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Andrea Lamperti
Avete ancora la forza di credere nei Clippers?
30 nov 2023
30 nov 2023
Tutti i problemi dopo l’arrivo di James Harden a L.A.
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Andrea Lamperti
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IMAGO / ZUMA Wire
(foto) IMAGO / ZUMA Wire
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A caccia del loro primo titolo, e nel disperato tentativo di dare un’ultima chance a questo nucleo, gli L.A. Clippers hanno premuto di nuovo l’interruttore. Dopo un’estate di lunghe ed estenuanti trattative, il 31 ottobre sono andati all-in per portare in California la loro terza stella: James Harden, sulla carta quel tanto atteso - e mai trovato - playmaker di cui la squadra aveva bisogno da tempo. Vicino a Paul George e Kawhi Leonard, infortuni permettendo, “The Beard” è chiamato ad essere l’uomo giusto al posto giusto per fare di questa stagione dei Clippers finalmente la stagione giusta. Esattamente ciò a cui pensava Lawrence Frank, president of basketball operations, quando lo ha definito “ceiling raiser”, ovvero il teorico innesto ideale per alzare il potenziale del collettivo. Acquisito con un sogno in testa: salutare la Crypto.com Arena sotto una pioggia di coriandoli, inaugurare la nuova arena chiamata Intuit Dome con quell’agognato banner sul soffitto, e mettersi alle spalle una volta per tutte decenni di delusioni. Ad oggi, però, serve parecchia fantasia per immaginare quel giorno. E non solo per i trascorsi della franchigia, ma anche e soprattutto per ciò che ancora sembra separarla da tali orizzonti, nonostante l’aggiunta di un All-Star a un roster già competitivo. L’inizio non è stato dei più incoraggianti: la squadra di Tyronn Lue ha perso le prime cinque partite con l’ex Philadelphia in campo, mettendo in mostra tutte le difficoltà che deve e dovrà attraversare nei prossimi mesi. E al netto dei quattro successi nelle cinque gare seguenti, l’ultimo imbarazzante tracollo contro i Denver Nuggets in back-to-back e privi di Nikola Jokic, Jamal Murray e Aaron Gordon ha restituito l’immagine di una squadra ancora lontana dall’avere un equilibrio e una reale identità. I Clippers hanno davanti un processo che, in qualsiasi caso, richiederà tempo, come è inevitabile che sia per un roster che si è affacciato alla stagione 2023-24 in una certa maniera ed è stato rivoluzionato nel giro di qualche settimana. I prossimi mesi saranno fondamentali per collaudare le rotazioni e trovare delle risposte, in campo e anche sul mercato, alle tante incognite che aleggiano sulla squadra. Prima tra tutte - non una novità, ma fuori dalla sfera del controllabile - l’integrità fisica delle proprie stelle, requisito necessario per pensare in grande nei playoff. E anche per far sì che la squadra arrivi alla post-season con un’anima (oltre che con un buon piazzamento), e non solo come l’insieme di giocatori pronti ad accendere l’interruttore che è sembrata in tutti questi anni. Lo stesso Harden, dopo il deludente debutto contro i New York Knicks, ha invitato alla calma nei giudizi, chiedendo di concedere un minimo di dieci partite, a lui e alla squadra, come periodo di rodaggio. Abbiamo accolto la sua richiesta e aspettato pazientemente, ma ora il momento per un primo bilancio è giunto. Il punto di svolta Come detto, il click è arrivato la sera del 31 ottobre, quando lo scambio chiacchierato per tutta la off-season con i Sixers è andato finalmente in porto come auspicato dal diretto interessato, per il quale i Clippers erano l’unica destinazione gradita dopo l’ennesima brusca separazione, la terza in fila negli ultimi due anni dopo Houston e Brooklyn. Harden e il suo fedele scudiero PJ Tucker sono sbarcati a Los Angeles in cambio di Nicolas Batum, Robert Covington, KJ Martin, Marcus Morris, due scelte non protette al primo giro (2026 e 2028), una pick swap e due scelte al secondo giro. Un pacchetto sostanzioso per un giocatore in scadenza contrattuale, ma da cui Lawrence Frank è riuscito a tenere fuori sia Terance Mann sia Norman Powell, a testimonianza della deflazione in corso del valore di mercato di Harden. Non è necessariamente una sorpresa, tra le sensazioni sulle sue condizioni fisiche e l’inevitabile scetticismo verso chi nel mondo NBA assomiglia sempre più a Mr. Wolf ma al contrario: Sono James Harden, creo problemi. Rockets, Nets e Sixers ne sanno qualcosa. A Philadelphia la trade ha messo fine alla breve