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Come ho imparato ad amare il basket 3x3
05 ago 2021
05 ago 2021
Da disciplina reietta a una delle più spettacolari viste a Tokyo.
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JAVIER SORIANO/AFP via Getty Images
(copertina) JAVIER SORIANO/AFP via Getty Images
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Lo ammetto: non avevo mai prestato attenzione al basket 3x3 prima di Tokyo, nonostante la bella qualificazione della nostra squadra femminile, arrivata all’ultimo tiro del preolimpico, in Ungheria contro le ungheresi. Non che fossi ignaro della possibilità di giocare a basket tre contro tre a un solo canestro, anzi. Il “campetto” è l’unico luogo di sport che conosco davvero, così democratico da essere trasversale e universale. Se non potrò mai dire di conoscere uno spogliatoio NBA o cosa si prova a giocare davanti a 20,30, 50 mila persone, posso dire di conoscere il campetto e quindi, pensavo, il basket 3x3.

Ma forse già dal nome dovevo capire che non era così. 3x3 invita all’immediatezza, è spregiudicato, giovanile. Colpevolmente non ci avevo fatto caso. Quando mi sono collegato per seguire la partita dell’Italia contro la Mongolia, pensavo che - in fondo in fondo - il Comitato Olimpico Internazionale aveva pensato a me; a quelli come me. E invece era l’esatto opposto: come per lo skate e il surf, il CIO ha portato il 3x3 a Tokyo per attirare i giovani.

Negli ultimi anni si è discusso molto su come rendere più accattivante lo sport, renderlo fruibile alla generazione Z, quella con la soglia di attenzione di 8 secondi e lo smartphone sempre in mano. Il calcio ci ha provato con la Superlega e l’idea di inseguire Fornite, l’NBA ha puntato più sui contenuti social, il tennis forse cambierà totalmente la sua natura oppure accetterà di essere uno sport per gli anziani e per le élite. Le Olimpiadi ci stanno provando aggiungendo nuovi sport instagrammabili.

A Tokyo hanno esordito l’arrampicata, lo skateboard, il bmx freestyle e il surf. Tutte discipline spettacolari e colorate, ma soprattutto tutte discipline con una forte identità sottoculturale. Allo stesso modo si è detto che sia la stessa ragione per cui ha esordito il 3x3. Grazie al suo carattere urbano, il suo arrivare dalla strada, il suo essere lo sport dei playground della New York degli anni ‘60 e ‘70, si può pensare che anche questa versione light del basket sia il braccio sportivo di una sottocultura. Ma non è così: chi lo frequenta non è legato da uno stile nel vestire, anzi la teoria generale è che meno sembri un giocatore di basket più sei forte, né da uno stesso gusto musicale, tanto meno da una specifica filosofia di vita alternativa a quelle dominanti. A legarli è la passione per il basket e la difficoltà di giocare a basket cinque contro cinque (è più difficile di quello che può sembrare, sia a livello pratico che logistico). Possiamo dire che esiste una storia del basket di strada (ma è una storia limitata agli Stati Uniti), ma non che sia la stessa cosa dello skateboard o del surf. Certo anche il campetto ha i suoi rituali che i partecipanti condividono, ma esistono solo in funzione del gioco; mentre per skate e il surf, che sono a malapena degli sport, i rituali si svolgono soprattutto all’esterno, ed è questo a renderli così attraenti per i giovani (se avete visto le gare di skate, siete stati attratti più dalle divise disegnate da Parra per la squadra giapponese o dalle regole e i punteggi?).

Le Olimpiadi, comunque, ci hanno provato a far passare il basket 3x3 come una cosa da fichi. Il campo da gioco lo hanno piazzato su un isolotto, costruito come se fosse uno di quegli scenari da Street Fighter, circondato da palazzi e tubi di metallo. Se volevano ricreare una distopica Tokyo simil New York, non ci sono riusciti. Il risultato è sembrato qualcosa di più simile a un incrocio tra la Dacia Arena e un campo da Slam Ball.

Se il campo da gioco era straniante, ad apparirmi inaccettabile è stata però la noncuranza del 3x3 verso la sacralità del campetto. Dov’erano tutti quei piccoli momenti che lo rendono così bello? Al campetto, ad esempio, l’arbitro non c’è: i falli ce li si fischia da soli e, magari sono stato fortunato io, ma funziona come funziona l’anarchia in un’opera di Bakunin (bene, quindi). Lo sfondamento non è mai fallo, gli schiaffi sulle braccia mentre si tira sì, perché li sentono tutti e perché nessuno vuole sbagliare un tiro non per colpa sua. Le spinte dipende dall’azione, i passi solo se troppo evidenti.

