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David Breschi
Il tiro dalla media distanza non è ancora morto
22 ago 2023
22 ago 2023
Dopo un decennio di costante declino, il midrange sta rinascendo sotto altre vesti e altri interpreti.
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David Breschi
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IMAGO / USA TODAY Network
(foto) IMAGO / USA TODAY Network
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Tra le varie discussioni ideologiche riguardanti la NBA di oggi, una tra le più divisive è quella sull’aumento esponenziale del tiro da tre punti che ha progressivamente de-valorizzato il cosiddetto midrange game.Il popolo degli appassionati è diviso in fazioni in guerra tra loro. Da una parte della barricata ci sono coloro che potremmo definire i “nostalgici”, i quali non accettano che il tiro da tre sia così utilizzato a discapito delle altre zone del campo e che il gioco nel suo complesso, a loro dire, ne risulti impoverito. Dall’altra gli “hipster” che, calcolatrice alla mano, sostengono la tesi per cui conviene cercare il tiro a più alta percentuale (schiacciate, appoggi e in genere tiri nell’ultimo metro di distanza da canestro) e il tiro da fuori tanto vale effettuarlo da tre punti per ricompensare lo sforzo profuso nell’allontanarsi dal canestro con il 50% dei punti in più.Per i primi il tiro dalla “zona di mezzo” è la quintessenza del gioco, che raggiunge con il palleggio-arresto-tiro l’apice della sua bellezza estetica; per i secondi quella stessa porzione di campo è una zona morta, da evitare con ogni mezzo disponibile. Come per ogni cosa, la situazione è un bel po’ più complicata di così, perché come spesso accade nell’eterna lotta tra bianco e nero la ragione si trova spesso nelle sfumature di grigio. Prima di andare a fondo nella questione, però, occorre capire di cosa stiamo parlando.Cos’è il midrange?Per midrange si intende quella vasta zona di campo che va dalla restricted area, per intendersi lo “smile” posto a 1.2 metri dal canestro, fino alla linea dei tre punti che dista 7.25 metri dal canestro (6.72 dagli angoli). Il midrange a sua volta si suddivide in più aree. La più famigerata di esse è l’area dei long two, detto anche “long midrange”, ovvero quella comprendente tutti quei tiri scagliati dalla parte sbagliata della linea dei tre punti, peggio ancora se in spot-up (ovvero da scarico secco, senza usare il palleggio). Sono tiri che hanno lo stesso grado di difficoltà di una tripla e che per una manciata di centimetri valgono un punto in meno.

Il long two spiegato bene. Fino alla fine del primo decennio del nuovo secolo i giocatori erano incentivati a prendere soluzioni del genere per “avvicinarsi” a canestro e quindi, teoricamente, prendersi un tiro più semplice.

Esiste poi l’area a ridosso dello smile fino a quattro metri circa dal canestro, che convenzionalmente viene chiamata “short midrange” e in molti chiamano la floater area, a precisare la zona di campo in cui spesso vengono lasciati partire i floater e tutti quei tiri da fuori ma in avvicinamento a canestro. Il midrange propriamente detto sta, manco a dirlo, nel mezzo alla floater area e quella dei long two, un’area del campo che il più delle volte produce una vasta gamma di tiri dal palleggio.Dalla notte dei tempi fino a inizio secolo, il tiro dal midrange (in particolare il long two da scarico) era il tiro da fuori per eccellenza, necessario a scardinare le difese asserragliate in area. Negli anni ‘90 di Michael Jordan e del suo celebre fade-away jumper – il tiro che tutti volevano imitare, come successe anni dopo per il one-leg shot di Dirk Nowitzki e in tempi recenti per il pull-up da otto metri di Steph Curry – il gioco si svolgeva quasi esclusivamente a ridosso dell’area dei tre secondi, con particolare riferimento al post basso. La pallacanestro di quegli anni era omologata verso standard e criteri rigidi, rimasti invariati per decenni: si partiva da vicino e mano a mano che la difesa toglieva opzioni, l’attacco si allontanava dal ferro. Secondo i dati estrapolati da Basketball-Reference e riprodotti graficamente nella chart sottostante, nella stagione 2000-01 il midrange comprendeva quasi il 40% dei tiri presi in attacco mentre solo il 17% di essi erano presi da tre punti. Da allora fino alla scorsa stagione i due dati si sono invertiti, con il tiro da tre punti che “mangia” quasi 40% della mappa di tiro ed il midrange relegato sotto al 17%.

