
L’inferno
Mario, 6 anni, è in punizione. La pena consiste nel rimanere chiusi fuori sul terrazzo del brefotrofio, in mutande, in inverno. Mario viene raggiunto da Francesco, 8 anni. Anche lui in castigo. I due decidono di abbracciarsi per creare un po’ di calore, magari si sorridono anche a vicenda, come per dire: li stiamo fregando. Il turno di Mario finisce, mentre Francesco ha ancora un bel po’ da scontare. Non si rivedranno mai e di quest’ultimo non se ne saprà più nulla fino all’anno successivo, quando un giardiniere, mettendo in ordine un vecchio orto, trova il corpo senza vita di un ragazzino, ormai irriconoscibile. Questo è uno dei primi ricordi della vita di Mario Appignani, che passa la sua infanzia tra i terrificanti centri che accolgono neonati abbandonati, incappando anche nell’Istituto Santa Rita di Grottaferrata, balzato in seguito alle cronache a causa del regime di Suor Maria Diletta Pagliuca. Nella suo convitto i bambini venivano legati ai termosifoni e alle spalliere dei letti, picchiati, malnutriti e molti decessi rimanevano nel silenzio. Mario ne scriverà a 19 anni nella sua autobiografia "Un ragazzo all’inferno", con l’aiuto del giornalista Lamberto Antonelli. La prefazione è di Marco Pannella e per la diffusione e vendita con contributo pecuniario di tale libro testimonianza di Mario saranno gli stessi militanti ad adoperarsi nei tanti presidi con tavoli per strada del Partito Radicale. Grazie alle denunce contenute nel libro la direttrice aguzzina verrà arrestata e l'Istituto di Grottaferrata chiuso.

Foto via Spazio70.
Ma prima di arrivare alla maggiore età dovrà attraversare altri momenti durissimi. A 12 anni, dopo una breve e insopportabile vita decide che è meglio scomparire, in controtendenza con quello che invece sarà lo scopo della sua esistenza in futuro, ovvero esserci. Tenta il suicidio e viene portato in una clinica neurologica. In quel momento è solo al mondo e decide di prostituirsi insieme al suo ex compagno di collegio Cesare. Comincia a frequentare il carcere, dove viene spesso pestato a sangue e messo in isolamento nella cosiddetta “cella liscia”. È finito inevitabilmente nel giro della Roma povera e selvaggia che frequenta e racconta Pasolini. Poi un giorno attraverso una serie di coincidenze riesce a rintracciare sua madre. Quello è il momento più importante e drammatico della prima fase della sua vita e lo segnerà nel profondo.
La incontra per la prima volta al Policlinico, al capezzale della sorellastra quattordicenne, anch’essa sopravvissuta a un suicidio. La mamma è una prostituta e lo ha volontariamente abbandonato allo Stato Italiano. Tra i due non nascerà nessun rapporto. Quell’incontro chiude una parte della vita di Mario che ha 18 anni ed è ufficialmente sopravvissuto all’inferno. Adesso è un uomo e ha intenzione di conquistarsi il suo spazio nel mondo ad ogni costo. Veramente ad ogni costo.
Gli indiani
Piazza Navona brulica di gente. Oltre al consueto sciamare di turisti c’è un convegno dei Radicali e molte persone sono assiepate attorno al padiglione. Tutto sembra filare liscio quando ad un tratto un uomo completamente nudo appare sul palco. La folla si accende, mentre le facce dei protagonisti sono visibilmente infastidite e imbarazzate. Ma chi è? Un pazzo, dicono. Non si sa da dove esce, ma bazzica i Radicali, anche se loro non lo sopportano più. Nel ‘79, al congresso di Genova, ha preso la parola per 40 minuti e li ha accusati pubblicamente di aver sottratto 250 milioni con dei falsi rimborsi elettorali. Il tutto sotto lo sguardo attonito di Pannella, della Bonino e di Rutelli, davanti a 500 delegati. Nessuno si aspettava una cosa del genere, è una mina vagante.

Dietro Pasolini, con Veltroni.
