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Emanuele Atturo
Il Bello del Giovedì sera 2023 vol. 8
24 feb 2023
24 feb 2023
Momenti folgoranti di competizioni davvero poco folgoranti.
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Emanuele Atturo
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Conosci la tua squadra d’Europa League: Anderlecht

È uno dei primi giorni d’autunno quando al centro giovanile dell’Anderlecht si presenta un bambino di 8 anni. È uno scricciolo ma ha l’aria determinata. Quando tocca il pallone non sembra avere 8 anni ma almeno 14. Si chiama Paul van Himst e a scuola è uno dei migliori bambini a trattare un pallone. Quando Constant Vanden Stock lo vede giocare non vuole lasciarselo sfuggire. Lo ha già capito: diventerà il più forte calciatore che il Belgio abbia mai avuto. Così gli fa firmare una tessera associativa nonostante van Himst sappia a malapena scrivere. Come firma un bambino di 8 anni? In teoria è persino illegale far firmare una tessera associativa a un bambino di meno di dieci anni. Il nome di van Himst e quello dell’Anderlecht saranno legati inscindibilmente.Otto anni più tardi van Himst esordisce con la maglia bianco-malva della prima squadra dell’Anderlecht. Il club, fondato al Cafè Concordia nel 1908, negli ultimi anni ha guadagnato uno status egemonico nel calcio belga ma van Himst la trasporta in tutt’altra dimensione, europea. 12 anni più tardi, van Himst ha 20 anni e vince la classifica marcatori del campionato belga. È il 1963 e con l’inizio del benessere economico ci si può anche concedere il lusso di appassionarsi da un ragazzino che gioca in attacco nell’Anderlecht. Van Himst comincia a diventare un fenomeno nazionale in Belgio. Segna in Coppa dei Campioni contro il Real Madrid, un gol con un mezzo scavetto, con una maglia che ha un quadrato bianco che fa sfondo al suo numero 10.

In questo servizio una trombetta cadenza il ritmo dei 6 gol di una partita spettacolare in cui bisogna sottolineare lo spettacolare incrocio dei pali colpito da Gento su punizione.

È solo l’inizio della carriera di Paul van Himst, che poi diventa un’icona assoluta dell’Anderlecht e della Nazionale belga. Il fatto che sia un bel ragazzo non guasta. È considerato il Pelè belga perché gioca praticamente come O’Rey. Altri momenti salienti della sua vita: il terzo posto col Belgio agli Europei di casa del 1972, la vittoria del premio di miglior giocatore belga nel 1974, dopo anni dopo la prima volta, mentre ormai è diventato un regista per raggiunti limiti d’età. Nel 1981 recita in Fuga per la vittoria proprio insieme a Pelè. Due anni dopo vince la Coppa Uefa con l’Anderlecht, ma da allenatore, in finale contro il Benfica. A Lisbona la partita finisce 1-1 ed è quindi all’andata che si decide tutto, grazie a un singolo gol, quello del danese Brylle di testa, dopo una giocata oggettivamente sontuosa di Frank Vercauteren detto “Francky”. Dribbling di suola all’indietro per superare due avversarie e cross d’esterno quasi irriverente.

