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Azerbaijan terra di fuoco
27 apr 2015
27 apr 2015
Come ha fatto l'Azerbaijan, da piccolo Stato ex sovietico, a diventare un punto di riferimento dello sport europeo?
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Tra Baku e Buenos Aires ci sono quasi quattordicimila chilometri di distanza, sono oltre ventidue ore di aereo senza contare lo scalo. Se ci fosse un volo diretto si sorvolerebbero dodici Stati, tre continenti e due mari. Eppure le due città si sono avvicinate nel tempo fino ad arrivare a toccarsi, per un attimo, solo, un anno fa: il tassello che doveva unirle e completare il puzzle era Land of Fire, lo sponsor con cui il governo dell’Azerbaijan promuove l’immagine del paese all’estero.

Il mondo si è accorto dello sponsor azero durante la finale di Champions League dell’anno scorso, quando l’Atlético Madrid targato Land of Fire ha accarezzato le grandi orecchie della coppa per quasi un’ora, prima che un colpo di testa di Sergio Ramos riportasse l’ordine delle cose al suo stato naturale. La ONG Reporters Without Borders utilizzò la visibilità di quella partita per fare luce sulla disastrosa situazione dei diritti umani e delle libertà nel paese caucasico.

L'infografica dura che riassume il report della ONG è dominata da una grande scritta: «Sai chi è il vero sponsor dell’Atlético Madrid?».

Azerbaijan - Land of Repression.

Prima del 1991 l’Azerbaijan non è che una parte dell’Unione Sovietica. Tra il 1922 e il 1936 non è nemmeno un’entità autonoma ma solo una parte della Repubblica Socialista Federale Sovietica Transcaucasica (TSFSR), un megastato di cui fanno parte anche Georgia e Armenia. Sono proprio i litigi tra Azerbaijan e Armenia che fanno naufragare la TSFSR costringendo l’URSS a spezzettarla in diverse repubbliche autonome. I dissapori però non si placano e non appena il cappello sovietico viene meno, i due Stati si scontrano per una regione a lungo contesa: il Nagorno-Karabakh (regione a cui, tra l'altro, è dedicata una delle più belle canzoni degli Einsturzende Neubauten).

Il conflitto del Nagorno-Karabakh è solo l’ultimo degli avvenimenti che hanno spinto gli armeni lontano dal proprio paese, spesso proprio in Argentina, che oggi ospita la terza comunità armena al mondo. La comunità armena ha scelto come propria casa Palermo, uno dei quartieri più celebri di Buenos Aires, dove abitano circa 5mila dei 100mila armeni che vivono in Argentina. Tra gli argentini che ripongono le proprie radici nella comunità armena di Palermo c’è anche Matías Lammens, l’attuale presidente del San Lorenzo.

Armeni d'Argentina

Da ragazzo, durante gli anni ’80, Matías viene trasformato dal padre in un piccolo ultras del Ciclon. Tutte le domeniche vanno allo stadio insieme. «Era malato di San Lorenzo; se la domenica perdeva, andavo a letto senza cena, ambiente di una tristezza totale». Lammens lo ricorda con affetto e complicità, lo chiama mi viejo, il mio vecchio. Ma quelli sono anni avari di soddisfazioni per il San Lorenzo, che nel '79 è addirittura costretto a vendere lo stadio per problemi finanziari e due anni dopo scende per una stagione in serie B.

Chi se la passa meglio in quel periodo è invece il Deportivo Armenio, un club fondato nel 1962 da un gruppo di armeni rifugiatisi in Argentina, che a metà degli anni Ottanta vive il suo periodo di maggior splendore, stazionando stabilmente nei piani alti della classifica (oggi è relegato nell’anonimità delle serie minori). Nel corso della stagione 1988/1989 batte sia River che Boca.

La vittoria del Deportivo Armenio contro il Boca Juniors. È l’ultima partita di Hugo Gatti.

Nel 1987, quando il Deportivo Armenio supera il record argentino di maggior numero di partite senza sconfitte, collezionando ben 38 risultati utili consecutivi, Lammens ha solo 7 anni. All’inizio di quell’anno il padre, Nestor Daniel, viene stroncato da un infarto. «Mi è costato molto capire il perché, ma subito, non so se fosse un meccanismo di difesa o altro, mi rifugiai nel San Lorenzo. Questo mi rese molto tifoso. Mi aggrappai al San Lorenzo in maniera molto rapida e forte, come se il San Lorenzo fosse mi viejo».

