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Baseball season!
17 apr 2015
17 apr 2015
Protagonisti, cenerentole e i principali temi della nuova stagione appena iniziata.
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Sbagliare il primo lancio. È questa la paura ancestrale di tifosi e celebrità che avranno a che fare con la palla che inaugurerà la stagione di baseball. L’idea di suscitare l’ilarità di milioni di tifosi che attendono con ansia messianica l’inizio delle ostilità è talmente sconvolgente da creare scompensi persino nel vicepresidente Frank Underwood, lo spietato politico interpretato da Kevin Spacey in House of Cards, così atterrito dall’idea di lanciare la pallina nel ballpark degli Orioles da trascorrere la notte precedente allenandosi con la guardia del corpo trasformata in catcher.

Tecnica rivedibile.

La tradizione di riservare il primo lancio ad una autorità risale all’iniziativa del presidente William H. Taft, che nel 1910 per primo diede avvio all’usanza, lanciando la pallina dalla tribuna del ballpark di Washington. Dopo di lui praticamente tutti i presidenti si sono sottoposti al rituale, dimostrando anche una discreta tecnica, come nel caso di George W. Bush alle World Series del 2001.

Il lancio avviene appena un mese dopo l’attentato al World Trade Center, il clima non è disteso come al solito.

L’inizio della stagione coincide non a caso con l’arrivo della primavera e la sua mistica rimanda alle radici rurali nelle quali affonda lo sport più longevo d’America. Alle grandi distese di prato, ai ritmi lenti e sequenziali, da gustare ovviamente con una birra in un mano e un hot dog grondante di mostarda nell’altra.

L’era dei pitcher

Il primo problema che Rob Manfred, il commissioner che lo scorso gennaio ha preso il posto di Bud Selig, ha trovato sul proprio tavolo è stato il drastico calo di punti segnati e di home run a cui si sta assistendo nelle ultime stagioni. Ovvero la traduzione in numeri della lotta agli steroidi che gonfiavano muscoli e moltiplicavano le statistiche degli slugger dei primi anni del millennio. Lentamente, il regno di ghiaccio dei pitcher ha preso il sopravvento a colpi di “K” (eliminazione del battitore al piatto) e di no-hitter (il lanciatore non concede nemmeno una battuta valida in tutta la partita). Se per certi versi la prestazione del lanciatore, con la sua capacità solitaria di vincere orde di nemici, ha sempre una natura epica, il baseball non può rinunciare al suo momento più iconico, quello in cui la pallina viene scagliata fuori dallo stadio.

Dal 2006, anno in cui sono cominciati i test obbligatori sulle anfetamine, il numero degli strike out ha avviato un trend di crescita senza precedenti. Solo lo scorso anno, secondo il New York Times, ne sono stati registrati 6000 di più che nella stagione 2000—apice della cosiddetta steroid-era. La mancanza di “aiutini” ha infatti penalizzato maggiormente i battitori, che durante le 162 partite di regular season sono impegnati molto più a lungo dei lanciatori, andando incontro a frequenti cali di forma e infortuni.

Non a caso i Kansas City Royals sono arrivati alle World Series dello scorso ottobre senza avere tra le proprie fila un uomo capace di battere 30 fuoricampo, dato impensabile solo fino a qualche anno fa. Se il gioco non dovesse trovare da solo la strada per rigenerarsi, da molte parti si auspica un ausilio esterno, leggasi cambiamento delle regole. Come accaduto in passato, quando l’abbassamento del monte di lancio o l’introduzione del battitore designato nell’American League avevano riequilibrato i rapporti di forza tra battitori e lanciatori, una soluzione allo strapotere dei pitcher potrebbe essere offerta dal restringimento della strike-zone. Per altri invece andrebbero vietati i defensive shifting, l’arma tattica che consiste nell’affastellare i difensori nella zona del campo dove ci si aspetta che arrivi la palla del battitore.

Manfred, che al momento non sembra particolarmente interessato ad entrambe le questioni, ha preferito concentrarsi invece sulla durata delle partite, che nel 2014 ha superato le 3 ore di media.