L’Anderlecht è la squadra più titolata del calcio belga, e ciò nonostante non vince il campionato dal 2017, visto che negli ultimi anni ha dovuto arrendersi al dominio del Club Bruges. Che non sia il miglior momento dell’Anderlecht lo dimostra che si è fatto trascinare ai calci di rigore dai bulgari del Ludogorets (rigori dominati: 3-0). Oggi è una squadra dallo spessore minore, ma con alcuni giocatori di culto: Islam Slimani, Yari Verschaeren, Anders Dreyer, Jan Vertonghen, Amadou Diawara. Sono molto belli da vedere, quando riescono ad associarsi sulla trequarti, tutti questi trequartisti brevilinei, che danno una grande idea di fragilità e bellezza potenziale.Come è andato il sorteggio alle italianeJuventus 70% - Friburgo 30% È difficile dire che la Juventus non sia favorita in questo doppio confronto, bisogna però sottolineare che il Friburgo sta vivendo il miglior momento della sua storia. In questo momento in Bundesliga è 4°, appena tre punti dietro la capolista Bayern Monaco. Nel girone di Europa League ha regolato Nantes (battuta 4-0 fuori casa), Qarabag e Olympiacos, tre squadre con molta più esperienza europea. L’allenatore è Christian Streich, una specie di Ferguson tedesco, da oltre dieci anni sulla panchina del Friburgo. Con il suo lavoro ha plasmato una delle squadre più interessanti di Germania a sua immagine e somiglianza. Oggi il Friburgo è un club all’avanguardia fuori dal campo e di successo dentro. Non ha un modulo unico di riferimento e le responsabilità creative vengono affidate ai giocatori esterni. La stella, se vogliamo chiamarla così, è il nostro connazionale Vincenzo Grifo, che sta vivendo forse la miglior stagione della carriera; dall’altro lato c’è Ritsu Doan, di cui si parlava molto bene qualche anno fa. È un’ala di quelle che se sono in giornata può farti uscire pazzo con la sua rapidità. La Juventus, per avere vita facile, dovrà fare come nel ritorno a Nantes. Far valere la sua superiorità tecnica da subito, mettere la partita in discesa passando per Di Maria o Chiesa, giocatori in grado di scardinare squadre organizzate con il loro talento. Altrimenti potrebbe diventare un doppio confronto scivoloso, contro una squadra abituata all’intensità del calcio tedesco e con una fiducia nei propri mezzi rara da trovare. Roma 50% - Real Sociedad 50%È come se a ogni turno di Europa League la Roma dovesse affrontare un’avanguardia tattica diversa, e Mourinho dovesse dimostrare la durezza senza tempo delle proprie idee come in un videogioco. Dopo aver eliminato il gioco intenso del RB Salisburgo ora se la dovrà vedere col gioco di posizione della Real Sociedad, una squadra che per molti, moltissimi aspetti è il contrario della Roma. Innanzitutto una squadra la cui identità ruota attorno alla qualità del suo centrocampo: Zubimendi, Brais, Merino, Kubo. A loro si aggiunge il mediano infaticabile che forse potrebbe ricordarvi un certo periodo della vostra vita, Illarramendi, e poi l’eterno David Silva, che non al livello di un paio di stagioni fa, ma ancora - come dire - spinge. Sarà difficile togliere palla a