Come è cambiata dal 2001 a oggi è cambiata la “dieta di tiro” delle squadre NBA: incidenza dei tiri al ferro inalterata, molto meno midrange e molto più tiro da tre punti.

Come siamo arrivati a questo capovolgimento di fronte? Il cambiamento apportato sul regolamento (difesa a zona e hand-checking in particolare), la rivoluzione analitica e i nuovi metodi di allenamento hanno aumentato in modo esponenziale le performance fisiche e atletiche dei giocatori, allontanando progressivamente l’epicentro degli attacchi NBA oltre la linea dei tre punti, stravolgendo un dogma che resisteva da decenni: ora il primo passo perimetrale è più remunerativo della battaglia per il predominio rispetto al post basso. Cambiando il punto di partenza degli attacchi NBA cambia anche il punto di arrivo, quello da cui si tira per intenderci, e il tiro dal midrange oggi è universalmente riconosciuto come la conclusione più rischiosa da prendere in termini di costruzione e percentuali, soprattutto perché la meno efficiente.

Lo dicono i numeri (fonte Basketball-Reference): ogni tiro che non sia al ferro o da tre punti (quindi floater, long two o palleggio-arresto-tiro divincolandosi tra le mani protese di uno o anche più difensori nel cuore dell’area) viene convertito con il 42.7%, una percentuale assoluta più alta del 35.5% con cui si segna da tre ma “effettiva” (il peso di un tiro da tre punti a parità di percentuale è maggiore) di gran lunga inferiore e ben distante dal quasi 70% con cui si segna al ferro.

Per capirsi, quello dal midrange è quindi il tiro che ogni difesa sogna di concedere agli avversari, quello meno compromettente sul tabellone segnapunti, che molte squadre NBA lasciano a costo di proteggere il ferro e la linea dei tre punti. Il tiro dal midrange costruito di squadra, quindi assistito, spesso da scarico e senza palleggio, può far male perché batte la difesa, ma non lascia le cicatrici di una tripla. Quello non assistito, che spesso è frutto di un virtuosismo del giocatore che lo prende, finisce quasi per essere considerato una sconfitta dell’attacco, incapace di generare altro se non una forzatura.Qualcosa sta cambiandoNelle ultime tre stagioni però il gioco dalla media distanza, in picchiata libera per un oltre un decennio, ha trovato una sua connotazione statistica in leggero rialzo, come se le squadre e i giocatori avessero riscoperto come ritrovare valore aggiunto da quella zona di campo.E questo cambiamento, paradossalmente, è dovuto al costante aumento del tiro da tre punti che ha avuto due effetti significativi: il primo è aver portato verso l’estinzione il long two, che dal 23% di incidenza nel 2001 è oggi ai suoi minimi storici con appena il 7% dei tiri preso in quella zona di campo.

Il tiro da tre ha fagocitato il long two ma non il midrange in avvicinamento. Fonte Basketball-Reference.

A cambiare “dieta di tiro” sono stati principalmente i giocatori di contorno, che essendo meno coinvolti nella creazione di gioco e tirando prevalentemente sugli scarichi, occupano zone del campo più efficienti per se stessi e per le loro squadre, massimizzando il valore dei pochi tiri a disposizione. Il secondo effetto, diretta conseguenza del primo è che, banalmente, allargando il campo c’è più spazio (e tempo) per tirare meglio (e in modo più performante) dallo short midrange e dal midrange con percentuali in netta crescita che sono arrivate a flirtare con il 45% di realizzazione.

