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Tamberi e Jacobs quattro anni dopo
15 set 2025
Da Tokyo 2021 a Tokyo 2025.
(articolo)
6 min
(copertina)
Foto IMAGO / Xinhua
(copertina) Foto IMAGO / Xinhua
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Nel 2024 Gianmarco Tamberi vinceva gli europei con un salto gratuito a 2 metri e 37. Avrebbe già vinto a 2 e 34, ma ha voluto esagerare. Oggi invece si ritrova incastrato nella situazione di dover affrontare un salto da dentro o fuori in una gara internazionale. Eppure non è una grande novità. Non è una grande novità neanche che Marcell Jacobs, l’uomo più veloce d’Europa per gli ultimi quattro anni, abbia qualche problema nel qualificarsi a una finale mondiale.

Quando si trova nella situazione di affrontare un salto decisivo Tamberi è generalmente tranquillo, se non a proprio agio: gli è successo tante volte, e tante volte se l’è cavata. Che però si trovi a giocarsi la sua permanenza al mondiale di Tokyo 2025 al secondo salto del turno di qualificazione, su una misura innocua di 2 metri e 21, è una di quelle tipiche cose che ci fanno chiedere: «E questo, qui come ci è finito?». Eppure, eccoci qui: prima di cominciare, l’idea che Tamberi possa lasciare così presto un mondiale è niente più che un pensiero intrusivo nel retrocranio - possibile, ma francamente improbabile per il campione del mondo e d’Europa in carica. Gimbo è piantato a 2 e 21 al terzo salto di una tutto sommato abbordabile serie di qualificazione alla finale del mondiale. Tamberi sale, e quando sale è un palloncino spinto verso il cielo da una folata di vento. Per tre volte, quella sua leggerezza in fase di spinta non gli basta a oltrepassare il segno. Le caviglie si incastrano nell’asticella, che ricade insieme a lui sul materasso color lavanda. Come suo solito quando fallisce un salto, Gimbo si prende tutto il tempo necessario per restare disteso sul materasso con la testa tra le mani. Poi, come se quel corpo in grado di volare sopra la figura di Shaquille O'Neal - ha inaugurato il turno di qualificazione saltando 2 metri e 16 al primo tentativo - avesse acquisito di colpo il peso di un elefante, si trascina verso i pannelli pubblicitari a bordo pista; e lì sta, immobile.

Per spiegare quello che succede a Marcell Jacobs, invece, tocca scomodare la nozione di sfiga: con una ricorsività inquietante legge “mondiali di atletica” sul calendario e qualcosa nel suo corpo si rompe. È successo nel 2022 a Eugene: da campione olimpico supera le batterie e poi si ritira per un dolore all’adduttore. Ancora, nel 2023 a Budapest: dopo essersi arenato in semifinale, emerge la notizia di un problema al nervo sciatico che lo tartassa da tutta la stagione. Nel 2025 arriva ai mondiali con a malapena una gara nelle gambe: il motivo è un dolore alla schiena che lo blocca dalla fine dell’inverno. A Tokyo si spinge fino in semifinale dopo un terzo posto poco promettente in batteria. L’impressione è quella che sia stremato. Dopo un modesto 10”20 è visibilmente sudato, ha la bocca spalancata, e respira affannosamente. Unica nota positiva: la partenza, che ritrova anche in semifinale. Esce bene dai blocchi, a metà rettilineo sembra ancora il solito Jacobs: è con gli altri, e distende le falcate sul tartan. A venti metri dal traguardo è staccato di diversi metri dal vincitore Noah Lyles: arriva sesto per inerzia, con un 10”16 lontano due decimi dalla qualificazione - un’immensità. Sono tempi da Jacobs versione 2016, quando ancora faceva salto in lungo. Per arrivare in finale non c’era certo bisogno della sua miglior versione, ma questa è probabilmente la peggiore di cui abbiamo memoria.

È romanzesco che il punto più basso delle carriere di Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi si sia consumato nello stesso luogo in cui quattro anni prima i due hanno raggiunto il rispettivo picco sportivo. Tamberi fu la prima persona ad abbracciare Jacobs dopo la sua impresa storica.

Nel 2021 il doppio oro olimpico era arrivato nell’arco di dieci minuti (che sarebbero stati ancora meno se non fosse stato per la squalifica di Zharnel Hughes) e anche la caduta è stata praticamente simultanea: mentre Tamberi è in zona mista a parlare di un «risultato pietoso», Jacobs è appena annegato in semifinale.