Ma se non sono così ortodosso da pensare si potesse assegnare una medaglia olimpica senza arbitri, la regola che dopo un canestro il possesso è di chi lo subisce non posso accettarla. So che qualcuno fa così anche fuori dal 3x3 (che ricordiamolo è uno sport, con delle federazioni e un suo regolamento scritto), ma lo considero uno stravolgimento del gioco troppo grande. Il principio del campetto è che chi segna domina. Se una squadra ha il controllo sulla partita, deve avere anche il controllo sul pallone. L’obiettivo dell’avversario non è rimanere attaccato alla partita rispondendo colpo su colpo, ma sovvertire l’ordine che si è instaurato. Per quanto mi riguarda è difficile accettare una divisione democratica dei possessi in uno sport che è prima di tutto la contesa di uno stesso spazio vitale (se ci pensate si gioca per essere l’attacco, quindi stare il più possibile nella metà campo avversaria. In questo il basket “a un canestro” è più vicino al rugby o, per rimanere in tema di strada alla "tedesca" che non al basket “a due canestri” dove l’alternanza è insita nel gioco).

Inoltre, questa tipologia di gioco canestro-avversario riprende il pallone-ricomincia l’azione non permette di vivere quello che è il momento migliore in una partita, cioè le pause. Il basket al campetto è uno sport lento, dove non si contano i secondi ma i punti. Se faccio un bel canestro, devo riavere il pallone in mano poter prendere in giro il mio avversario, aspettare che i miei compagni trovino il loro posto, parlare di come vanno le cose al lavoro o all'università, di come sta andando la stagione NBA. Questo porta all’altra regola che non ho digerito: i 12 secondi per tirare. Perché tutta questa fretta? Calma. Fammi giocare in post, fammi ribaltare l’azione, fammi fallire e ricostruire, guadagnarmi il canestro centimetro per centimetro. È questa l'essenza del campetto, una versione del basket lontanissima da quella dei professionisti, dal gioco sopra il ferro, dalle schiacciate in campo aperto. O, forse, questa è solo la mia personalissima versione del campetto, una visione da maschio adulto che ha più bisogno di riconoscersi in qualcosa che non di competere per qualcosa.

Questo è quello che ho pensato dopo aver visto la prima giornata di gare, vivendo un’esperienza strana. Se ci pensate, una delle cose che più ci attrae delle Olimpiadi è la novità, la possibilità di riempirci gli occhi di sport di cui non sappiamo nulla, in cui dobbiamo ricostruire le regole con difficoltà, imparare a riconoscere la prossemica, il senso profondo. Il basket da una parte è uno degli sport più popolari e conosciuto al mondo, dall’altra in tanti si saranno accorti che la versione 3x3 è qualcosa di molto differente.

Quando però sono venuto a patti con i miei preconcetti, tutte le mie certezze hanno iniziato a vacillare. Pur rivendicando le mie ragioni, ho iniziato ad apprezzare l’intraprendenza degli atleti e le possibilità del gioco. Le regole, quelle regole che ho criticato, rendono infatti il 3x3 uno sport rapsodico, tanto veloce quanto caotico. Se il basket da campetto è uno sport lento e il basket dei professionisti è scientifico, il basket 3x3 è indecifrabile. «È veloce, è urbano, è uno spettacolo», così l’ha descritto il CIO tramite i suoi canali ufficiali, ma più che veloce o spettacolare, il 3x3 è pazzo e inafferrabile. Può succedere tutto e il contrario di tutto. L’impossibilità di estendere il controllo sulla partita, rende il risultato sempre incerto. La quasi totalità delle partite che ho visto si è risolta alle ultime battute, come in un eterno e casuale clutch time (tranne le semifinali del maschile, per qualche strana ragione).

I motivi per cui ogni partita può essere una partita aperta sono anche i limiti del 3x3 rispetto alla sua versione maggiorata di un canestro e 4 giocatori. Il punteggio, ad esempio, può essere considerato mal distribuito. I punti segnati dentro l’arco valgono 1, mentre quelli da fuori l’arco 2 (nel basket invece il rapporto è ⅔, meno squilibrato). Questo crea momenti di partita in cui le squadre cercano solo di tirare il più possibile da lontano, non sempre in maniera costruita o armonica. Se non voglio mettermi a fare la guerra all’efficienza dei tiri (ovviamente se un tiro vale il doppio dell’altro, mi conviene cercare questo tiro), il 3x3 poteva puntare forte sul fascino del gioco nei pressi del canestro, anche se proprio durante questo torneo ci siamo resi conto di quanto sia difficile giocare al ferro se non si è Giannis Antetokounmpo.