questo centrocampo.Purtroppo o per fortuna non gioca il sottilissimo (letteralmente) centravanti Umar Sadiq, che forse ricorderete in qualche fase thriller della Roma. Al suo posto gioca Sorloth, che è il suo opposto in tutti i sensi. Un centravanti che sembra uscito da Vikings. Segna un gol ogni due partite in Liga. Accanto a lui ruoterà il delizioso capitano Oyarzabal, giocatore prodigioso per letture offensive e completezza tecnica. Classico sottovalutato da Europa League.La Real Sociedad ha il quarto attacco della Liga e la quarta difesa se consideriamo solo gli xG subiti. Insomma, è una squadra con numeri da Champions League.Cosa dovrà evitare la Roma? Innanzitutto di accettare il contesto di ritmi bassi e possesso della Real Sociedad. Sporcare la partita, alzare i ritmi, intimidire. Contro il Betis, che può somigliarci per certe cose, la Roma si era lasciare irretire dal possesso avversario. Bassa e passiva, aveva lasciato che gli avversari le palleggiassero in faccia. Ecco, dovrebbe evitare questo. Lazio 60% - Az Alkmaar 40%Non è più l’AZ che ci faceva divertire in Europa con Koopmeiners, Myron Boadu e Calvin Stengs nel 2019. Rimane però una squadra scomoda da affrontare in Europa. Terza in Eredivisie (davanti al PSV, per dire), l’allenatore Pascal Jansen ha una buona considerazione in Olanda, tanto che se ne parlava per la panchina dell’Ajax. A centrocampo c’è ancora Jordy Clasie, the Dutch Xavi, un altro centrocampista raffinato respinto dalla Premier League, in attacco Jens Odgaard, da non confondere con Martin Odegaard. Questo ha giocato (poco) nel Sassuolo. Il centravanti è Vangelis Pavlidis, un centravanti greco che sembra nato per giocare in Conference. In campo si dispone con un 4-2-3-1 propositivo ma anche un po’ ingenuo. Non hanno grandi individualità e le loro prestazioni dipendono molto dalla giornata. Anche per la Lazio, però, si può fare un discorso di voglia: che versione scenderà in campo? Contro il Cluj è stata un po’ svogliata, ora però si inizia a fare sul serio. Prendere sotto gamba l’AZ potrebbe costare caro. Fiorentina 70% - Sivasspor 30%Si può pescare meglio della dodicesima in classifica del campionato turco? Non credo. Il Sivasspor gioca con un 4-3-3, tiene spesso il baricentro basso e gioca in ripartenza con giocatori tecnici come Saiz o Gradel. Davanti la difesa gioca Isaac Cofie, ex Chievo e Genoa. È una squadra che segna poco e che neppure in difesa gioca così bene. Eppure ha saputo vincere il suo girone di Conference che comprendeva anche una leggenda di queste competizioni come lo Slavia Praga, oltre al Ballkani e al Cluj. Abbiamo visto la Lazio soffrire un po’ contro la squadra rumena. Beh, il Sivasspor vi ha vinto 3-0 in casa. Insomma: non una squadra forte, ma una che può diventare temibile in uno scontro diretto. Quest’anno ha già battuto Besiktas e Basaksehir in campionato, e ha dato filo da torcere alla dominatrice Galatasaray (in casa ha perso solo con un gol al 95’). I kit del Sivasspor sono firmati Tony Montana.I tre migliori sosia di Sami Khedira di questa settimana 3° Rani Khedira

