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Il Barcellona di Xavi sta crescendo
17 feb 2022
E il Napoli non dovrà sottovalutarlo.
(articolo)
13 min
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Xavi non si era sentito pronto, quando per la prima volta la dirigenza gli aveva chiesto di tornare come allenatore del Barcellona. Forse neanche loro lo vedevano pronto, forse volevano piuttosto sondare il terreno per non bruciare anche l’ultima vera icona ancora intatta della squadra migliore della lunga storia blaugrana. Il presidente Laporta ha tentennato anche nei momenti peggiori, tenuto Koeman pensando di poter finire con lui la stagione e poi ripartire con un volto fresco, possibilmente tedesco si diceva. Ma nel Barcellona il tempo è tiranno anche più che nelle altre grandi squadre decadenti: il rischio di mancare la qualificazione alla prossima Champions League è diventato un rischio troppo grosso e dopo l’ennesimo Clásico perso - il terzo consecutivo per l’allenatore olandese, un record che non veniva toccato dal 1936 - l’addio è stato inevitabile, consumato sul volo di ritorno da Madrid.

Probabilmente per Xavi un’altra opportunità sarebbe arrivata, ma alla fine ha accettato di lasciare il paradiso dorato che si era costruito in Qatar per sporcarsi le mani con il nido di serpi blaugrana. Da quando ha smesso col calcio, si sapeva, che un giorno si sarebbe seduto su quella panchina, ma certo arrivare a stagione in corso, nel momento più tragico degli ultimi 20 anni sia a livello economico che di risultati, non era una prospettiva allettante. Eppure Xavi ha detto sì, è arrivato col suo staff, composto anche dal fratello vice allenatore, ha chiesto di far tornare il vecchio medico allontanato dalla vecchia dirigenza e si è messo al lavoro. Si è affidato a facce conosciute, per lui e per il Barcellona, ma anche ora, a tre mesi di distanza, è strano vederlo sedersi in panchina, fare conferenze stampa, prendere decisioni. Nonostante sia uno di quelli che sembra nato per questo mestiere.

In campo era definito un allenatore in campo. Conosceva la posizione dei giocatori attorno, durante la partita dettava istruzioni a tutti. Oltre a essere uno dei migliori centrocampisti della storia del calcio è anche uno famoso per il suo dogmatismo, che non ha mai nascosto la sua visione del gioco davanti ai microfoni, sempre impegnato ad autoanalizzarsi: «sono piccolo e lento, ma veloce di testa», parlare in modo schietto delle sue preferenze: «Un ragazzo anarchico che ha perso 20 palloni, ha fatto correre la squadra all'indietro e al 90° minuto ha segnato il gol vincente, il giorno dopo tutti diranno che ha fatto una grande partita. Per me ha avuto un incontro penoso, orrendo» e rilasciando anche opinioni forti: «L'Olanda di Cruyff non ha vinto nulla ma ha lasciato un'eredità. Il Chelsea di Di Matteo ha vinto la Champions League ma secondo me non giocava a niente». Uno con cui si può essere d’accordo o meno, ma gli va riconosciuto sicuramente che vive e respira calcio tutto il tempo: «Mia moglie mi dice che guardo troppo calcio».

Per il Barcellona - inteso come squadra e ambiente - Xavi non è soltanto sinonimo di vittorie; Xavi è stato il portatore in campo del verbo, il figlio di Guardiola, il nipote di Cruyff. Un discepolo della rivoluzione che è forse incapace di contemplare un altro modo di giocare per il Barcellona e per questo può spingere verso l’ortodossia come pochi altri. Nel momento più delicato Laporta ha scelto di affidarsi totalmente a un allenatore bagnato nella fonte del modello di gioco catalano fin dalla tenera età.

Ma come sta andando il suo Barcellona? Nessuno ha la bacchetta magica e non ce l’ha neanche Xavi. La rosa ha dei problemi strutturali negli ultimi anni nascosti da Messi, ma che adesso sono dolorosamente evidenti. Nelle ultime tre stagioni il Barcellona era sembrato inallenabile e l’aver provato a sostituire l’argentino con una serie di calciatori oltre i 30 anni in appannamento o con under 21 incapaci di dare continuità al loro talento non ha aiutato. In questo momento il Barcellona è un mix tra vecchio e nuovissimo senza equilibrio e stare in panchina non vuol dire solo cercare di salvare la barca, ma provare a tracciare un percorso per il futuro. Oggi si gioca per il quarto posto in Liga, ma anche per preparare la squadra di domani, che dovrà fare a meno degli ultimi senatori: Busquets, Jordi Alba e Piqué. Costruire qualcosa dovendo però ottenere subito risultati è quanto chiesto alla prima esperienza da allenatore in Europa a Xavi.