Mario Appignani comincia a farsi riconoscere, diventa un volto familiare, si imbuca a tutti gli eventi e alle manifestazioni. Alza la voce, è nervoso, iperattivo, sconsiderato, arriva a minacciare di buttarsi da Ponte Garibaldi o dal Colosseo, vuole che tutti, almeno una volta, fermino la loro vita per dare spazio alla sua. Nel 1977 si unisce agli “Indiani Metropolitani”, l’ala più creativa e irriverente dei nuovi movimenti giovanili di quel tempo. Il suo nome di battaglia non può essere che uno: Cavallo Pazzo. Ha un compagno fisso dal ´74 all´80, sia da indiano che da militante radicale: è il giovane Marco Erler, noto con il nome di battaglia di Nuvola Rossa.
Quelli che sembrano sfoghi di un giovane irrequieto diventano una costante, un lavoro, una sorta di missione, in bilico tra la performance anarco-situazionista e la malattia di uno che per esistere deve sbracciarsi e irrompere su ogni palcoscenico.

Con Pasolini.
Le testimonianze che raccontano questa ossessione sono numerose. Nel 1979 alla Mostra del Cinema di Venezia: si ritrovano in tre e hanno organizzato nei dettagli una protesta contro un film americano fuori concorso, tanto da rischiare l'arresto in flagranza.
Erler dipinge il volto a Serena con la quale si è fidanzato e la faccia del compagno Mario che conosce in ogni ruga per averlo fatto già altre volte: sono allora pronti così vestiti di tutto punto da indiani per interrompere la proiezione. Ecco che urlando forte e ritmando slogan del sessantotto francese a turno dicono: «Questo film è una porcata» inizia Mario a la ragazza dice «It´s a pig movie!»; «Al termine del film che nessuno applauda per favore!» continua Marco; «Per voi americani che fate schifo e volete tenere tutto in mano vostra, il Cinema sarà un altro Vietnam» conclude Mario. Il quale, il giorno dopo rimasto solo, decide di arrampicarsi su un pennone e staccare la bandiera a stelle e strisce per fingersi di pulirsi con essa: non basta il decano dei giornalisti Bersani a cercare di difenderlo, le guardie lo portano via, l'arresto è confermato e verrà trattenuto alle Nuove per tre settimane.
Al Festival di Spoleto del 1980 rovina la prima dell’opera teatrale Il Lebbroso, diretta dal compositore Giancarlo Menotti. Entra sul palco travestito goffamente al posto del protagonista, tra lo stupore del pubblico e il panico degli attori. Poi, scappando, rovina sulla scenografia distruggendo il fondale.
Allo stesso Festival, durante la notte, si intrufola nella stanza di Menotti e si fa trovare nel letto del celebre direttore con il suo pigiama indosso. Un giorno si mette in testa di pedinare Alberto Moravia per le strade del centro di Roma fino a Campo de’ Fiori dove lo raggiunge e gli dà uno schiaffo. Un’altra volta lo schiaffo lo prende da Amanda Lear dopo qualche parola di troppo. Questi aneddoti sono stati resi pubblici la prima volta nel 2001, cinque anni dopo la morte di Appignani, con l'uscita del libro La gara è truccata, Cavallo Pazzo il guastatore scritto da Erler per Libreria Croce. Erler, all´epoca Nuvola Rossa, è tuttora il depositario della memoria di Appignani. Oltre che, essendo il suo ex compagno di vita (come da tante dediche e poi quella che ha pubblicato nel suo primo, "Segnali di fumo"), è l'erede della documentazione, conserva in modo certosino sia i diari che molti dipinti di Cavallo Pazzo.
Non dimentica di essere stato testimone diretto di confessioni all'epoca segrete come quella sul feroce assassinio di Pasolini che Appignani, con il suo talento investigativo e il suo scavo con i reclusi di Rebibbia (da dove entrava e usciva incrociando anche Pelosi "Pino la Rana"), riuscì in pratica a ricostruire.