era del duo Harden-Embiid, ma anche al botta-e-risposta tra la point guard e l’ex amico-padre putativo-mentore Daryl Morey. Non sapremo mai con certezza come sono andate le conversazioni private tra i due, ma i contorni della vicenda sono abbastanza chiari. Stando al giocatore, il front office si sarebbe comportato scorrettamente nei suoi confronti, promettendo cose - a partire da una ricca estensione pluriennale - nella free agency 2022, quando Harden concedeva alla franchigia uno sconto per aiutarla a rafforzarsi sul mercato, salvo poi non incassare l’assegno atteso (promesso?) nel 2023. Una volta esercitata la player option per la stagione in corso, dunque, il 34enne ha intrapreso ogni strada possibile per forzare un celere addio: prima le accuse a Morey, poi l’assenza per media day, per il training camp e per tutte le partite di preseason, tornando a ricoprire la parte - ormai tristemente familiare - del separato in casa. Per i Clippers, lo scambio ha rappresentato un vero e proprio spartiacque. Harden è un facilitatore di livello élite - l’anno scorsa guidava la lega per assist a partita - e il possibile connettore tra George e Leonard che coach Lue chiedeva da anni (non a caso, pare sia stato fatto un tentativo anche per Jrue Holiday e Malcolm Brogdon). Il suo arrivo ha stravolto il roster e smantellato tutto ciò che era stato costruito dallo staff tecnico entrando in questa stagione, ovvero il sistema con Russell Westbrook in cabina di regia che aveva fatto vedere buone cose nelle primissime uscite. E così, da un giorno all’altro, si è passati dall’idea di alzare il ritmo, assecondare le qualità di Westbrook e cavalcare i suoi slanci verso il ferro, all’acquisizione di un’altra point guard storicamente abituata a monopolizzare l’attacco e i momenti della partita. Sempre meno negli ultimi anni, è vero, ma è pur sempre uno che si è presentato ai media con la sua versione di “I’m not a businessman - I’m a business, man”.

Una scommessa rischiosa, che somiglia a un ultimo tentativo di iniettare fiducia e talento in questo nucleo. Un all-in quasi obbligato: con l’entrata in vigore del nuovo CBA, infatti, la situazione salariale dei Clippers negherà loro la possibilità di muoversi così aggressivamente sul mercato; e i contratti di George e Leonard, nonché quello di Westbrook, andranno in scadenza la prossima estate, salvo precedente estensione. Prima di qualsiasi considerazione tecnica, è evidente che sia un azzardo puntare su un quartetto composto da un 32enne, un 33enne, un 34enne e un 35enne, con George e Leonard che compongono il big two più soggetto a infortuni della lega (non giocano insieme nei playoff dal 2021) e ora hanno vicino veterani con il chilometraggio di Westbrook, Harden e Tucker (che tra l’altro condividono un trascorso non entusiasmante a Houston). Come detto, però, l’integrità fisica è un’incognita che inevitabilmente sfugge al controllo di Tyronn Lue. Nel bene o nel male, è un’ombra che accompagnerà la squadra per tutta la stagione. Il work in progress per dare un senso sul campo a tutto ciò, invece, apre una serie di domande interessanti per lo staff tecnico e per il front office dei Clippers. I nuovi Clippers Dalla bolla di Orlando in avanti, una logorante serie di infortuni ci ha negato la possibilità di esplorare il potenziale della coppia George-Leonard, perlomeno con entrambi nel rispettivo prime atletico. La loro combinazione di talento offensivo e difensivo, versatilità, scalabilità e capacità di giocare sia con la palla che lontano da essa li rende tuttora il duo più equipaggiato dell’NBA. A cui, però, negli anni è chiaramente mancato qualcosa intorno: un giocatore che li mettesse in moto offensivamente e li sgravasse da eccessive responsabilità di playmaking. Una carenza che nel sistema-Lue si è spesso tradotta nella ricerca esasperata di mismatch che coinvolgessero le due stelle, vista come unica opzione offensiva o quasi. È proprio in questa prospettiva che sono nate le premesse per l’arrivo di Harden, che nella versione attuale - molto meno esplosiva e aggressiva rispetto ai momenti migliori, ma anche al recente passato - si presenta come un “distributore”, capace di creare prevalentemente per i compagni, innescando gli esterni in situazioni dinamiche o coinvolgendo i bloccanti nel pick and roll. Solo il tempo ci dirà quanto ampio sia il margine di crescita nella condizione fisica del Barba, ma ad oggi la sua dimensione di realizzatore (14.1 punti a partita) appare