Negli anni la percentuale di realizzazione del long two e da tre punti ha subito poche oscillazioni e ormai abbiamo capito che tirare da tre è più conveniente anche perchè così facendo aumenta la qualità (e le percentuali) del tiro dal midrange “in the paint”. Fonte Basketball-Reference.

Giocare nel midrangeNel grande schema della cose se una squadra deve concedere qualcosa lo fa nella zona di campo meno pericolosa, il midrange appunto, quindi se qualcuno riesce a capitalizzare anche da quel punto il vantaggio competitivo diventa enorme e si riverbera in positivo anche sulle altre zone del campo perché costringe anche la difesa più attrezzata a correre ai ripari, a cambiare approccio e rimettere in discussione i propri capisaldi. Se in regular season le squadre NBA tengono ritmi altissimi giocando perennemente in transizione e possono permettersi il lusso di scommettere contro le percentuali degli avversari approcciando le partite in modo speculativo, senza preoccuparsi troppo del tiro dalla media, nei playoff dove storicamente si gioca di più a metà campo e ogni tiro pesa di più anche il midrange può tornare a fare la differenza.

In una qualsiasi sera di gennaio questi canestri dal midrange hanno un peso relativo e le difese incentivano gli attacchi a ricercarli piuttosto che toglierli andando in rotazione difensiva e magari scoprendosi per un tiro da tre. Ma nei playoff il discorso cambia e prendere tre canestri del genere ad esempio in una gara-7 pesano e non poco.

Non per niente da qualche anno il trend consolidato è che ai playoff le mappe di tiro cambiano perchè il gioco cambia e la qualità cresce: a giocarsi l’anello ci arrivano le squadre più forti dotate dei migliori giocatori al mondo e ogni squadra che ambisce al titolo ha una o più stelle in grado di polarizzare il gioco creando continuativamente tiri dal palleggio da ogni zona del campo per mandare cortocircuito difese sempre più metodiche e preparate a togliere tutto il resto. A questo livello la difesa del tiro dal midrange diventa la classica falla di progettazione che in ogni film di Star Wars distrugge la base spaziale dell’Impero.Seth Partnow in un articolo di qualche anno fa ribadiva come lo “star shot”, ovvero il tiro dal palleggio nel midrange non assistito, non sia mai sparito dalla circolazione con l’avvento del tiro da tre punti e mai lo farà, semplicemente perchè diventa una necessità in quei momenti della partita dove si va dalla stella di turno per segnare un canestro, anche se questo non è necessariamente un tiro al ferro o da tre punti. Ergo: le stelle fanno robe da stelle, oggi come ieri.

Lo “star shot” spiegato bene.

La capacità di creare separazione dal palleggio e tirare sopra le mani protese di uno o più difensori nel cuore dell’area, a maggior ragione con la palla che scotta, è quasi sempre una responsabilità destinata alle stelle: il palleggio-arresto-tiro di Michael Jordan, Kobe Bryant, Dirk Nowitzki ed in tempi recenti di LeBron James, Kevin Durant, Kawhi Leonard, Steph Curry è stato decisivo nel permettere alle loro squadre di vincere partite epiche, serie di playoff e titoli.Il tiro dalla media distanza non è quindi un tiro democratico come può esserlo un tiro da tre punti, ma una soluzione di nicchia per l’uso selettivo che se ne fa: viene preso principalmente da giocatori che per talento e necessità hanno imparato o affinato quella soluzione per diventare indifendibili.

Quando batti l’uomo ma l’area è piena non c’è nulla di più elegante e probabilmente più efficace di una conclusione in palleggio-arresto-tiro dal midrange, se hai il talento per farlo.