All'amico scomparso precocemente Erler nel '97 volle dedicare, insieme ad altri intellettuali un'associazione culturale, dal nome "Mario Appignani - Circolo Cavallo Pazzo" (nota AdnKronos ´97, tuttora esistente in Veneto) basata su uno statuto ambizioso per il sostegno degli orfani (come fu Mario): di questa associazione fu nominato presidente onorario Michael Jackson. Al libro del 2001, segue una stesura diversa con ulteriori episodi nel 2008 (edizioni Memori-Roma), fino a quella definitiva (aprile e poi, migliorata, luglio 2018 - Armando Curcio Editore) con il titolo Assalto alla diligenza. Cavallo Pazzo, al XX secolo Mario Appignani" e il ridondante sottotitolo "Parecchi avevano proclamato di sentirsi degli Indiani Mentivano!". Secondo l'autore negli settanta e ottanta sotto mentite spoglie d'improvvisati ce ne furono, ma l'unico che seppe dimostrare con i fatti e e fu fedele al suo personaggio di guerriero fu Mario Appignani.
È amico di Craxi. Nel 1977 a Milano convoca un gruppo di giornalisti e si inietta una dose di eroina in vena affermando: «Vi ho offerto un assaggio del mio suicidio». Ha fatto la comparsa per Bertolucci, Damiani e Brass. A Piazza San Pietro attraversa come un’ombra un piccolo esercito di guardie svizzere, arrivando a pochi metri dal Papa per urlare frasi incomprensibili. Dichiara di essere il figlio segreto di Renato Guttuso. Telefona a Oriana Fallaci rivelandogli di conoscere la verità sulla morte di Pasolini. Durante una sfilata di moda al Castello Sforzesco ruba il microfono a Enza Sampò e grida: «Fatemi dire una cosa! Fatemi dire una cosa! E fatemela dì!». Cavallo Pazzo sapeva cosa dire a seconda della situazione, ma forse per la concitazione dava l'impressione di non arrivare a dire nulla di preciso.
L’immortalità
La quarantottesima edizione del Festival di Venezia è trasmessa in eurovisione da Piazza San Marco. La platea è folta e di livello internazionale. Presenta Pippo Baudo con giacca bianca, cravatta grigio-argento e pantaloni scuri. C’è Terry Gilliam con La leggenda del re pescatore, Zhang Yimou con Lanterne Rosse, Gus Van Sant con Belli e Dannati, Werner Herzog con Grido di Pietra, Peter Greenaway con L’ultima Tempesta, ma anche Godard, Monicelli, Volonté, Garrel, Mikhalkov, Manoel de Oliveira. In giuria, tra gli altri, Gian Luigi Rondi e Jim Belushi (name a more iconic duo).
Tilda Swinton è bellissima con i capelli rossi lunghi e River Phoenix ha 21 anni e i capelli sciolti su un vestito elegante mai messo prima; vinceranno la Coppa Volpi come migliori attori. In prima fila i pezzi da novanta: Gianni De Michelis, Ministro degli esteri, Hans Dietrich Genscher, Ministro degli esteri tedesco, l’ambasciatore indiano, quello giapponese, quello indonesiano e quello sudafricano. La città è blindata, la piazza è stretta nelle massime misure di sicurezza. Baudo comincia: «Buonasera signore e signori, benvenuti alla serata conclusiva…». Cavallo Pazzo è già sul palco e gli tira la giacca tentando di avvicinarsi al microfono. Si sente la voce agitata che dice: «Sono Cavallo Pazzo, Pippo ti prego, ho bisogno di parlarti…». Baudo cerca di divincolarsi e di allontanare il microfono, allo stesso tempo deve dire al pubblico che c’è un piccolo incidente, in quel momento Cavallo Pazzo gli prende la mano e si sporge per urlare a tutta la piazza e a tutta Italia e a tutta Europa: «…ti voglio parlare Pippo, ti voglio parlare! Non mi mandare dalla Polizia! Pippo ti prego! Ti prego Pippo! Ti prego Pippo! Ti prego! Ti prego! Ti prego Pippo! Non mi abbandonare qua!». La voce è disperata e stridula. La telecamera stacca dai due uomini avvinghiati passando a una ripresa più lontana, forse provando a evitare lo spettacolo ravvicinato, ma in questo modo inquadra il gruppo di tecnici e di addetti alla sicurezza che si abbattono sull’intruso e tentano di sbatterlo fuori dalla scena. Qualcuno prova a lanciare un timido applauso, ma l’intera piazza è pressoché paralizzata.
Cavallo Pazzo Festival di Venezia 1991.