Nomi simili, cognomi uguali, quella somiglianza vaga che se lo incontri da solo non ci arriveresti mai probabilmente, ma che se li vedessi insieme nella stessa stanza e non lo sapessi, gli diresti «sembrate fratelli». Sono fratelli.2° Riccardo Saponara

Prendete Khedira, fatelo nascere a Forlì invece che a Stoccarda. Fatelo crescere in un mondo di piadine e corse in motorino verso l’Adriatico. Fategli fare una carriera promettente per poi declinare. Dategli infortuni, dolori fisici e morali, fatelo riflettere sulla caducità della vita. Ecco fate queste cose e avrete una specie di Riccardo Saponara.1° Lior Refaelov

Che dire, quell’abbinamento barba scura capello ingellato, uno stile che parte da Khedira, passa per Emre Can e arriva fino a Refaelov, attaccante di riserva dell’Anderlecht. Forse un sottile razzismo verso i calciatori di origine mediorientale e l’odore di deserto, ma tutta la cultura occidentale è basata su queste cose, vedi Aladdin. Menzione speciale: Yonatan Cohen

Bentornato al giovedì Angel Di MariaL’ultima volta che Di Maria aveva giocato in Europa League non c’erano ancora state le primavere arabe, l’Inter non aveva vinto il Triplete, Edoardo Sanguineti era vivo. Non era forse “un altro mondo”, ma non era neanche questo. Era l’aprile del 2010, Di Maria era un’aletta tisica e imprendibile del Benfica e ad Anfield avevano perso 4-1 contro il Liverpool di Benitez, Gerrard e Torres (doppietta). In estate era stato comprato dal Real Madrid e a questa coppa non ci avrebbe pensato più per undici stagioni. Ma il tempo passa e Di Maria si è ritrovato a giocare di nuovo il giovedì. La Juventus è finita in Europa League dopo essere arrivata terza nel suo girone di Champions. In quella prima parte di stagione l’argentino ha passato molto tempo in infermeria e quando ha giocato non è sembrato al massimo del suo splendore. Poi c’è stato il Mondiale, la vittoria dell’Argentina, il suo gol in finale. Tornato alla Juventus Di Maria ha mostrato una serenità contagiosa. Non è più quel giocatore imprendibile di un tempo, ma uno con la sua capacità metafisica di giocare a calcio in Italia non lo vedevamo da tempo. Ogni partita c’è qualcosa che ti fa strabuzzare gli occhi, una giocata geniale. Ieri col Nantes abbiamo visto la sua versione più efficiente: 3 gol segnati, il rigore e l’espulsione procurati. Nel freddo e nella pioggia, con un pubblico rumoroso e l’idea che un’eliminazione col Nantes sarebbe stata troppo umiliante, Di Maria ha segnato col primo pallone toccato. È strano anche a pensarci: ha fatto da spettatore per 4 minuti e 8 secondi poi quando Fagioli gli ha appoggiato il pallone lui lo ha messo all’incrocio con un tiro a giro che ai tifosi della Juventus avrà ricordato il primo Del Piero, quello etereo e inarrestabile da quella mattonella.

Dodici minuti dopo, col quarto tocco della sua partita, Di Maria ha ricevuto sull’esterno, saltato Chirivella, vinto un rimpallo con Lafont, evitato il rientro di Pallois per poi inventarsi un colpo di tacco, forse addirittura un po’ egoista, che però è andato a sbattere nel punto ideale: il braccio dell’avversario. Un misto tra genialità e furbizia che non può neanche essere fatta apposta, ma essendo Di Maria, il Fideo, viene da credere sia possibile. A Di Maria, insomma, gli sono bastati 16 minuti e una manciata di tocchi per ricordare a tutti che sì, esistono le categorie, ma che - per fortuna - ogni tanto queste si mischiano e che possiamo divertirci anche qui da noi a vedere un calciatore così, che chissà quando ce ne danno un altro. Leonardo Spinazzola è probabilmente il miglior giocatore del mondo ma non vorremmo esagerareLa differenza fra la Roma del 2022 e quella del 2023 è un’incidenza totalmente diversa degli esterni del 3-4-3. Con i trequartisti che giocano molto nei mezzi spazi, allora è compito quasi esclusivo degli esterni offrire ampiezza. E così questi esterni si ritrovano a toccare molti palloni, e se non hanno la qualità per giocarli diventa un problema.Nel 2023 la Roma ha trovato uno spessore diverso sugli esterni e la svolta è tutto sommato arrivata dopo un evento negativo, ovvero la pessima partita di Celik contro la Cremonese. Un match che ha messo dolorosamente in mostra tutti i limiti offensivi dell’esterno turco. A quel punto, con Karsdorp ancora fuori per epurazione, Mourinho è stato costretto a inventare nuove risorse. Zalewski ha preso il posto sulla destra, ed El Shaarawy sulla sinistra. La Roma ha cominciato a trovare uno spessore diverso sugli esterni. Poi è rientrato anche Spinazzola, che dopo l’infortunio durante l’Europeo non è ancora riuscito a recuperare la sua brillantezza. Resta un esterno solido, difensivamente, atleticamente, ma ha perso ciò che lo rendeva diverso: la sua capacità di puntare l’uomo in uno contro uno, di essere una minaccia costante per le difese avversarie. Già contro l’Hellas Verona sembrava entrato in una forma, come dire, diversa. A un certo punto aveva danzato sulla linea con cambi di direzione che potrebbero fargli guadagnare il soprannome di “Neymarazzola”.

