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Batistuta, l’ultimo centravanti
03 mag 2023
03 mag 2023
Un estratto dal libro di Andrea Romano sul calciatore argentino pubblicato da 66thand2nd.
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Pubblichiamo un estratto da "Batistuta, l’ultimo centravanti" di Andrea Romano in uscita il 5 maggio per la collana Vite inattese di 66thand2nd.Quella contro il Barcellona è chiaramente una semifinale sovradimensionata rispetto allo status della Coppa delle Coppe. Perché in quegli anni i blaugrana parlano una lingua diversa rispetto al resto d’Europa, un idioma che viene da lontano, che si porta dietro il codice comunicativo del calcio totale ma che lo ha manipolato con l’inserimento di calciatori dalla tecnica pregiatissima. A inizio stagione l’eredità di Johan Cruijff è stata raccolta da Sir Bobby Robson, l’uomo che nel 1981 è riuscito a vincere la Coppa Uefa con l’Ipswich Town ed ex commissario tecnico dell’Inghilterra eliminata dalla Mano de Dios al Mondiale del 1986. Le sue prime decisioni in Catalogna sono destinate a cambiare il calcio europeo almeno per i due decenni successivi. Per prima cosa Robson fa acquistare dal Psv Ronaldo il Fenomeno. Poi assume come vice allenatore un ragazzo portoghese di 34 anni dal talento inferiore soltanto al suo ego: José Mourinho. L’approccio di Robson è molto diverso rispetto a quello del suo predecessore. L’inglese è più empatico con i suoi giocatori e questo gli permette di essere guardato con meno timore. Solo che questa armonia non sempre riesce a tradursi in un gioco fluido e arioso. In primavera il Barcellona è inciampato sulle piccole ed è finito a meno otto dalla versione robotica del Real Madrid disegnata da Fabio Capello. I vertici del club non gradiscono. Tanto che qualche giornalista spagnolo si diverte a spiegare che il Barça è secondo «a pesar de Robson», nonostante Robson. I vertici del club pensano a un addio a fine anno, ma intanto c’è una partita decisiva da giocare. E l’inglese ci arriva dopo essere stato confinato nel ruolo di capro espiatorio. L’ultima polemica arriva alla vigilia del match. Robson non avrebbe fatto vedere ai suoi ragazzi neanche una videocassetta sui suoi rivali. Così i giocatori del Barcellona si sono dovuti accontentare dei racconti di Mourinho. Forse è anche per questo che l’unico a estrarre il coniglio dal cilindro è Ranieri. Per fermare Luis Figo il tecnico decide di sfruttare la velocità di Vittorio Pusceddu. «Per i primi quindici minuti è stata una brutta serata,» mi racconta il difensore viola «mi andava via da tutte le parti. Con lui non sapevi mai se si sarebbe girato a destra, a sinistra, perché poteva anche farti un tunnel e lasciarti lì. Dopo un quarto d’ora per fortuna ho preso le misure. Mi mangiai anche un gol: stavo tirando e mi è scivolato il piede, così il pallone è volato sopra la traversa. Quel Barcellona meritava di vincere la Coppa Campioni, ma noi siamo riusciti a fare un’ottima partita». Oltre al portoghese, però, non c’è molto altro. La squadra di Robson sembra balbettante, non riesce ad alzare i giri, a presentarsi davanti a Toldo con credibilità. Ronaldo è talmente deludente che il giorno dopo, sulla «Gazzetta dello Sport», Franco Arturi racconterà la prova del Fenomeno con durezza: «Una pochezza impressionante, una mancanza d’iniziative clamorosa, una staticità da centravanti degli anni Cinquanta, un atteggiamento complessivo quasi irritante». Alla fine il Barcellona tutta tecnica passa grazie a un calcio da fermo, con Nadal, fino a quel momento uno dei peggiori in campo, che trasforma in gol un corner dalla destra. Il colpo è devastante. Eppure la Fiorentina riesce a restare in piedi. Perché è proprio nel momento più difficile che la squadra di Ranieri capisce di poter pareggiare. Il cross che declina dalla destra ti pesca nella porzione sinistra dell’area di rigore, giusto un paio di metri dentro la linea di confine. Segui con gli occhi quel pallone che splende come una piccola luna nel cielo scuro del Camp Nou mentre nella tua testa è già apparsa nitida la visione di quello che succederà poco dopo. Accade tutto in meno di tre secondi. Metti giù la sfera con il petto, la lasci rimbalzare contro il terreno, te la porti avanti in orizzontale con un colpo di coscia, tiri in porta. È allora che il pallone prende una parabola insensata. Si