A venirgli incontro è stato il mercato di gennaio, che però è stato un mercato di compromessi. Aubameyang, che Xavi aveva a suo tempo ritenuto non adatto al gioco del Barcellona perché attaccante che gioca meglio con grandi spazi davanti a lui, o Adama Traoré che fa parte di quei giocatori andati via dal club dopo essere usciti dalla Masia e che lui aveva detto sarebbe stato meglio non riacquistare. Ma forse è anche questo il simbolo del realismo con cui ogni allenatore deve fare i conti, anche uno come Xavi. Dopotutto è un Barcellona che in estate ha scelto di puntare su Luuk de Jong, un centravanti sgraziato e che ha nel colpo di testa il suo punto di forza. Un giocatore che hanno provato a cedere durante il mercato invernale, senza riuscirci e che nell’ultimo periodo - viste anche le molte assenze - gli ha permesso con 4 gol di battere il Mallorca e pareggiare contro il Granada e soprattutto all’ultima azione contro l’Espanyol. Quello che era stato richiesto da Koeman come piano B nelle partite bloccate, lo è diventato per Xavi.

Ma parlando del piano A, com’era prevedibile Xavi ha utilizzato due moduli base, ovviamente quelli con cui ha lavorato di più da giocatore e per cui la teoria stabilisce siano più adatti al gioco di posizione: 4-3-3 (che in fase di possesso porta i giocatori a schierarsi in una sorta di 3-2-5) e 3-4-3 col centrocampo a rombo. Anche all’interno della stessa partita, come visto durante l’ultimo derby con il modulo di partenza del 4-3-3 che all’ora di gioco è stato modificato nel 3-4-3 a rombo con un foglietto che dalla panchina hanno fatto recapitare a Busquets per riposizionare i compagni in campo.

Sia nel 4-3-3 che nel 3-4-3 a rombo il gioco non cambia e sono solo tre i punti di riferimento: il portiere ter Stegen che partecipa molto alla manovra uscendo a giocare anche fuori dall’area, Busquets fisso davanti alla difesa e la prima punta fissa al centro dell’attacco. Attorno non c’è simmetria visto che a seconda della fase di gioco e di dove si trova il pallone lo schieramento si modifica in modo fluido: l’esempio più semplice è il diverso atteggiamento dei terzini, con Jordi Alba a sinistra che dà ampiezza mentre quello destro che rimane più bloccato; ma anche per le mezzali i compiti sono diversi: c’è quella più offensiva, Pedri, che va a posizionarsi in zona di rifinitura e quella più dedita ad aiutare l’uscita del pallone, de Jong.

In questo grafico di passaggi e posizioni medie si nota bene come Sergio Busquets sia l’unico punto di riferimento centrale per la squadra.

Xavi si è affidato fin da subito alla vecchia guardia per scolarizzare il resto della squadra, che per sua stessa bocca è sorprendentemente a digiuno dei concetti del gioco di posizione. Forse neanche lui si aspettava di dover lavorare tanto in termini di insegnamento, visto che la squadra che aveva lasciato li praticava a memoria. La prima cosa che ha dovuto fare, quindi, è stato lavorare molto sui concetti base, come “il terzo uomo”. Una volta che Busquets ha ricevuto il primo passaggio in uscita è lui ad attivare i compagni: se non riesce di prima a trovare qualcuno ben posizionato, può verticalizzare, oppure cercare gli esterni per allargare il campo.

L’ampiezza è fondamentale per provare a disordinare l’avversario e - una volta mossa la palla nuovamente verso il centro - trovare lo spazio per il filtrante in area. Se il filtrante non c’è, la palla torna sull’esterno per il cross. È un'azione che il Barcellona di Xavi può ripetere all’infinito: l’allenatore ha passato le prime partite della sua gestione a bordo campo indicando con le braccia questo movimento continuo ad alternare verticalizzazione e palla sugli esterni. Non è chiaro se questa sia una scelta dettata dalla facilità con cui il gruppo a disposizione può assimilarla rispetto a manovre più complesse o se sia proprio una sua scelta, ma certo la velocità con cui a volte il pallone va in verticale fa un po’ impressione rispetto all’immagine che abbiamo del gioco cerebrale che aveva lasciato come ricordo nelle ultime stagioni al Barcellona da giocatore Xavi.