Lammens viene cresciuto (oltre che dalla madre) da uno zio di origine armena, proveniente dall’influente famiglia degli Ohanessian. Il rapporto tra i due non sarà banale. Riferendosi a lui, Lammens non utilizza l’espressione mi viejo, pescata dal mondo dei sentimenti, ma segundo papà, leggermente più formale e legata alla routine quotidiana.

Intanto in Azerbaijan

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la famiglia Aliyev, che qualcuno ha rinominato “i Corleone del Mar Caspio”, danno una nuova dimensione all’Azerbaijan. È questa famiglia, proveniente dalla regione del Nakhchivan, enclave azera in territorio armeno, a plasmare quella cleptocrazia petrolifera che oggi è l’Azerbaijan.

La storia recente del paese segue il modello putiniano. Heydar Aliyev, e poi suo figlio Ilham Aliyev, accentrano il potere nelle proprie mani attraverso una compagnia energetica, la SOCAR. Quest’ultima, fondata nel 1992 per sfruttare le enormi riserve petrolifere e gasifere azere, viene guidata da Ilham dal 2003, quando raccoglie lo scettro del padre.

La presidenza di Ilham, ormai al dodicesimo anno, si contraddistingue per due caratteristiche. La prima è l’intransigenza sul conflitto del Nagorno-Karabakh, rimasto nel frattempo congelato in una situazione di stallo permanente, e il conseguente disprezzo nei confronti degli armeni. Nel gennaio del 2008 Ilham arriva a dichiarare che «il Nagorno-Karabakh non sarà mai indipendente» e che Yerevan, la capitale dell’Armenia, è in realtà territorio azero. In molte occasioni dichiara che il principale nemico dell’Azerbaijan sono gli armeni sparsi per il mondo.

La seconda è la trasformazione della capitale, Baku, da anonima città sovietica a dinamica metropoli occidentale attraverso l’organizzazione di diversi eventi culturali e sportivi. Dal 2002 a oggi la città ha ospitato 36 manifestazioni sportive differenti. L’idea di ripulire l’immagine del paese (inquinata da brogli elettorali, arresti di giornalisti e repressione) attraverso lo sport, e il calcio in particolare, è probabilmente di Ilham.

Se il presidente azero è la mente, il braccio è l’oscuro affarista, anch’esso proveniente dalla regione del Nakhchivan, Hafiz Mammadov. Sulla relazione tra i due non si sa quasi nulla; secondo la giornalista azera Khadija Ismayilova, attualmente in carcere per “incitamento al suicidio”, Mammadov investirebbe denaro nel calcio europeo per promuovere l’immagine del paese, in cambio vuole appalti e favori fiscali da parte del regime di Aliyev.

Mammadov, fondatore dell’ancor più oscura fondazione Baghlan Group, ha iniziato la sua scalata al calcio europeo nei primi anni del 2000. Ha iniziato dalla sua terra natia, acquistando la Dinamo Baku nel 2004. La squadra ha prima cambiato nome (adesso si chiama Baku FC) poi budget, raggiungendo il picco di successo nell’estate del 2009, quando è diventata la prima squadra azera a raggiungere il terzo turno dei preliminari di Champions League.

La diffusione nel continente europeo è stata invece molto più silenziosa. Oltre agli investimenti nel Baku FC, in quegli anni Mammadov acquista quote importanti (ma non di controllo) sia dell’Atlético Madrid che del Porto.

La vittoria che permette al Baku di accedere al terzo turno dei preliminari di Champions League.

La svolta del San Lorenzo

Mentre il calcio europeo sta per accogliere a braccia aperte l’ennesimo investitore dal passato poco chiaro, Matías Lammens si gode il San Lorenzo da semplice tifoso.