Ieri il RB Salisburgo ha commesso l’errore di sottovalutarlo, di affrontarlo in modo naia nell’uno contro uno. Spinazzola si è preso lo spazio sulla sinistra fino in fondo, per poi mettere due assist incredibili, prima per Belotti e poi per Dybala, per entrambi i gol della Roma. È una situazione che nasce dalla velocità nell’uno contro uno di Spinazzola, dall’ingenuità dei difensori del Salisburgo (che dovevano sapere che Spinazzola preferisce andare verso il fondo che dribblare verso il centro), ma anche da una situazione tattica preparata dalla Roma. Quando Pellegrini si allargava, infatti, creava un’ambiguita, fra chi del RB Salisburgo doveva prenderlo, e così Spinazzola si trovava spesso in uno contro uno.Il ritorno di Spinazzola a questi livelli è una notizia insperata per la Roma, e la sua assenza lo scorso anno è stata probabilmente sottovalutata, nei giudizi sulla squadra di Mourinho. Zalewski ed El Shaarawy sanno aggiungere entrambi qualità nel palleggio e nelle letture, ma nessuno dei due ha l’intraprendenza e l’intensità col pallone di Spinazzola, capace sempre di sollecitare e mettere pressione la difesa avversaria. Tornano le grandi inchieste del giovedì sera, questa volta si tratta di un tema serio però: perché hanno tolto un gol a Cabral?Nessuno è più attaccato alla Conference League di Arthur Cabral, un torneo il cui valore dobbiamo ancora razionalizzare, ma in cui il brasiliano è già una leggenda con 18 gol in 15 partite giocate, molto meglio di Cristiano Ronaldo con la Champions League. Dovevano essere 19 però. Ieri - in una partita che contava solo per i tifosi viola più ansiosi quando a un certo punto lo 0-2 aveva fatto salire incubi di remuntade - Cabral è stato vittima di un paradosso nella relazione tra uomini e macchine: lì dove un orologio ha suonato, un occhio lo ha contraddetto. Ricostruiamo: Terzic crossa un pallone a rientrare su cui Cabral è il più lesto ad arrivare in spaccata. La sua deviazione viene tolta dalla porta da Tiago Sà, lì proprio in quell’angolo tra il palo e la riga di porta. Sì, ma dentro o fuori? Dal vivo è impossibile stabilirlo. Cabral sembra propendere per la seconda, fa la smorfia tipica di chi ha quasi segnato. L’arbitro Bastien però fischia, siamo al minuto 48:39. Ai giocatori del Braga che protestano fa vedere l’orologio, un gesto che abbiamo imparato a conoscere e che vuol dire esattamente “non mi rompete il cazzo, una serie di chip e pezzi di plastica ha detto che devo dare il gol, io personalmente non voglio saperne nulla”.

Il pubblico esulta, la regia fa vedere replay su replay del gol, anche se non è che si capisca poi molto dal divano, il Braga riporta il pallone a centrocampo. Tutto risolto? No. L’arbitro fa segno di aspettare. Lo sappiamo come vanno anche queste cose: se una tecnologia ti dice che è gol, un’altra può dirti che non lo è, che qualcuno era con un ginocchio in fuorigioco, che c’è stato un fallo, un controllo con un braccio. A rivedere l’azione, però, non sembra esserci nulla di strano, se non il dubbio che il pallone sia entrato o meno, ma è la tecnologia a dirci che è così. Il tempo si ferma. L’arbitro si porta un dito sull’auricolare, parla fittamente con la Sala Var. Che succede? I giocatori del Braga iniziano a segnalare qualcosa, quelli della Fiorentina si toccano orologi immaginari, Cabral finge la sicurezza dell’uomo che ha appena fatto gol. Dopo un tempo interminabile, Bastien va al Var. Siamo al 52:27 e le immagini mostrano che sta riguardando proprio il gol, la palla nell’attimo in cui sta entrando (o non entrando). Questo vuol dire che sta giudicando se la palla sia entrata o meno, e lo sta facendo con immagini per cui è impossibile decifrarlo.