Un anno dopo Baudo è in camerino a Sanremo, sta ripassando la scaletta. Si accorge che sotto la porta è passato un bigliettino. C’è scritto: «Caro Pippo sono a Sanremo, ci vediamo stasera sul palcoscenico». Firmato “Cavallo Pazzo”.
Baudo chiama subito la polizia che lo tranquillizza dicendo che è tutto sotto controllo. Vengono distribuiti degli identikit di Mario Appignani e le forze dell’ordine si attivano per pattugliare la cittadina ligure. Quella sera Baudo scende le scale del Teatro Ariston con un completo grigio e cravatta marrone. Comincia: «Buonasera, buonasera a tutti e benvenuti amici telespettatori e amici del Teatro Ariston, benvenuti alla prima ser…». Cavallo Pazzo è sul palco, ma questa volta è più scaltro e punta subito la telecamera centrale. È Baudo, questa volta, che gli si avvicina per fermarlo. Mario comincia a urlare: «Sono Cavallo Pazzo, questo festival è truccato e lo vince… lo vince…».
Un gruppo di persone già lo sta tirando per la giacca, mentre un uomo sbuca da sinistra correndo con l’intenzione di tappargli la bocca, prima che pronunci il nome di questo fantomatico vincitore. La manona si stampa sulla faccia di Mario, ma non lo zittisce. «Lo vince Fausto Leali! Lo vince Fausto Leali!». Mario si attacca al braccio di Baudo mentre una massa di gente lo copre totalmente portandolo via. Poi come in un cartone animato o forse come in un horror fantascientifico, si vede Pippo Baudo con il braccio ancora intrappolato nell’intrico di corpi che lo sta inavvertitamente trascinando fuori dal palco. All’ultimo momento si libera e si dà una scrollata dicendo: «E dai… e ci siamo un’altra volta dai… abbiamo ripetuto Venezia, buonasera a tutti». Applauso.
Cavallo Pazzo verrà intervistato in seguito da diverse testate dando due versioni consecutive dell’accaduto: la prima è che voleva stupire ancora Baudo e la seconda è che era stato scritturato dalla Rai che però ancora non lo aveva pagato e che questi soldi adesso li aspettava.
Fausto Leali arriverà nono.
Il cuore
Il secondo inferno di Appignani comincia all’inizio degli anni Novanta quando si ammala di AIDS. Il virus cerca di portarselo via pezzo dopo pezzo ma Mario è troppo impegnato con i suoi affari per dargli retta. In piedi sulla copertura dello Stadio Olimpico, in bilico a 30 metri dal rettangolo verde, guarda con gli occhi spalancati i 70.000 posti che si vanno riempiendo. Come un supereroe dimesso e solitario guarda il suo palcoscenico più amato dall’alto, mentre le forze dell’ordine lo intimano a scendere.
Tra la breve gestione di Giuseppe Ciarrapico e l’inizio di quella di Franco Sensi, diventa un protagonista aggiunto alle partite della Roma. Qualcuno insinua che viene spesso strumentalizzato e telecomandato nelle sue folli scorribande per far pagare pesanti multe alla società, per via dei rapporti controversi tra ultras e club, ma lui si difende dicendo: «Appignani la Roma la fa guadagnare, non perdere: trenta milioni di multa non sono niente davanti a un business». Il business è lui. In ogni caso Mario ha una fede viscerale per i colori giallorossi e vuole essere protagonista anche lì. «Ci vorrebbe più senso dell’umorismo nel calcio», dice una volta.
La Digos cerca di fermarlo in ogni modo ma è imprendibile, si traveste, ha parrucche e baffi finti, si confonde tra i tifosi e tra gli uomini dell’ordine pubblico, è invisibile e fa uscire di testa la sicurezza. I tifosi lo amano. Ogni tanto la partita si interrompe bruscamente e Cavallo Pazzo attraversa il campo di corsa, il più delle volte ridendo, sventolando una sciarpa o una bandiera, con la polizia che cerca di placcarlo in ogni modo e con lo stadio che si accende neanche fossero al Colosseo.