Per lui l’anno della svolta è il 2010, quando, attraverso un amico in comune, conosce personalmente Marcelo Tinelli, produttore televisivo ma soprattutto vicepresidente e uomo influente nella dirigenza del San Lorenzo. È come se si ritrovassero dopo un lungo periodo di lontananza: «Ci siamo messi a bere mate alle quattro del pomeriggio nella veranda della casa di Marcelo e alle otto stavamo ancora parlando del San Lorenzo». È per questo motivo che quando nel 2012 il presidente Carlos Abdo si dimette tra gli insulti dei tifosi, Tinelli pensa immediatamente a lui.

Lammens raccoglie il club sull’orlo del fallimento. La squadra ha sfiorato la seconda retrocessione della sua storia e le casse sono in dissesto finanziario. «Quando siamo arrivati le giovanili si lavavano con l’acqua fredda in pieno inverno perché non c’erano 30mila pesos (poco più di 3mila euro, ndr) per aggiustare la caldaia».

Dopo l’iniezione di liquidità iniziale da parte di Tinelli, Lammens capisce che il club ha bisogno di basi economiche più solide e che quest’ultime possono essere rappresentate dagli stessi tifosi. Grazie all’uso razionale e capillare dei social network riesce quindi a raddoppiare i soci del San Lorenzo (oggi sono oltre 60mila), le cui quote rappresentano oggi la principale entrata del club.

Lammens, nonostante la passione per il Ciclon, non è quindi uno di quei “presidenti-tifosi” che farebbero di tutto pur di veder vincere il proprio club: «Se un club ha bisogno di mecenate, ha fallito la dirigenza», dichiara.

L'invasione azera

Chi ha bisogno di mecenate invece sembra essere il calcio europeo, composto da una galassia di club che vivono al di sopra delle proprie possibilità. Tra questi c’è l’Atlético Madrid che, nonostante l’esplosione sportiva sotto l’ombra del Cholo Simeone, continua ad accumulare milioni su milioni di debiti, e ben 84 milioni di tasse non pagate fino alla stagione scorsa. Chi porta soldi freschi è quindi ben accetto. Nel 2013 a portarli è l’Azerbaijan, che vuole piazzare il suo sponsor sulle magliette dei colchoneros; in cambio offre 12 milioni di euro per un anno e mezzo di contratto. Immaginiamo che la quota di partecipazione di Mammadov all’interno del club abbia aiutato la conclusione del contratto.

È lo stesso Atlético Madrid ad ammettere che quello è «molto più di uno sponsor». Oltre al logo Land of Fire, infatti, il contratto di sponsorizzazione include degli strambi viaggi promozionali in Azerbaijan che prevedono, tra le altre cose: allenamenti con le giovanili del Baku FC, la visita al presidente Ilham, rendere omaggio al mausoleo di Heydar. «L’Atlético Madrid e l’Azerbaijan lavorano insieme per promuovere la strategia del paese a livello mondiale», si legge nel candido comunicato stampa del club.

Turan dice che la storia della Turchia e quella dell’Azerbaijan sono simili. Sicuramente entrambe condividono un rapporto complicato con gli armeni.

Il contratto con l’Atlético è solo il primo gradino di una scalata, quella di Mammadov, che sembra destinata al successo. Nei due anni successivi Mammadov prima acquista il Lens, piazzando Land of Fire sulle magliette della squadra e riportandola in Ligue 1, poi prova lo stesso con lo Sheffield Wednesday, squadra di serie B inglese anch’essa targata Azerbaijan.

Anche quella di Lammens sembra essere una rapidissima stairway to heaven. La storia del San Lorenzo dopo la sua nomina è incredibile. Il club diventa prima campione d’Argentina nel 2013 vincendo il Torneo Inicial, poi, l’anno successivo, anche campione del Sudamerica grazie all’incredibile trionfo in Copa Libertadores, trofeo che il Ciclon non aveva mai vinto in tutta la sua storia.

L’incredibile resurrezione del San Lorenzo in 20 minuti di video motivazionale.

Incroci pericolosi

La vittoria in Copa Libertadores attira sul San Lorenzo le attenzioni di mezzo mondo. Tra gli occhi che si rivolgono verso Buenos Aires ci sono anche quelli di Baku. D’altro canto, l’Azerbaijan stava già cercando di sfondare in Sudamerica. Gli emissari di Land of Fire avevano già proposto un ricco contratto al Peñarol, che però ha incredibilmente rifiutato.

