
Quando è sul tatami Assunta Scutto diventa la migliore versione di sé stessa. Ha fatto del judo la sua vita e una forma di espressione essenziale. È nata a Scampia, nel quartiere di Scampia, e si è da poco laureata campionessa del Mondo nella categoria 48 kg: è il primo storico successo per l’Italia. Un riscatto arrivato dopo essersi portata sulle spalle un macigno fatto di pressioni, aspettative e delusioni generate da quei cinque cerchi olimpici, che spesso sanno essere magici ma possono anche stritolare. Pian piano, con pazienza e fede, si è ritrovata e oggi spera di essere un esempio per chi, come lei, è cresciuta nel mito di Pino Maddaloni e l’ha fatto quando non c’erano grosse possibilità economiche.
Cosa c'è dietro questo successo mondiale?
Tanta voglia di riscatto: venivo da un periodo in cui ho dovuto ritrovarmi dopo la sconfitta ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. Per me è stata una grande delusione perché avevo le aspettative di portare una medaglia all’Italia, ero prima nel ranking mondiale. Non è stato il massimo concludere il ciclo olimpico senza nemmeno salire sul podio. Avevo voglia di rifarmi ed è stato tutto perfetto. Ho affrontato avversarie con cui avevo perso a Parigi, come la francese Shirine Boukli (in semifinale, nda). Vincere contro di lei è stata una soddisfazione che va oltre il successo nella rassegna, è una liberazione.
Qual è la sensazione immediata che hai provato?
Direi soddisfazione ma anche gratitudine: sono molto credente e penso che Dio abbia un piano perfetto per ognuno di noi. Mi sentivo così grata per aver ricevuto quello che il mio cuore desiderava di più. C’è stata un’esplosione di emozioni incredibili.
Su Instagram hai detto che ti sei sentita vuota…
Sì, durante gli anni pre olimpici ti concentri solo su una gara, su un obiettivo. Finito quel ciclo ti senti smarrita, come se non avessi quasi più uno scopo. A questo va aggiunto il fatto che le Olimpiadi non sono andate come mi sarei immaginata. Ero sotto stress, ansia, non riuscivo a ritrovare me stessa. In quel periodo ho cominciato a frequentare una chiesa evangelica a Roma ed ho iniziato un percorso con loro. Mi hanno fatto sentire amata e in più mi sono liberata di alcuni pesi che avevo dentro. Pian piano, sono riuscita a ritrovare la motivazione e anche la fede per andare avanti in vista di Los Angeles 2028.
Che pesi ti portavi dentro?
Avevo la sensazione di aver fallito, di aver preparato per quattro anni una gara senza riuscire a esprimermi al meglio. Sono stata pure condizionata dalla percezione di aver deluso le persone che mi sostenevano. La prima cosa che mi hanno detto, appena scesa dal tatami, nella prima intervista, è stata: "Ma lo sai che hai deluso tutta l'Italia che si aspettava una medaglia da te… addirittura d'oro?!". So che alcuni giornalisti non hanno molto tatto, ma in fondo stavano dicendo ciò che provavo anche io in quel momento. Avevo il peso di aver deluso la mia famiglia, me stessa e di aver buttato tutti gli allenamenti fatti. Mi sentivo un fallimento.
Hai parlato di ansia, ne avevi già sofferto? Come si impara a gestirla e non esserne sopraffatti?
Non avevo mai sofferto di ansia, ma mi sentivo stressata, come se avessi sempre un peso sul petto: anche quando non avevo particolari pensieri il cuore batteva forte ed ero in perenne agitazione. Sembrava mi mancasse l'aria. Ho iniziato a pregare di più e ho ripreso a respirare ma comunque le ansie, appena tornavo alla quotidianità, riapparivano. È stato un periodo importante, ho capito tante cose e ora, al Mondiale, ero libera, senza preoccupazioni, sapevo che ci avrebbe pensato Dio al posto mio. A Budapest, ho fatto quello che ho fatto, grazie al percorso che mi ha portato fino a quella gara. Sono maturata, ho preso decisioni importanti per me stessa, sono diventata una persona diversa. Credo che, in fondo, debba solo ringraziare tutte le delusioni che ho avuto: preferisco non aver ottenuto la medaglia ai Giochi, ma aver migliorato tanti aspetti. Sono certa che in questi quattro anni mi toglierò tante altre soddisfazioni.
Tra i più commossi della tua vittoria, il tuo allenatore Antonio Ciano, che valore ha la figura del maestro nel judo?