La squadra è schierata per uscire in modo paziente e pulito dalla difesa come vuole Xavi: i due centrali larghi, i terzini più alti, Busquets al centro per completare il rombo di costruzione e Frenkie de Jong che scende per dare un’opzione in più mentre l’altra mezzala Gavi si muove dietro la linea di pressione. Tutto pronto ma ter Stegen vede il movimento in profondità di Memphis Depay e decide di lanciare lungo su di lui. Da questo suo assist arriverà il gol contro il Villarreal.

Ovviamente per funzionare, questo tipo di manovra ha bisogno di calciatori adatti. A centrocampo Xavi vuole sempre almeno contemporaneamente quattro tra Busquets, de Jong, Pedri, Gavi e Nico Gonzalez perché sono giocatori cresciuti pensando questo calcio, o che almeno hanno l'indole per praticarlo. Diversamente in attacco avrebbe bisogno di esterni in grado di saltare l’uomo anche dopo la ricezione statica e di attaccanti dai movimenti profondi in area per ricevere il passaggio: con l’infortunio di Ansu Fati e l’inaffidabilità di Ousmane Dembélé, appena arrivato Xavi si è rivolto alla Masia per cercare profili di questo tipo da inserire e mettere una toppa pre mercato di gennaio. Dalla seconda squadra ha fatto salire a turno un po’ tutti i giocatori e in questi tre mesi in campo si sono visti ali dribblomani come Abde e Ilias, fino all’attaccante esterno Jutglà. Ma era evidente che fosse solo un modo per tamponare la situazione e che, nonostante le costrizioni date dalle regole finanziarie della Liga, la dirigenza doveva venirgli incontro in qualche modo.

L’arrivo di Ferran Torres dal Manchester City è indicativo in questo senso: un attaccante abituato alle richieste del gioco di posizione dopo il lavoro con Guardiola e Luis Enrique. Il suo inserimento è stato immediato, con movimenti senza palla alternati tra quelli profondi in area e incontro in appoggio alla manovra, movimenti continui e ben eseguiti. La poca freddezza in area gli ha impedito di avere però un impatto immediato in termini di gol. Un aspetto dove invece sta aiutando tantissimo Adama Traoré, arrivato per ricoprire il ruolo di ala che punta sempre l’uomo e crossa molto. Un inserimento nell’undici bilanciato dall’impiego a sinistra di Gavi come falso esterno, più dedito alla manovra associativa. Traoré, cresciuto nella Masia e già compagno di squadra di Xavi, ha avuto un impatto istanteno con due assist alla prima partita contro l’Atlético e uno nella seconda con l’Espanyol. Per completare poi le opzioni offensive, all’ultimo è arrivato anche Aubameyang, già utilizzato a partita in corso per provare a dare ulteriore profondità alla squadra.

Ma il vero acquisto a sorpresa è una vecchia conoscenza: Dani Alves, voluto da Xavi e inserito immediatamente come titolare, salvo poi escluderlo dalla lista UEFA, motivo per cui non lo vedremo in campo nelle due partite col Napoli. Al suo posto dovrebbe esserci Sergiño Dest, un terzino dall’indubbio talento offensivo ma dalla totale assenza di letture difensive. La sua collocazione nell’undici al momento è quella che dà più grattacapi a Xavi: avendo già un’ala destra che da ampiezza - Adama Traoré o Ousmane Dembélé - il terzino destro in uscita palla rimane bloccato con gli altri due centrali (e Jordi Alba a sinistra che sale) e con l’avanzare della manovra entra nel campo per affiancarsi al centrocampista, un falso terzino quindi. Se questa richiesta è perfetta per Dani Alves non lo è per un terzino di spinta come Dest, che preferisce salire sulla fascia per ricevere alto e puntare l’uomo.

Qui un esempio di come il movimento da falso terzino di Dest (con invece Traoré con i piedi lungo la linea laterale) costringe ad una scalata il centrocampo dell’Espanyol e libera un po’ di spazio per le mezzali. De Jong legge subito la situazione e dopo essere venuto incontro si butta in profondità, ma la verticalizzazione di Araujo non gli arriva per l’imprecisione del centrale, le lacune in impostazione da parte di Araujo non sono da sottovalutare.