Ci sarebbero tutte le componenti per un matrimonio perfetto. La partecipazione al Mondiale per Club del San Lorenzo darebbe a Land of Fire quella risonanza globale che è stata tolta allo sponsor azero dall’incornata di Sergio Ramos. Lammens, dal canto suo, con le cifre proposte da Land of Fire, tra i 3 e i 4 milioni di euro l’anno, concluderebbe in bellezza quel processo di consolidamento dei conti iniziato faticosamente due anni prima.

Però, quando la dirigenza del San Lorenzo si incontra con gli emissari di Land of Fire, tra cui forse c’è anche Mammadov, qualcosa non funziona. Tra le clausole del contratto proposto dallo sponsor azero ce n’è una anomala che Lammens non aveva mai letto e che sembra essere scritta apposta per lui. La clausola prevede, a contratto firmato, il divieto di accesso al comitato esecutivo del club per qualunque persona di origine armena.

«Questo non posso accettarlo, io sono armeno». La risposta di Lammens è falsa, istintiva. Lui non è armeno, almeno non direttamente. Ma quella clausola lo riporta al suo inferno personale, quando il San Lorenzo e un segundo papà, armeno per l’appunto, hanno colmato un’assenza che non si poteva colmare.

Quando verrà omaggiato dalla comunità armena in Argentina per il suo gesto, Lammens cerca di dissimulare le emozioni parlando del genocidio e del Nagorno-Karabakh. Ma la verità traspare lo stesso: «Con l’etica, i sentimenti e l’amore, non c’è denaro che tenga».

La voce di Lammens si spezza poco prima dell’espressione "segundo papà".

Invasione fallita

Ma nel periodo che va da quel rifiuto a oggi, quella di Lammens si rivelerà molto più di una scelta di cuore. Il progetto azero di conquista dell’Europa del pallone inizia da quel momento a sgretolarsi lentamente. Mammadov va di lì a poco in bancarotta, rivelandosi per ciò che è veramente: un affarista poco affidabile.

La sua scalata allo Sheffield Wednesday, definita dall’attuale presidente come una “continua speculazione”, fallisce. Senza i suoi pagamenti, il Lens inizia a scivolare inesorabilmente verso la retrocessione e il disastro finanziario. Anche il Baku FC è in disfacimento, con giocatori che non vengono pagati da mesi. L’Atlético Madrid, dal canto suo, con ogni probabilità non prolungherà il suo contratto con Land of Fire, che scade a giugno.

Le difficoltà di Mammadov sono legate a doppio filo con quelle dell’Azerbaijan. Il crollo del prezzo degli idrocarburi, che rappresentano il 95% delle esportazioni del paese caucasico, sta minando alla base l’economia del paese. Per questi motivi, ad oggi è difficile credere alle indiscrezioni che vorrebbero la Lazio sul punto di firmare un contratto da 40 milioni di euro con Land of Fire. E, visti i precedenti, forse nemmeno c’è da augurarselo.

Futuro di fuoco?

Nell’estate dell’anno scorso il presidente azero Ilham Aliyev, che nel 2012 è stato ironicamente nominato Persona dell’Anno da una ONG impegnata a combattere crimine e corruzione, è diventato presidente di turno del Consiglio d’Europa che, a detta di Wikipedia, ha lo scopo di «promuovere la democrazia, i diritti dell'uomo, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa». L’Azerbaijan è considerato sempre più parte dell’Europa, grazie ai suoi oleodotti.

Allo stesso modo Baku è ormai la capitale dello sport europeo. Quest’estate ospiterà la prima edizione dei Giochi Europei, una sorta di Olimpiadi in formato continentale. Nel 2020 nella capitale dell’Azerbaijan si terranno invece quattro gare degli Europei itineranti voluti da Platini. Il paese caucasico ha di fatto comprato la partecipazione attraverso un contratto multimilionario tra la SOCAR e la UEFA.

In questo contesto non stupisce che Lammens suoni un po’ retorico quando dice che «non si finisce mai di sorprendersi di come il denaro occupi un posto talmente importante nella società in cui viviamo da passare sopra a questioni che hanno a che vedere con la storia e l’identità». Ma forse è vero che dall’altra parte dell’Atlantico ci si sorprende ancora per ragioni come queste.

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