decisamente limitata. Secondo Second Spectrum, in maglia Clippers sta facendo registrare un solo tentativo al ferro a partita (2.4 l’anno scorso), con 6.3 tiri da dentro l’arco (9.8 l’anno scorso) e 7.1 tiri liberi per 100 possessi (dato più basso in carriera). Aggiungendo all’equazione la totale sterilità del gioco lontano dalla palla di Harden e la sua - incomprensibile, ma non nuova - riluttanza a prendersi tiri in catch-and-shoot, va da sé che per farlo funzionare in questo sistema siano necessarie due condizioni: la palla nelle sue mani e buone spaziature intorno. Non sorprende, quindi, che per coach Lue il primissimo grattacapo da gestire nell’integrazione della point guard riguardasse la sua coesistenza con Russell Westbrook; e dopo un periodo di sperimentazione (forse evitabile), ora c’è evidenza empirica che si tratti, nel 2023 almeno, di una convivenza impossibile. Per le prime cinque partite, e altrettante sconfitte, Westbrook e Harden hanno formato il backcourt del quintetto titolare, al fianco di George, Leonard e Zubac. Inizialmente con Westbrook da principale trattatore di palla, poi Harden, ma sempre con risultati inquietanti per una squadra che dispone di così tanto talento: la miseria di 85.2 punti segnati su 100 possessi con questa lineup in campo, per Cleaning the Glass. Le pessime spaziature generate dalla presenza di Russ nel dunker spot (o in angolo, l’atteggiamento delle difese avversarie è indifferente), insieme a un altro “ingombro” come Zubac, ha causato una marea di palle perse e mandato completamente fuori giri l’attacco dei Clippers. Dopo cinque sconfitte, coach Lue – pare anche per richiesta dello stesso giocatore pronto a un “sacrificio” – ha preso atto che fosse inevitabile spostare Westbrook nella second unit e limitare i suoi minuti insieme ad Harden, promuovendo così Terance Mann in quintetto, rientrato nel frattempo da un infortunio alla caviglia e sicuramente dotato di uno skillset più funzionale al contesto. Come se fossero necessarie cinque sconfitte (e il -19.5 di Net Rating del quintetto) per legittimare questa scelta. «Credo sia frustrante per lui, sapete cosa intendo: vuole essere un titolare», ha detto lo stesso Harden del compagno. In modo fin troppo crudele per Westbrook, il suo spostamento tra le riserve è coinciso con l’inversione di rotta nei risultati: 0-5 con lui da titolare, poi quattro vittorie nelle cinque successive. Al di là delle due strisce opposte di risultati, e ricordando che comunque i Clippers hanno appena perso in modo desolante contro dei Nuggets guidati dagli ex avvelenati Reggie Jackson e Deandre Jordan, dopo l’aggiustamento delle rotazioni la squadra sembra aver trovato una direzione da seguire. O almeno, una base da cui partire. I nuovi Clippers (stavolta davvero) Perse due settimane per risolvere il problema più macroscopico, il lavoro per Ty Lue è appena iniziato. E prima di ogni altra cosa, richiede spirito di sacrificio da tutti gli attori protagonisti, chiamati chi in un modo e chi nell’altro a mettersi al servizio della causa, accettando le scelte dello staff e magari limitando alcuni aspetti del proprio gioco. A partire proprio da Harden e Westbrook, che finora hanno dimostrato una buona attitudine e ricettività in entrambe le metà campo; così come per George e Leonard, che stanno cambiando - con risultati altalenanti - le proprie abitudini offensive, e a cui in difesa è chiesto di colmare più di un vuoto nel roster (nel ruolo di ala grande, per effetto della trade-Harden, aspettando che il front office individui l’alternativa sul mercato). Il ridimensionamento del ruolo di Westbrook è descritto dai 34 minuti giocati e 72 tocchi per partita che ha mantenuto fino al debutto di Harden, poi scesi rispettivamente a 27’ e 52 da co-starter, e infine a 24’ e 46 uscendo dalla panchina. Se prima condivideva il campo per più di 20 minuti a sera con George e Leonard, ora non lo vediamo quasi mai con entrambi; e allo stesso modo i minuti di coesistenza con Harden si sono dimezzati rispetto alle prime uscite. Con il nuovo quintetto base, i Clippers hanno trovato una lontana parvenza di equilibrio e Harden ha iniziato a mostrare con maggiore frequenza le qualità per cui è arrivato in California. Nella prima vittoria a Los Angeles, ha fatto registrare il massimo finora in stagione: 24 punti, con 8/11 dal campo (inclusa la tripla decisiva) e 7 assist; nelle tre uscite successive ha perso confidenza con la retina, ma ha elargito 29 assist complessivi.