Proprio ai microfoni Rai i due tratteggiano due traiettorie molto diverse per il proprio futuro. Gimbo mitiga la delusione rilanciando subito per l’anno prossimo: fosse per lui tornerebbe immediatamente a gareggiare - addirittura si rammarica per l’impossibilità di avere un quarto salto. Jacobs, invece, è apparso forse per la prima volta sconfortato oltre i limiti della rassegnazione: «La testa mi sta dicendo adesso che non può continuare a reggere tutte queste delusioni».

Tra le righe delle reazioni alle rispettive cadute si leggono i ritratti di due sportivi opposti. Tamberi è enfatico, esagerato: ogni suo comportamento è un’estensione sensibile del suo stato d’animo. Quando durante le Olimpiadi di Parigi il suo corpo emaciato, piagato da una colica renale, è finito sotto la lente pubblica, Gimbo ha vissuto la tragica gara olimpica come un martire: ha pianto, si è disperato; ha invocato perdono al pubblico e agli italiani. Solo qualche mese dopo, si è presentato sul palco di Sanremo in abito da sera e sorriso a trentadue denti per annunciare il suo flirt con le Olimpiadi di Los Angeles 2028. D’altra parte, l’esagerazione è un tratto del suo personaggio. Se in Italia viene interpretato come un narcisismo un po' a cialtrone, è un'energia che all'estero piace. È carisma. Negli Stati Uniti lo invitano come ospite quasi fisso al Celebrity Game della NBA.

Jacobs, al contrario, è indecifrabile: quando corre, quando esulta, quando parla. Sembra subire la vittoria, ha dovuto imparare a esultare, non gli è mai venuto naturale. Quando vince l’oro olimpico a Tokyo 2021 è tutto fuorché pronto all’idea di dover sventolare una bandiera italiana in segno di vittoria: è talmente impreparato da non sapere che il rosso del tricolore va messo alla sua sinistra, non a destra. In questo è un’antitesi prima ancora che di Tamberi dell’idea stessa di sprinter moderno: in confronto all’armamentario di gesti di uno showman come Noah Lyles, per esempio, il vocabolario gestuale di Jacobs è risicato, per non dire assente. Si limita a mostrare i bicipiti, e ogni tanto fa vedere il suo fisico di acciaio mentre si allena senza maglietta al caldo della Florida. Ieri dopo la gara è sembrato valutare il ritiro. Non lo ha detto esplicitamente, e forse era troppo deluso per parlare in maniera lucida e onesta: «Devo prendermi un po' di tempo per capire se vale la pena di continuare a soffrire».

Non potrebbero esistere due personalità più diverse. Eppure, non si può parlare di Tamberi senza parlare di Jacobs, e viceversa. Dal momento di collisione di queste due personalità opposte e complementari avvenuto quattro anni fa, quando Jacobs corre tra le braccia di Gimbo e i due si ritrovano per caso l’uno nelle braccia dell’altro, a ballare con impaccio festeggiando il più importante traguardo delle rispettive carriere, il nome dell’uno sarà sempre giustapposto al nome dell’altro, ed entrambi saranno per sempre il simbolo della rinascita dell’atletica italiana. Quattro anni dopo, nello stesso luogo, la percezione collettiva è quella che la trama comune sia arrivata all’epilogo.

Solo quattro anni fa Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs hanno dato vita a un impero nell’atletica che ci sembrava solo l'inizio. Gianmarco Tamberi era pronto al ritiro dopo le Olimpiadi di Parigi: ha cambiato idea, e questa è stata la sua stagione peggiore. Marcell Jacobs ha da sempre a che fare con problemi fisici: sembra aver raggiunto il limite della sopportazione e paventa la possibilità di ritirarsi. Entrambi nelle ultime ore hanno ricevuto migliaia di messaggi di supporto, ma anche inviti (non sempre educati) a ritirarsi. La scelta più difficile della carriera per un atleta è capire quando fermarsi. C'è sempre il desiderio di rendere memorabile, epico, l'ultimo capitolo della propria storia. Nella maggior parte dei casi la scrittura del finale è un’improvvisazione fuori controllo.

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Tamberi e Jacobs quattro anni dopo