L’assenza di letture difensive di Dest a destra e il troppo campo da dover coprire per Jordi Alba a sinistra, fa sì che in fase di transizione difensiva, anche se in parità numerica, il Barcellona debba affidarsi unicamente alle coperture di Araujo e Piqué, con il secondo che deve fare ormai i conti con l’età. Se quindi la riaggressione non va a buon fine nella metà campo avversaria, il Barcellona ha talmente tante lacune strutturali dietro che la pur efficace capacità in copertura di Araujo a volte non basta. Consapevole di ciò, Xavi ha insistito subito sulla necessità di rimanere compatti, provare folate di pressione e attuare una riaggressione sistematica. Praticamente il suo Barcellona funziona solo se può recuperare subito il pallone, nel momento in cui passano i secondi e non è tornato in possesso va in apnea e si apre la porta ai rivali per poter affondare. La giovane età media di della rosa aiuta comunque in tal senso: giocatori come de Jong, Gavi, Pedri, Ferran Torres si sono subito calati nella parte di chi deve essere aggressivo quando non ha palla, ma integrare questo sistema di pressing con le difficoltà dei giocatori meno adatti richiede tempo e al momento c’è più di una crepa.

Quando però la squadra rimane compatta e dopo il recupero può quindi giocare nello stretto associando tutti i giocatori più tecnici in zona di rifinitura, allora qualcosa di positivo si intravede, come nel caso del gol vittoria contro l’Elche. Le connessioni tra giocatori che si conoscono bene pur essendo molto giovani aiuta in tal senso.

Eliminato a gennaio dalla Coppa del Re dall’Athletic Club, che aveva battuto la scorsa stagione proprio in finale per l’ultimo trofeo dell’era Messi, e persa la Supercoppa spagnola nel Clásico giocato in Arabia Saudita, da quando è arrivato Xavi il Barcellona ha perso solo una partita con il Betis in Liga, compiendo in questi 100 giorni una risalita importante che ha portato la squadra dal nono al quarto posto. Nel mezzo vittorie importanti come quelle per 3-1 col Villarreal e per 4-2 con l’Atlético Madrid e altre più sofferte, anche contro squadre di bassa classifica come l’1-0 al Deportivo Alavés e al Mallorca o il 3-2 all’Elche. In generale si può notare una crescita costante nel gioco, che ha portato la squadra ad uscire bene anche da partite complicatissime come appunto il tesissimo derby con l'Espanyol all’ultima giornata. Non è un caso se proprio dopo la pausa per le Nazionali (in cui i giocatori europei non hanno però lasciato Barcellona) è arrivata la migliore partita della stagione, contro l’Atletico di Simeone.

Con un attacco nuovo di zecca, il ritorno in campo di Pedri (a cinque mesi di distanza dall’infortunio muscolare) e con più tempo per lavorare in allenamento si può dire che il Barcellona a disposizione di Xavi per le partite col Napoli è in uno stato migliore rispetto a quello che lui ha preso in mano al momento del sorteggio. Solo l’infortunio ad Ansu Fati, il pessimo stato di forma psicofisica di Memphis Depay e l’impossibilità di schierare Dani Alves possono essere considerate cattive notizie.

Il Barcellona in questo momento è l’embrione della squadra che Xavi vorrebbe. Una squadra con idee più chiare che a inizio stagione e che all’interno della singola partita ha sprazzi del calcio che il suo allenatore vorrebbe vedere, ma anche improvvisi momenti di buio sia collettivo che soprattutto dei singoli, cosa che più di una volta è costata in termini difensivi e che rappresenta ancora la principale fragilità. Difetti che però sembrano intrinsechi della rosa, soprattutto dietro, e che quindi sarà difficile risolvere. Il Barcellona di Xavi, insomma, ha intrapreso un percorso di crescita nel gioco, ma non è ancora vicino a sfiorare il suo potenziale con continuità. Questo potrebbe comunque bastare per raggiungere l’obiettivo stagionale della qualificazione in Champions League e per mettere in difficoltà il Napoli nello scontro diretto. Per il futuro, quel futuro che vede il Barcellona tornare a competere per la Liga e per il titolo ideale di squadra più forte del mondo, è ancora presto per anche solo provarci. Probabilmente il vero Barcellona di Xavi lo vedremo soltanto dalla prossima stagione, intanto però sta dimostrando che da allenatore non è soltanto un nome per tenere buoni i tifosi.

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