Da quest’anno dovremmo vedere accorciarsi i tempi morti tra gli inning e durante le sostituzioni dei pitchers; saranno limitati a tre i meeting sul monte mentre i battitori dovranno tenere obbligatoriamente almeno un piede nel box di battuta tra un lancio e l’altro. Una carezza all’audience televisiva stagnante, che ha scatenato però le polemiche dei battitori, secondo cui queste regole costituirebbero un ulteriore favore ai lanciatori: «Tra un lancio e l’altro io non perdo tempo: penso alla strategia», è stato l’eloquente commento di David Ortiz in riferimento all’impossibilità di allontanarsi dal box di battuta.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalle risposte che le varie squadre hanno messo sul campo per contrastare il deficit di potenza. Più battute di contatto e maggiore atletismo hanno contribuito infatti a rimescolare le carte, consentendo anche ai club privi di superstar di competere un pochino di più. Inoltre secondo Manfred, che nell’era Selig è stato uno dei più fieri oppositori del doping, la percezione di assistere ad un gioco pulito supplisce nei tifosi la mancanza di spettacolo offerta dalle long-balls.

Riusciranno finalmente i Chicago Cubs a vincere il titolo?

Più che una domanda è un ritornello che ogni inizio stagione torna puntuale per poi trovarsi a settembre a raccogliere i cocci di un’ennesima stagione fallimentare. Sono troppi gli anni passati da quando per l’ultima volta il titolo ha preso la via del North Side. Per l’esattezza 107, dovuti secondo molti alla più potente maledizione della storia del baseball, quella di Billy Goat Sianis, che durante le World Series del ‘45 volle punire l’organizzazione per aver impedito alla sua capretta di entrare allo stadio.

Le ragioni per cui il 2015 potrebbe essere finalmente l’anno buono per i Cubs sono però tante e consistenti, tanto da indurre perfino i bookmakers a rivedere al ribasso le quote che li danno vincenti.

Intanto l’inizio è stato ottimo, vittoria contro Cincinnati e grande prestazione di Jorge Soler.

Il primo buon motivo è Joe Maddon, il nuovo coach scelto dal Gm Theo Epstein, uno che di maledizioni se ne intende. Epstein nel 2004 era sul ponte di comando dei Red Sox che interruppero un digiuno lungo 86 anni e la celebre maledizione del “Bambino”, quella scagliata da Babe Ruth dopo essere stato ceduto agli Yankees.

Maddon nel 2008 è riuscito a portare Tampa Bay da squadra con il peggior record della lega alla finalissima persa contro Philadelphia, aggiudicandosi il titolo di miglior manager dell’American League. Grande comunicatore e amante delle felpe con il cappuccio, da molti è indicato come l’uomo giusto per guidare un roster pieno di talento e di tanti giovani emergenti.

Sul monte di lancio è sbarcato invece Jon Lester, capace di vincere prima un linfoma nel 2007 e poi un titolo con Boston nel 2013, che dovrebbe dare quel valore aggiunto alla rotazione dei lanciatori partenti in termini di esperienza e di vittorie.

Una bomba pronta ad esplodere è invece Kris Bryant, attualmente fuori dal roster a 25 uomini, ma capace l’anno scorso in doppio e triplo A di battere più di 40 home-run, che gli sono valsi il premio di MVP delle Minors, oltre all’etichetta di miglior prospetto in circolazione. Accanto a lui è destinato a giocare un ruolo da protagonista anche il 22enne esule cubano Jorge Soler, che l’anno scorso all’esordio assoluto in MLB ha presentato il suo biglietto da visita spedendo fuori dallo stadio la prima pallina che gli hanno tirato contro.

La predizione che però più di ogni altra cosa rinvigorisce le speranze dei tifosi dello storico Wrigley Field, ancora alle prese con importanti opere di maquillage, è quella di Ritorno al Futuro parte II. Marty McFly durante il viaggio nel futuro all’inizio del film scopre che i Cubs hanno vinto le World Series del 2015.

