Rodrigo De Paul giocava al Valencia e aveva 56 presenze nella massima serie argentina.

 

In una stagione cominciata in salita per il club, Lasagna sta faticando. In compenso indossa la fascia di capitano, già dal precampionato. E poi c’è un cerchio che si chiude, ora che Davide Nicola siede sulla panchina dell’Udinese. Perché nel 2011 Lasagna passò in prova al Lumezzane, che Nicola allenava, ma fu scaricato dopo qualche amichevole estiva e tornò alla Governolese.

 

 

Tags : cristiano biraghikevin lasagnanazionale

Tommaso Giagni è nato a Roma, nel 1985, e tifa per la Lazio. Ha pubblicato due romanzi per Einaudi Stile libero: "L'Estraneo" (2012) e "Prima di perderti" (2016).

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