Durante Brescia-Roma del 1994-95, in un contesto di guerriglia, con scontri sanguinosi tra polizia e tifoseria organizzata, Cavallo Pazzo non esita a prendersi il suo momento. Parte completamente vestito di nero, con gli occhiali da sole e una sciarpa giallorossa. Scarta il primo steward inarcando la schiena e arriva tra Balbo, Fonseca e Giannini fino al centro del campo. Marco Nappi prende l’iniziativa senza tentennamenti e lo butta per terra con decisione, riservandogli poi un trattamento poco gentile. Gli altri gli sono addosso subito dopo.
Invasione di campo Brescia-Roma 1994/95.
«Seppellite il mio cuore in Curva Sud» è una frase cara a Mario. Avrebbe voluto usarla come titolo del suo secondo libro ma non farà in tempo. Il titolo cita il celebre saggio storico di Dee Brown Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, dove viene raccontato nel dettaglio lo sterminio dei nativi americani da parte dei coloni. È un libro importante che ha rappresentato a fondo la controcultura della sua generazione. Mario è un indiano sopravvissuto e forse solo nell’aggregazione della Curva ha trovato la sua dimensione e qualche momento di tranquillità. Alcuni capi ultrà hanno aiutato, non solo logisticamente, le "galoppate" di Mario. Fra questi bisogna citare Mortadella, ovvero Fabrizio Carroccia, uno dei fondatori del CUCS. Il 13 Aprile del 1996, muore all'età di 41 anni e cinque mesi. Al funerale i pochi parenti si accapigliano in una rissa che finisce sui giornali. Lui avrebbe voluto un funerale tutto giallorosso, magari con il lupetto appeso ai crocifissi. Così non è stato. Va ricordato l'impegno di Erler perché il compagno avesse una più che dignitosa sepoltura e non finisse in una fosse comune di Prima Porta.
Come forma di protesta, Nuvola Rossa tentò un'invasione all´inizio del secondo tempo di Roma -Juventus (riportato nel Corriere dello Sport) del 28 Aprile del 1996 ma fu placcato e trattenuto dalla Polizia. Giorni dopo scatenò una protesta nel cimitero Flaminio e accorsero i giornalisti di Canale 5. Dopo queste azioni e ben 18 giorni di attesa della salma nella cappella del cimitero, si fece avanti una conosciuta azienda di pompe funebri che gli acquistò un loculo nella parte nobile del cimitero, il Planetario. Tale loculo, però, per i regolamenti esistenti verrà perso da Cavallo Pazzo nel 2026 (allo scadere dei trent'anni) se non si farà avanti nessuno a pagarne il riscatto.
Nell’armadietto dello Spallanzani, l’ospedale delle malattie infettive di Roma dove è morto, oltre ai pochi effetti personali, teneva pronto uno smoking, perché non si sa mai quando si va in scena.

Una foto dello striscione realizzato da Marco Erler in occasione dello Scudetto della Roma del 2001, posizionato in quel modo a Campo de' Fiori con l'aiuto di Fabrizio Carroccia. È tratta dal libro-scudetto di Marco Erler "La gara e´truccata, Cavallo Pazzo il guastatore".
Edit 23 aprile 2020: Una versione precedente di quest'articolo non riportava la menzione ai fondamentali libri scritti da Marco Erler su Mario Appignani, dove la maggior parte dei fatti qui raccontati sono stati divulgati per la prima volta. Segnali di Fumo" del 1997 ( Campanotto editore. Contiene l´elogio postumo concesso per iscritto da Craxi ad Hammamet saputo da Erler della scomparsa di Appignani), "La gara e´truccata", Cavallo Pazzo il guastatore"(2001- Croce editore), "Assalto alla diligenza, quando Appignani rinacque Cavallo Pazzo" (2008), " Assalto alla diligenza. Cavallo Pazzo al XX secolo Mario Appignani" (2018- Curcio Editore, edizione definitiva a detta dell'autore). I libri di Erler hanno in dotazione molte foto di cui a suo tempo lui si curo´ di chiedere il permesso di usarle, sempre con l´accortezza di citare tutte le agenzie fotografiche che le avevano realizzate, l´ANSA Archivio fotografico per prima. In questo articolo riportando alcune di queste foto che son le stesse inserite da Marco, ci associamo a questi ringraziamenti.