alza e si abbassa in un fazzoletto di campo, quel tanto che basta per superare Vítor Baía. Un gol alla Batistuta in quello che per tutti doveva essere il palcoscenico di Ronaldo. Corri lungo la trequarti senza neanche sapere bene dove andare. Fai giusto qualche passo tenendo le braccia larghe, poi inarchi la schiena e inizi a girare su te stesso. Con gli occhi sgranati. Con l’indice della mano destra davanti alla bocca e quello sinistro puntato dritto verso il cielo. Dagli spalti viene giù di tutto. Eppure tu te ne resti lì impassibile, un uomo fasciato in una casacca bianca che si può permettere di zittire il Camp Nou. Perché adesso parli tu. Ora parla la Fiorentina. A ventotto anni stai giocando la tua prima coppa europea e hai appena dato prova di poterla cannibalizzare. Perché proprio davanti al Fenomeno hai dimostrato di essere ancora il centravanti più forte del mondo. L’esultanza di Batistuta è una scossa elettrica. La Fiorentina è ancora viva. E ora è anche consapevole di poter vincere quella finale. «La prima cosa che ho pensato quando l’ho visto zittire il pubblico è stata: “Ma questo è un grande”» mi dice Pusceddu. «Lui non ha voluto in nessun modo mancare di rispetto agli avversari, perché per noi giocare lì voleva dire tantissimo». A tempo scaduto Gabriel tocca con l’esterno e lancia Robbiati verso la porta avversaria. Con il campo che si spalanca davanti all’attaccante. Con un solo difensore pronto a contrastarlo. Spadino avanza picchiettando sul campo con i suoi improbabili scarpini gialli. Erano stati disegnati per Hristo Stoičkov, ma dopo mesi di malintesi l’azienda aveva preferito darli a lui. La sua prima reazione era stata piuttosto fredda: «Con queste scarpe gialle sembro Topolino». Poi però erano diventate una specie di tratto distintivo. Ora quelle scarpette senape avanzano rapide verso la porta avversaria. Quando Robbiati ha superato il cerchio di centrocampo il signor Bernd Heynemann soffia nel fischietto la fine della partita. Ancora non c’è una regola che spinga gli arbitri a far finire un’azione da gol quando il tempo è scaduto, ma la Fiorentina si sente derubata. Perché quel fischio crea una netta divisione fra quello che avrebbe potuto essere e quello che è stato. «Mi chiedo spesso perché non ha fatto finire l’azione» mi assicura Lulù Oliveira. E quando gli dico che in fondo Robbiati non era così vicino alla porta e che, soprattutto, avrebbe dovuto saltare anche Vitor Baía, l’ex attaccante mi risponde con tono serio: «Ma ti ricordi che piedini aveva Robbiati? Io sono sicuro che l’avrebbe buttata dentro». Quell’episodio così controverso è un detonatore, persuade alcuni giocatori della Fiorentina che si sia trattato di una scelta volta a favorire il Barcellona. Gabriel viene inquadrato dalle telecamere mentre manda platealmente a quel paese l’arbitro. Gli altri sono più diplomatici. Per Robbiati, però, quel fischio diventerà una costante nella sua vita. «Tutti quelli che mi riconoscono me lo ripetono: “Ma ti ricordi quando contro il Barcellona hanno fischiato la fine proprio mentre stavi correndo verso la loro porta?”» mi spiega. «Sono stato fermato quando l’azione stava diventando pericolosa, chissà come sarebbe andata quella semifinale se avessi potuto andare in porta». Il problema vero è un altro. Perché al minuto numero otto Batistuta, sbilanciato, si aggrappa a Roger per non cadere a terra. Non c’è cattiveria, ma l’arbitro decide di punire comunque la foga dell’argentino tirando fuori il giallo dal taschino. Piccolo dettaglio: Gabriel è diffidato e dunque dovrà saltare la gara di ritorno al Franchi. È l’episodio che decide il doppio confronto ancor più dello stop a Robbiati. «La partita ce l’hanno impacchettata lì, con l’ammonizione a Gabriel» mi assicura Emiliano Bigica «quando siamo tornati negli spogliatoi Gabriel era incazzatissimo, proprio come noi. Ma d’altra parte un conto era far disputare la finale a Barcellona e Liverpool, un altro era una partita fra noi e il Psg». I timori diventano profezia nella gara di ritorno. Senza Batistuta in campo la Fiorentina fatica tremendamente. Dopo trentacinque minuti è già sotto. Di due gol. Vantaggio di Couto e raddoppio di Guardiola. Poco dopo Oliveira si fa addirittura espellere. La Coppa delle Coppe finisce lì. Insieme alla Fiorentina di Ranieri.

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