Bastien guarda, guarda, poi alla fine decide: non è gol. Lo fa guardando un’immagine in cui effettivamente sembra non essere entrato, ma davanti c’è il palo, un oggetto con tre dimensioni, che impedisce davvero di sapere cosa accade dietro, proprio a livello geometrico. Al Mondiale, con il cross del Giappone contro la Spagna avevamo scoperto quanto potesse essere infinitesimale questa cosa. Eppure Bastien decide, ricusa la tecnologia dei sensori per fidarsi del suo occhio, fa quello che sognano di fare migliaia di arbitri vecchia scuola: la legge sono io, non di certo un sensore. Come è fatto poi un sensore? Nessuno lo sa, invece Bastien è fatto di carne e ossa, è uomo come noi, ci possiamo riconoscere nella sua volontà di decidere. Succede però che pochi secondi dopo l’immagine ricostruita del fotogramma prima della respinta di Sà mostra che il pallone è entrato. Per un pelo, ma è entrato. La scritta sotto, beffarda, dice gol.

Si è parlato di un guasto alla goal line technology, ma non fatevi ingannare: è solo l’uomo che rivuole il suo spazio, l’arbitro il suo potere sopra la legge. Bastien ha deciso che non era gol, perché il suo occhio umano ha visto così. Chi siete voi per dire che ha ragione un sensore? È la solita storia: chi guida gli aerei, i sensori o i piloti? Chi accende il fuoco, l’uomo o l’accendino. È una guerra che stiamo perdendo e che minaccia la stessa nostra sopravvivenza. Bastien ha provato a segnare un gol per noi, ironicamente facendo l’opposto: non assegnando un gol. Come biasimarlo? Cabral, più tardi, comunque, il suo gol l’ha segnato. Grazie Roma cantata da un telecronista arabo

E ora sarebbe bello sentire Carlo Zampa cantare una canzone tipo questa:

Una leggenda transilvana per salutare il ClujIl villaggio di Hamelin ha alberi pieni di fronde e case bucherellate da finestre piccole. Di notte si accendono come piccole fiamme di un candelabro. Una notte, però, nuove luci infestano la quiete e il buio di Hamelin. È il rosso degli occhi dei topi che scorrono per le vie della città come un fiume che ha spezzato gli argini. I topi sono brutti e sporchi, e questi non sono nemmeno i problemi più grandi che si portano dietro. Mangiano il mobilio e le provviste, spargono germi e portano il male oscuro, la peste. La città di Hamelin era felice e ora non lo è più. Un giorno arriva in città un uomo dallo strano copricapo. Ha abiti di velluto color arancio e questo capello che si appuntisce verso il cielo, e altre volte si accascia dietro la schiena come una coda di gatto. Va dagli abitanti e promette di liberarli dai topi, come? Semplicemente suonando il piffero. Certo, vai pure, gli dicono scettici gli abitanti. Forse gli abitanti avrebbe dovuto sapere qualcosa in più, delle doti magiche di un flauto, di un piffero, di qualcosa suonato attraverso la bocca umana.Non suonava forse il flauto, il Dio Pan, conducendo alla pazzia chi ascoltasse le sue note? Non suonano forse il flauto gli incantatori d’arabia che soggiogano i serpenti?Il pifferaio di Hamelin suona il piffero e tutto un codazzo di topi gli si mette alle spalle. Vanno insieme, animati dalla musica come da un incantesimo, il pifferaio e i topi, e vanno fuori città, via verso il fiume Weser, dove i topi annegano. Il pifferaio torna a riscuotere il suo compenso ma gli abitanti di Hamelin sono tirchi, non vogliono pagarlo. È una zona oscura di questa storia. Perché mai gli abitanti di Hamelin si sono lasciati andare a un gesto tanto ingiusto e tanto incauto?Fatto sta che alla domenica il pifferaio torna per prendersi la sua vendetta, e qui succede un’altra cosa sopra le righe. Il pifferaio, cioè, se la prende CON I BAMBINI. Arriva di notte, nell’oscurità nuovamente quieta di Hamelin, e si mette a suonare il piffero. Dietro di lui non si forma più una coda di topi bensì di bambini. 130 bambini incantati dal suono del flauto magico che lo seguono sonnambuli per le vie oscure della città, e poi fuori da essa, e poi dentro una caverna, dove il pifferaio di Hamelin li rinchiude.Gli storici si sono poi sforzati di trovare un fondo di verità a questa leggenda. Del resto sulla vetrata di una chiesa di Hamelin compare l’immagine di un pifferaio, (che oggi è anche un monumento di questa cittadina della Bassa Sassonia), di una mandria di topi e di una di bambini. Qualcosa deve essere successo, in quella quieta cittadina, intorno all’anno 1300. L’ipotesi più probabile per ora è quella dell’emigrazione di un vasto gruppo di ragazzi che ad Hamelin non trovavano nulla da fare e che avevano bisogno di lavoro. La città quindi, per rappresentare il lutto della perdita della propria gioventù, ha rappresentato le opportunità dell’altrove sotto forma di un pifferaio cappellutto. Il mancato compenso al pifferaio come le mancate opportunità per i propri ragazzi: l’incapacità dei giovani di compensare gli anziani. Il patto generazionale che salta. Vi ricorda qualcosa?Salutiamo Lafont ricordando il suo momento saliente in Serie A