Perché l’altro aspetto del 3x3 è che, se siete abituati a seguire il basket europeo o quello NBA, c’è una differenza di livello evidente di talento. Magari si poteva pensare che le Nazioni con particolare talento cestistico avrebbero optato per portare i migliori giocatori di basket non impegnati nell'altro torneo (la Serbia, ad esempio, avendo mancato la qualificazione olimpica, in potenza, avrebbe potuto portare un terzetto composto da Jokic, Teodosic e Bogdanovic), ma da regolamento FIBA per partecipare al torneo di 3x3 bisognava aver guadagnato almeno un certo numero di punti nel ranking generale (punti che si ottengono partecipando ai tornei di 3x3). Per questo, ad esempio, è rimasta fuori l'azzurra Sara Madera, presente invece nel preolimpico.

Gli atleti presenti quindi si dividevano tra professionisti del 3x3 (come la squadra lettone, oro maschile) e giocatori semi-professionisti nel basket (inteso come 5 contro 5) che parallelamente avevano nel corso di questi anni giocato anche nei tornei di 3x3. Certo non mancavano ottimi giocatori tout court, come Dusan Bulut, conosciuto come il Michael Jordan del 3x3 (esistono molti Michael Jordan di altri sport, ma farlo con uno che è molto simile al basket sembra una scelta piuttosto infelice). Tuttavia in generale il livello tecnico dei singoli giocatori non è sembrato altissimo. Un'atleta come Kelsey Plum (professionista in Europa con il Fenerbahce e nella WNBA con le Las Vegas Aces) in certi momenti delle partite sembrava semplicemente ingiocabile, guidando la squadra femminile degli USA all'oro.

Mike Beuoy, giornalista che si occupa di dati per il basket, ha provato a districare un po' il 3x3, mettendolo anche a paragone con la WNBA, per quanto riguarda il femminile e con l'NBA per quanto riguarda il maschile. Ne escono fuori delle similitudini (come nei punti per possesso, ovviamente aggiustati) e addirittura una maggiore efficienza nei tiri del 3x3 (che si può spiegare con il maggior spazio disponibile, immagino). Similitudini che è difficile portare fuori dall'aspetto numerico.

https://twitter.com/inpredict/status/1422203468371070977

Eppure l’entusiasmo degli atleti, la bellezza insita nel gioco (è pur sempre basket) e l’inarrivabile fascino del contendersi una medaglia olimpica hanno reso la settimana di 3x3 estremamente appassionante. Anche il formato ha aiutato: tante partite (alla fine, tra maschile e femminile, 68), tutte giocate a mille nei massimo 10 minuti di durata. Una competizione dove il focus viene spostato dalla tecnica all’intensità e che, più che un pubblico giovanile, può attirare un pubblico che trova respingente il basket, con i suoi dettagli, le sue pause, i momenti in cui le partite sembrano in stallo.

Nella finale maschile, ad esempio, mentre Lettonia e Comitato Olimpico Russo se le davano di santa ragione, al “lungo” russo Karpenkov è esplosa una scarpa. Non avendo quelle di ricambio l’abbiamo visto ripararla con una decina di giri di nastro adesivo, mentre dall’altra parte Krumins - fisico da persona normale, talento medio, cuore di un leone - provava a non lasciare senza cambi i suoi riparando una caviglia slogata con un mare di tape, prima di crollare dolorante sotto canestro e alzare bandiera bianca. Una partita adrenalinica decisa da una conclusione da oltre l’arco di Miezis (numero uno nel ranking maschile) solo apparentemente fuori equilibrio (il concetto di cosa è o cosa non è forzato nel 3x3 va rivisto).

Insomma è probabile che dopo questa settimana il circuito del 3x3 torni alla sua realtà carbonara, fatta di piccoli tornei giocati sotto il sole, con la gente come me che pensa che tutti potrebbero farsi una squadra abbastanza forte da competere. Ma questo è quello che accade a quasi tutte le discipline presenti alle Olimpiadi. Intanto il 3x3 mi ha convinto che può esistere come forma di basket a sé stante. Che se già il dominio del basket 5 contro 5 si è già esteso di nuovo anche sui Giochi Olimpici, con il torneo che sta entrando nel vivo con le sue superstar, e forse dovremo discutere se è giusta la presenza di questi sport così mainstream alle Olimpiadi, io e il 3x3 potremo dire che "Avremo sempre Tokyo". Almeno fino al 2024, quando, spero, potremo dire che "Avremo sempre Parigi".

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