Rispetto a una penetrazione al ferro in quella giungla di arti e corpi su cui rimanere impigliati, il tiro dalla media è un tiro che permette di evitare il contatto e anche la maggior parte degli infortuni traumatici a cui può andare incontro un giocatore NBA. Inoltre quando l’atletismo inizia a mancare, lavorare sul midrange preserva lo sforzo allungando la carriera ad alto livello di una stella NBA. In questo senso ha fatto scuola Dwyane Wade, che a inizio carriera sfondava come un bulldozer le difese attaccando il ferro e nel finale di carriera era diventato jordanesco con il suo fade-away.Il midrange come stile di vitaIl palleggio-arresto-tiro in area non è però solo un tiro da aggiungere in vecchiaia: ci sono tantissimi giocatori che su quel fondamentale hanno costruito le loro fortune già all’inizio della carriera, in un periodo peraltro in cui la lega spingeva verso la direzione opposta, ed in cui il loro talento era considerato anacronistico per non dire sbagliato. Ma se per molti il tiro dal midrange è un tiro da evitare che porta a basse percentuali, per loro questo discorso di inefficacia non si applica.Sono giocatori che nelle immense praterie della dead zone a ridosso del pitturato hanno stabilito con successo il loro dominio. DeMar DeRozan per anni è stato preso a pesci in faccia perchè non tirava da tre ma con le sue movenze felpate, il suo straordinario footwork ed il suo peculiare talento nello scivolare lontano al difensore per poi rimanere sospeso in area con grazia e disinvoltura si ostinava a vivere di turnaround jump shot, ispirandosi alla “Mamba Mentality” di Kobe Bryant. In carriera ha sempre preso almeno il 22% dei suoi tiri totali dalla media distanza e solo due volte nei suoi 13 anni da professionista ha tirato da tre punti almeno il 10% delle sue conclusioni totali.

È quasi romantica la sua indole al cosiddetto “in-between game” e la fluidità dei suoi movimenti in preparazione del palleggio-arresto-tiro raggiunge livelli estetici di una bellezza stordente, anche se le percentuali di realizzazioni spesso non sono all’altezza.

Chris Paul deve gran parte della sua longevità ad alto livello al tiro dal midrange. Il playmaker passato ai Golden State Warriors ha vissuto in prima persona il cambiamento del gioco e non ha mai snobbato il tiro da tre punti, ma il suo “trademark move” è diventato il palleggio-arresto-tiro dai gomiti alti della zona.

Nella stagione 20-21 in particolare ai gomiti Chris Paul predicava basket. (Grafica Kirk Goldsberry)

Per un decennio abbondante quelli sono stati i punti nevralgici in cui torturava e tuttora tortura i malcapitati difensori che provano a contenerlo, attestandosi in carriera su un eccellente 52% al tiro, oltre 10 punti percentuali in più della media della lega da una zona di campo che oltre a lui aveva in LaMarcus Aldridge e Chris Bosh i suoi interpreti principali, i quali però tiravano molto più in catch-and-shoot che dal palleggio.

Tutti sanno che concedere il gomito destro a Chris Paul equivale a scavarsi la fossa, ma nessuno riesce a impedirgli di portarci frotte di difensori.

Il midrange come via di fugaTra questi due giocatori “vintage” e i mostri inarrivabili che vedremo più avanti ci sono coloro che hanno un repertorio offensivo vasto e che dal midrange trovano un accogliente comfort zone. Khris Middleton è un tiratore versatile a cui piace avvicinarsi a canestro “danzando” per un palleggio-arresto-tiro; Jimmy Butler è meno elegante ma più compatto con il suo palleggio-arresto-tiro di potenza; Devin Booker è soffice come il velluto quando si arresta in mezzo all’area per fare secco il proprio difensore in recupero o l’aiuto difensivo davanti a sé; Kawhi Leonard è abile come pochi altri nel crearsi spazio con il jab step per poi ergersi dalla media distanza in modo anche poco aggraziato ma estremamente efficace; Jayson Tatum, che ogni tanto deve fare chiarezza con la propria selezione di tiro, è titolare di uno step back letale quando trova chiusa la strada per il ferro; infine Luka Doncic con la sua straordinaria padronanza tecnica e la sua sorprendente coordinazione riesce a tenere in ostaggio il difensore fino a quando non è il momento di separarsi e tirare.

Artisti del midrange che sanno come crearsi un tiro dal palleggio anche se circondati dai difensori.