Prima dei vocali whatsapp c’erano queste cose.Giochiamo a: Quest’uomo è nudo oppure no sotto il cappotto?

5 cose buone fatte da Romano Floriani Mussolini

Ha giocato nella stessa squadra in cui ha giocato uno dei due autori di questa rubrica (molti anni dopo, deve ammettere),

Gioca come terzino, un ruolo spesso bistrattato dove nessuno vuole giocare,

Sua zia è Sophia Loren,

Ha studiato nella stessa scuola in cui ha studiato Alessandro Borghese,

È soprannominato “Musso”.La crudeltà emanata dall’eliminazione del RennesCome sapete il calcio è spesso usato come ottima metafora per la vita. E allora che cos’è vuole significare, l’eliminazione di ieri sera del Rennes ai calci di rigore contro lo Shakhtar? Cosa vuole dirci sull’esistenza e sul destino umano?Arthur Schopenauer ha teorizzato l’idea che l’uomo è l’essere vivente che più è destinato a soffrire. Questo per una ragione semplice: la sofferenza è spesso direttamente collegata alla comprensione del mondo. Più sei intelligente, più patirai. Come se a più a fondo si comprendono le cose, più queste saranno destinate a rivelarci il loro marcio intrinseco.Allora si potrebbe dire che la sofferenza di una squadra di calcio è direttamente proporzionale alla felicità provata in precedenza. È un teorema che andrebbe elaborato un po’ meglio e queste rubrica non è forse il posto migliore per farlo. Però insomma: guardate il modo in cui il Rennes si è fatto eliminare ieri sera. C’è stato prima un evento incredibilmente felice:Nei tempi regolamentari Toko Ekambi ha segnato il gol dell’1-0 e ha quindi pareggiato il confronto diretto. Poi ha avuto almeno tre occasioni pulite per segnare il 2-0 e ottenere una qualificazione che avrebbe ugualmente ottenuto, se solo valesse ancora la regola dei gol in trasferta.Ai tempi supplementari poi ha trovato il gol che pareva risolutivo, ancora con una grande giocata dell’imprendibile Jeremy Doku (vi ricorderete di lui) che serve un assist al giovanissimo Ibrahim Salah.

Il Rennes si chiude, perde tempo, lo Shakhtar sembra semplicemente stanco, e così la partita pare indirizzata. Poi gli ucraini buttano un pallone dentro senza alcuna velleità. Davvero senza alcuna velletià. Belacian, di anni 18, sbaglia un rinvio. Lo sbaglia grossolanamente, ma anche con

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