In uscita dalla panchina oltre a Westbrook, che sta prendendo confidenza nel suo nuovo ruolo di “motore” della second unit ed è stato protagonista di qualche ottima serata, ci sono, in ordine di minutaggio: Norman Powell, Daniel Theis (firmato dopo l’infortunio di Mason Plumlee, out per due mesi), PJ Tucker (che sembra reggere meno minuti ogni giorno che passa, e sempre peggio), Bones Hyland (ai margini dopo l’assestamento del backcourt) e Amir Coffey (anche lui spendibile sul mercato come Hyland). Come anticipato, balza subito all’occhio la carenza di power forward e nello specifico di versatilità difensiva, atletismo e protezione del ferro: una lacuna non sostenibile nei playoff, cui la dirigenza darà presumibilmente la priorità sul mercato nei prossimi mesi. La coperta, ovvero i contratti scambiabili, non è granché lunga, anzi, così come la lista degli asset a disposizione (pick swap e un paio di seconde scelte di qui al 2030). Ad oggi, però, è un discorso precoce: il mercato come sempre entrerà nel vivo a gennaio, quando molti giocatori appena rifirmati diventeranno eleggibili e la maggior parte delle franchigie avrà definito il proprio approccio alla trade deadline. Tornando al campo, sono diverse le aree di miglioramento da cui aspettarsi qualcosa nelle prossime settimane, dopo qualche segnale positivo nella seconda metà di novembre. La difesa, costruita sugli switch 1-4 degli esterni (contesto che mette in risalto la diffusa taglia nelle guardie), si è dimostrata abbastanza solida e affidabile, quantomeno in Regular Season. L’attacco, invece, è ancora stagnante e poco produttivo. Nelle ultime undici partite i Clippers sono tra le peggiori cinque squadre della lega per punti segnati su 100 possessi, triple segnate su 100 possessi e percentuale nel tiro da fuori. Come prevedibile, Harden ha accentuato la preferenza per un ritmo basso di gioco, ma attualmente l’attacco di Tyronn Lue sembra mancare di energia, prima ancora che di ritmo. Lo stesso head coach ha detto dopo la brutta sconfitta contro i Grizzlies: «Siamo lenti, troppo lenti… voglio dire, non possiamo camminare per il campo in attacco». Effettivamente, i Clippers corrono molto poco. Troppo poco. E fino a che punto possiamo assumere che migliori condizioni fisiche e conoscenza reciproca li aiuteranno in tal senso? Ad oggi, esplorano davvero poco la transizione (17.4% di frequenza, penultimi nella lega, per Cleaning the Glass) e raccolgono appena 113.4 punti per 100 possessi in questa situazione (anche qui 29esimi in NBA); a metà campo, sono per distacco la squadra che si passa meno la palla e crea meno potential assist a partita. Così, in prospettiva, vincere delle serie di playoff si potrebbe rivelare complicato, e sicuramente molto faticoso. Un altro aspetto da monitorare è il rendimento nelle partite che si decidono nel clutch time, decisamente negativo (2-7, su un record complessivo 7-9); il discorso fin qui riguarda in particolare Harden e Leonard, che stanno tirando molto male dal campo nei quarti periodi, complice probabilmente una certa stanchezza. In generale, la sensazione che si ha guardando questi Clippers è che loro stessi - dal campo alla dirigenza, passando per lo staff tecnico - debbano ancora assorbire la trasformazione iniziata con la trade-Harden e destinata ad evolversi nei prossimi mesi. Non hanno iniziato bene la stagione, ma non siamo neanche a un quinto dell’anno e la classifica è ancora compatta a ovest.

I Clippers stanno cercando loro stessi dopo un cambiamento drastico, tanto per il personale che è entrato e uscito dallo spogliatoio, quanto per la revisione in corso d’opera alla filosofia della squadra. E i primi riscontri del campo hanno lasciato chiaramente intendere che sarà necessaria più pazienza di quanta James Harden abbia osato chiederne. Probabilmente, a dirla tutta, è necessaria anche una certa dose di ostinazione per crederci. Ancora, dopo tutte quelle volte che le speranze della Clipper Nation si sono infrante contro un injury report. Dopo tutte quelle volte che con Harden e Westbrook, per un motivo o per l’altro, non ha funzionato. Dopo tutte quelle volte che i Clippers, alla fine, sono stati i Clippers. Avete la forza di crederci ancora?

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