Può darsi anche che Ritorno al Futuro non predica la realtà ma la determini (!).

Perché i San Francisco Giants non rivinceranno il titolo

Se vogliamo dar retta ai numeri dobbiamo dar retta al fatto che questo è un anno dispari. Il club della Baia ha trionfato nelle stagioni 2010, 2012 e 2104, ma si è inabissato nelle altre. Al di là della cabala esistono anche spiegazioni più tecniche. Diversi sono infatti i protagonisti della scorsa stagione che sono andati via. Il potente terza base Pablo Sandoval, autore di 14 home run nel 2014, si è accasato da free-agent a Boston. L’esterno Michael Morse, decisivo nell’ultima fase della stagione è invece finito a Miami. Al loro posto sono arrivati Casey McGehee e Nori Aoki, che in due hanno battuto appena tre fuori campo in tutto il 2014.

I maggiori dubbi però persistono sul reparto lanciatori, da sempre uno dei fattori chiave dei successi dei californiani. Nella post season del 2014 infatti Madison Bumgarner e il suo braccio sinistro, hanno letteralmente trascinato i Giants verso l’anello. “MadBum” però rischia però di rimanere l’unico gioiello in un settore che annovera alcuni giocatori usurati da tante battaglie, come il 39enne Tim Hudson e il 34enne Jake Peavy, e altri in cerca di rilancio, come Matt Cain, tormentato dagli infortuni nel 2014, e Tim Lincecum, l’anno scorso talmente incostante da finire tra i rilievi. Non bastasse un altro pezzo da novanta come Hunter Pence, due interi campionati senza mai saltare una partita, ha cominciato la stagione sulla lista degli infortunati.

Protagonisti e cenerentole

Se la stagione 2015 confermerà la crisi offensiva in atto, la franchigia che più di ogni altra è destinata a recitare la parte del leone sembra essere i Washington Nationals. Il club della capitale ha affiancato ad un cast di lanciatori già di per sé stellare—forte di gente come Jordan Zimmerman, Stephen Strabourg, Gio Gonzalez, Doug Fister e Tanner Roark capace nel 2014 della più bassa ERA di squadra delle Major—un campione del calibro di Max Scherzer, vincitore del Cy Young Award dell’AL nel 2013.

Sulla strada verso il titolo Washington dovrà vedersela con i Dodgers, guidati dallo stupefacente Clayton Kershaw (3 volte Cy Young Award negli ultimi 4 anni) e dal talento Yasiel Puig. Ma anche con i soliti St. Louis Cardinals, che in un modo o nell’altro alla post-season ci arrivano comunque.

Le sorprese della National League potrebbero arrivare da San Diego e Arizona: occhio al cubano Yasmani Tomás, mentre Andrew McCutchen e Giancarlo Stanton, pronosticato re degli home run, proveranno a trascinare rispettivamente i Pirates e i Marlins.

Sul versante American League invece i giochi non sembrano affatto scontati. Boston, che ha aggiunto potenza al proprio line-up con l’acquisto di Pablo Sandoval e di Rusney Castillo (l’ennesimo cubano da tenere a mente), e Seattle (Felix Hernandez più Nelson Cruz e Robinson Cano) dovrebbero vincere la corsa nelle rispettive division.

Più complicata la vicenda nella AL Central dove Detroit, Kansas City, Chicago White Sox e Cleveland partono più o meno alla pari e promettono di darsi battaglia fino alla fine sia per il pennant che per le wild card.

Sarà invece probabilmente ancora un anno no per gli Yankees, che dopo aver salutato Derek Jeter hanno riabbracciato calorosamente A-Rod, tornato in campo dopo la mega sospensione di un anno per aver assunto sostanze dopanti. Sembrano veramente lontani gli anni d’oro di Joe Torre e dell’impero del male, considerata l’assenza dai playoff che perdura ormai dal 2013. Eppure nel baseball, come nella vita, mai dire mai. Le avventure più incredibili sono sempre dietro l’angolo, pronte a spuntare come ogni primavera, rinnovando stagione dopo stagione il miracolo del baseball.

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