Senza contare i vari Joel Embid, Nikola Jokic, Anthony Davis che secondo i canoni classici (ormai abiurati con forza) dovrebbero occuparsi di altro e altrove ma usano a totale discrezione il midrange (e anche l’arco dei tre punti) per portare a casa bottini realizzativi importanti con gesti tecnici impensabili per gente di quella stazza.

Lo avreste mai detto anche solo 15 anni fa di vedere centri di oltre 210 centimetri con fisici ingombranti fare robe del genere?

Tirare dal midrange infine non significa solo palleggio-arresto-tiro, ma come abbiamo accennato in precedenza, anche il floater o runner che dir si voglia è una delle soluzioni più significative per tirare dalla zona di mezzo. L’identikit ideale di chi lo usa è quello del giocatore che vuole “rubare” tempo alla difesa nell’attaccare il canestro non avendo spazio a sufficienza per operare, perché in condizioni di equilibrio precarie o sottodimensionato per farsi largo fino al ferro. Generalmente sono i più piccoli (anche se uno dei più fervidi tiratori di floater è Jokic col suo tiro in avvicinamento su una gamba sola…) che per sopravvivere contro i pesi massimi hanno sviluppato una via di mezzo tra il tiro in corsa e il palleggio-arresto-tiro con parabola alta per scavalcare i tentativi di stoppata.

Il floater è ben presto diventato un’opportunità per giocatori che rischiavano di essere estromessi dal pitturato come Trae Young, Fred VanVleet e Tyler Herro per citare i più accaniti “floateristi” della NBA. 

Poi ci sono i mostri…Grazie alle analisi di Kirk Goldsberry abbiamo appreso, qualora non ci fidassimo dei nostri occhi, che Kevin Durant non solo è il miglior tiratore dal midrange della NBA, ma le percentuali che sta tenendo da un paio di anni a questa parte sono le migliori in assoluto della storia.

La stella dei Suns è l’Avada Kedavra di qualsiasi difesa al mondo, perché non c’è zona del campo o situazione di gioco (pick & roll, isolamento, uscite dai blocchi) da cui non possa prendersi il tiro che più lo aggrada, non solo dal midrange ma anche al ferro o da tre punti. Tira in testa a chiunque, anche ai migliori stoppatori del pianeta e riesce a guadagnare spazio con la sua rapidità contro i difensori più arcigni che gli si appiccicano alle caviglie.

Come lo fermi un giocatore che fa queste robe contro chiunque e ovunque?

Il dato sconvolgente è che per lui un tiro dal midrange ha la stessa efficacia di un tiro da sotto per la stragrande maggioranza dei giocatori NBA. Per intendersi, tira meglio Durant dalla media distanza che Jimmy Butler al ferro.Il caso Stephen Curry, invece, è strabiliante perché è l’unico giocatore al mondo in grado di tirare con oltre il 40% da tre punti e oltre il 50% dal midrange anche se, dobbiamo ammetterlo, usa con parsimonia il tiro dalla media distanza per il semplice fatto che non gli serve: ha cambiato così profondamente il gioco con il suo range di tiro illimitato dal palleggio da onorare anche a 10 metri dal canestro che per lui il midrange è la soglia del tiro da tre punti.

La “versione extended” di Curry del midrange…

I giocatori oggi oltre ad avere un talento stellare hanno un repertorio tecnico più vasto e completo rispetto al passato, e skills balistiche di altissimo livello. Gli allenatori lo sanno e da qualche anno a questa parte hanno adottato questo approccio: più che “non fargli fare”, hanno iniziato a valorizzare le caratteristiche dei propri giocatori per “lasciarli fare”.Nei playoff in particolare, dove creare un buon tiro diventa via via più complesso, avere uno o due giocatori in grado di sporcarsi con successo le mani dal midrange è un requisito insindacabile per vincere le partite. I Denver Nuggets lo hanno appena dimostrato alle ultime Finali NBA con Jamal Murray e Nikola Jokic.D’altronde come recita un vecchio adagio: chi fa canestro ha sempre ragione.

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