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Giacomo Moccetti
Il baseball si sta svecchiando
13 ott 2023
13 ott 2023
Grazie a una serie di riforme, la MLB sta tornando a riempire gli stadi.
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Giacomo Moccetti
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IMAGO / USA TODAY Network
(foto) IMAGO / USA TODAY Network
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Take me out to the ball game è una canzone composta nel 1908 diventata nel corso del Novecento l’inno non ufficiale del baseball. È estremamente popolare negli Stati Uniti, tra le più riconoscibili del secolo scorso, insieme a Happy Birthday e all’inno nazionale americano. Ha dato il titolo a un film con Frank Sinatra e Gene Kelly, è stata utilizzata da Nike per uno spot, ma soprattutto è diventata la canzone eseguita a metà del settimo inning in tutti gli stadi del Paese. È il momento in cui sulle tribune prende vita il seventh-inning stretch, un attimo di pausa dove i tifosi, ormai provati da oltre due ore di partita, ne approfittano per fare l’ultimo rifornimento di hamburger ed effettuare qualche esercizio di stretching per affrontare al meglio il finale di partita.

Il problema è che in MLB la fine dell’incontro, decennio dopo decennio, si è spostata sempre un po’ più in là. Se un tifoso negli anni ‘40 allo stadio ci trascorreva un paio d’ore, nel nuovo millennio il tempo necessario per assistere a un match di baseball per intero ha superato le tre ore. Non c’è una spiegazione univoca sul perché questo sia successo, perché i fattori sono diversi. Tra questi la ricerca ossessiva da parte dei lanciatori delle eliminazioni tramite strikeout (ovvero con il battitore che manca la palla tre volte), che statisticamente comporta un numero maggiore di lanci da effettuare rispetto ad altri tipi di eliminazione con la palla in gioco. Si effettuano più lanci di una volta, e questo allunga le durate. Anche le numerose sostituzioni di lanciatori nel corso della partita, arma utilizzata con sempre maggior frequenza dagli allenatori, ha diluito i tempi, perché ogni qualvolta un nuovo pitcher si presenta sul monte di lancio ha diritto ad alcuni minuti di riscaldamento per evitare infortuni. Insomma, da ball-game a boring-game il passo è breve, e di questo si sono accorti tutti, compresi i vertici della MLB, che hanno deciso di intervenire.

C’è una similitudine con il dibattito che negli ultimi anni si è aperto in Europa su come si possa rendere più attrattivo il calcio per le nuove generazioni. Nel caso del calcio da diverse parti sono arrivate le proposte più disparate, da chi vorrebbe intervenire con cambi regolamentari, come l’introduzione del tempo effettivo, l’aumento della grandezza delle porte e l’abolizione del fuorigioco, fino a coloro che invece spingono per la creazione di tornei maggiormente attrattivi, superleghe dove le grandi squadre si affrontino con maggior regolarità. La paura – nel calcio come nel baseball – è che in un mondo con sempre maggiori alternative a livello di intrattenimento e una soglia di attenzione in picchiata tra i giovanissimi, uno sport vecchio di quasi due secoli diventi obsoleto nel giro di pochi anni. Toccare la struttura regolamentare e organizzativa di una disciplina è però difficile, o almeno così ci pare a noi in Europa dove il timore di snaturare uno sport conservatore come il calcio spesso ha la meglio. Nel baseball, uno sport più antico del calcio, non hanno invece avuto questa paura e con la stagione 2023 hanno messo in moto un processo di riforme che lo ha cambiato nel profondo.

Pochi giorni fa è iniziata la post season della MLB, e negli Stati Uniti hanno cominciato a tirare le somme di una regular season che ha dovuto fare i conti con la più grossa rivoluzione regolamentare nella storia di quello che è considerato il passatempo americano per eccellenza, ma che da un pezzo non è più lo sport maggiormente seguito dagli americani (scavalcato dal football e affiancato dal basket). Le motivazioni sono molte e complesse ma certo, in un’epoca in cui il tempo accelera e ci si sente sempre in ritardo, non aiuta il fatto che il baseball, fondamentalmente, sia lento.

Le partite – fino allo scorso anno – duravano mediamente oltre tre ore. Pressappoco quanto una partita di football, ma con due grosse differenze. La prima riguarda il numero di incontri: una squadra di NFL gioca 17 partite di regular season, una alla settimana, mentre una franchigia di MLB ne gioca 162, ovvero sei o sette alla settimana per sei mesi consecutivi. La seconda differenza è nella dinamica di gioco: nel football si va sempre a mille all’ora. Certo, ci sono molte pause tra una giocata e l’altra, ma quando la palla è in gioco non si sta mai fermi, dando vita a tre ore di pura adrenalina. Il baseball invece per sua stessa natura vive di fiammate, con lunghi momenti dove accade molto poco, o comunque a un ritmo poco contemporaneo. Il risultato è che anno dopo anno la percentuale di capienza degli stadi ha cominciato a erodersi, e così la MLB ha agito prima che l’emorragia diventasse inarrestabile, con quello che il New York Times ha definito «un piano per salvare il baseball dalla noia».

Primo problema: le partite troppo lunghe. La risposta è stata l’introduzione del pitch clock, il cronometro per i lanciatori e per i battitori. Ai pitcher è stato imposto un limite massimo di 15 secondi (20 se c’è un avversario in base) per preparare ed effettuare il lancio, mentre chi è in battuta deve essere pronto entro 8 secondi. Meno tempo a disposizione, quando prima si superavano abbondantemente anche i trenta secondi, significa costringere lanciatori e battitori a giocare con meno tatticismi, e soprattutto abbattere la durata delle partite. Risultato: la media dei match nel 2023 è crollata, passando da 3 ore e 4 minuti a 2 ore e 38 minuti. Quasi mezz’ora in meno.

Se volete approfondire come cambia il gioco con il pitch clock.

Al pitch clock si è poi aggiunta la regola (già introdotta sperimentalmente dal 2020) riguardante gli extra inning, quando le squadre sono in parità dopo i 9 inning previsti: per forzare la fine di una partita le squadre vanno in battuta avendo già un uomo in seconda base, e questo determina una maggior realizzazione di punti (e una probabilità maggiore che le partite finiscano velocemente).

Come detto, però, il problema del baseball non riguardava solamente la durata, ma anche un gioco troppo ondivago nei suoi ritmi. Succede troppo poco, insomma, cosa fare affinché accadano più cose? La MLB ha pensato di aumentare la grandezza delle basi, favorendo così i tentativi di base rubata, un’azione sempre emozionante che si vedeva troppo poco. Ma non solo, si è arrivati anche a vietare una specifica disposizione difensiva (conosciuta come shift) che portava troppo spesso all’eliminazione dei battitori. Anche qui i risultati hanno premiato le decisioni: più basi rubate (con un aumento del 40%) e più uomini arrivati in base, anche grazie al fatto che il pitch clock ha mandato in crisi alcuni lanciatori.

Come sfruttare le basi più grandi: il rookie dei Cincinnati Reds Elly De La Cruz ne ha rubate tre nel tempo di due lanci.

Infine si è ovviato a un “difetto” storico del baseball, causato dalla sua struttura organizzativa. Le trenta franchigie che partecipano al campionato sono infatti suddivise in sei division da cinque squadre l’una, tre appartenenti alla National League e tre all’American League. Fino al 2022 ogni squadra disputava nel corso della regular season ben 19 partite contro le avversarie di division, diversi incontri contro le altre compagini della stessa lega, e affrontava solo alcune delle franchigie dell’altra lega. Anche nella post season le avversarie appartengono alla stessa lega, fatta ovviamente eccezione per le World Series, dove si contendono il titolo le vincitrici di American e National League. Questo tipo di organizzazione, che ha dato vita a rivalità storiche come quella tra Yankees e Red Sox (appartenenti alla stessa division), ha però anche impedito alla maggior parte delle grandi squadre delle due leghe di scontrarsi tra di loro. Nell’ultima stagione, quindi, si è dato vita a un nuovo calendario dove tutte le franchigie giocano contro tutte almeno in una serie da tre partite. Per chi si reca allo stadio l’opportunità quindi di vedere più squadre e più giocatori diversi.

In campo le partite sono sembrate subito più avvincenti e anche i più scettici hanno dovuto ammettere che, nonostante i radicali cambiamenti introdotti, il baseball in realtà non è stato snaturato. Ma la risposta del pubblico? È andata oltre le aspettative: +9,6 % di spettatori negli stadi, con il totale stagionale passato da 64 milioni e mezzo a circa 71 milioni di spettatori. Per avere un’idea più concreta vale la pena guardare il dato della capienza media: per ogni partita allo stadio si sono presentati 29.295 appassionati, pressappoco la media dell’ultimo campionato italiano di Serie A. La differenza però è che in Serie A si disputano un totale di 380 partite in una stagione, mentre la regular season di MLB consiste in un totale di 2430 incontri.

Ovviamente non tutte le squadre richiamano lo stesso pubblico, e se ci sono piazze come Los Angeles (sponda Dodgers), New York (Yankees), San Diego e St.Louis che ospitano oltre 40mila spettatori a partita, ve ne sono un paio che non arrivano a 15mila, con gli Oakland Athletics (quelli di Billy Beane e di Moneyball, per intenderci) che superano di poco i 10mila di media, anche a causa di risultati non esaltanti. Anche in questo caso la MLB non è rimasta con le mani in mano e si sta lavorando per spostare la franchigia da Oakland a Las Vegas nel 2025, con l’intenzione di aprirsi a un nuovo bacino di potenziali tifosi. Negli Stati Uniti non si guarda troppo in faccia alle tradizioni e al radicamento sul territorio.

Se ciò a cui si è assistito nell’ultima stagione sia davvero una rinascita per il baseball è ancora troppo presto per dirlo, con i numeri che andranno confermati nei prossimi anni. Intanto però in MLB possono tirare un sospiro di sollievo, perché il 2023 ha dimostrato che un baseball al passo coi tempi può ancora essere di moda. Forse andare allo stadio a godersi il ball game continuerà ad essere una tradizione americana.

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