Avere già un allenatore competente fa tanto. Lui lo è e ha un metodo di lavoro efficace. Abbiamo vinto sia io che la mia collega (Alice Bellandi, nda) che ci alleniamo allo stesso modo con lo stesso allenatore, siamo le uniche, non credo sia un caso. È pure vero che abbiamo un rapporto stretto anche al di fuori: c'è sempre stato in tutti i momenti della mia vita. Sono arrivata a Roma che ero minorenne: mi ha accolto, mi ha fatto sentire l'affetto di una famiglia, di cui sentivo la mancanza e poi si è preoccupato di come mi sentissi. La sua commozione, secondo me, è dovuta al fatto che ha vissuto anche lui i miei momenti no. Qualche giorno dopo Parigi, mentre stavamo parlando, ha iniziato a piangere. Non sapevo perché… e mi disse che non mi meritavo quel risultato. Lì ho capito ancora di più quanto ci tenga a me, non solo come atleta, ma come persona.
Con Alice Bellandi, invece, che rapporto c’è?
Intanto, è una bella soddisfazione il fatto che ci siano due donne sul tetto del mondo (anche lei ha vinto l’oro nei 78 kg, nda). Per il resto, Alice, per me, è come una sorella maggiore. C'è sempre stata e mi ha trasmesso la sua esperienza, pure lei non ha avuto un percorso semplice. Ora, è la campionessa olimpica che vediamo tutti, ma ha avuto dei momenti complessi, come dopo le Olimpiadi di Tokyo 2020, fu settima, come me. Mi ha sempre detto che si rivede nel mio percorso, ha cercato di aiutarmi e trasmettermi quello che sa in modo che io non faccia i suoi stessi errori. È stata di grande aiuto: sentire qualcuno che ha vissuto quello che hai passato tu, ti aiuta a capire che è normale e ti fa sentire confortato. La ringrazio, in più è un’ulteriore motivazione vedere come abbia superato il periodo per poi diventare campionessa olimpica.
Prima parlavamo di Parigi: secondo te cosa è accaduto davvero?
Sicuramente c’è stata l’emozione della prima Olimpiade: la sogni, pensi che sia un evento diverso da tutto, quando, alla fine, ci sono sempre le stesse persone e cambia il nome della competizione. C’è stata anche la pressione esterna, con l’aspettativa di una medaglia. Ho sempre detto che quello non ha pesato, però forse un po' l’ha fatto. In più, prima del giorno della gara, sono successe un paio di cose che mi hanno fatto distrarre. Mia sorella più piccola non è potuta partire, perché ha avuto dei problemi con la carta d'identità. Il giorno prima mi ha chiamato piangendo perché non poteva esserci e poi mia nonna si è rotta il braccio. Lì per lì mi dicevo: "No, non mi interessa nulla”, però in realtà non era così. Al Mondiale, mia sorella è riuscita a venire: era il suo primo viaggio in aereo e la sua prima gara live. So di averle regalato una grande emozione.
A proposito di distrazione, quando è difficile avere una tenuta mentale solida? Parlavi di fede, ti fai supportare anche da uno psicologo?
No, in realtà io mi affido solamente a Dio e poi ho un bel gruppo in chiesa che c’è sempre. Spesso ho parlato con i pastori o con le persone che mi seguono, più grandi, con più esperienza e alla fine, sono un po' come dei mental coach, no? Ti trasmettono la loro esperienza, ti danno quel conforto, la parola giusta e ti fanno rimanere lucidi. È importante non solo avere un supporto ma trovarlo essendo a proprio agio. Io mi sentivo più a mio agio in chiesa e loro che mi hanno fatto da... spiritual coach (ride, nda).
Quando ti sei avvicinata alla fede?
Sono sempre stata credente fin da quando ero piccolina, però alla chiesa evangelica verso i 16-17 anni, quando ho conosciuto il mio ragazzo che è evangelico. Non cambia tanto tra essere evangelici o cattolici ma dipende da quello che si percepisce. Ho intrapreso un rapporto ancora più stretto con Dio e poi dopo le Olimpiadi ho trovato la chiesa giusta che mi sostenesse e mi facesse fare un percorso dove potessi maturare al massimo.
E invece al judo?
Come spesso accade, è partito tutto come un gioco: mio cugino frequentava la palestra e giocavamo insieme il pomeriggio. Lui si divertiva a farmi vedere tutte le tecniche di judo e mi sfidava a lottare. Vinceva sempre e allora mi ero messa in testa che volevo fare anche io judo, per batterlo. Era una sfida con lui, quando ha smesso, mi ero innamorata del judo. Ho subito capito che era lo sport adatto a me, mi divertivo, mi piaceva come insegnava il maestro e anche le storie che raccontava, come l'impresa di Pino Maddaloni alle Olimpiadi (vincitore dell’oro a Sydney 2000, nda). Mi ha fatto entrare subito nel suo mondo e anche in questo caso mi sono sentita parte di una famiglia. Passavamo tutto il tempo lì perché il maestro ci teneva il più possibile in palestra per non farci stare a giocare per strada. In più, fin da subito mi disse che avevo talento e che avrei dovuto continuare.
Ora si riconosce questo talento?
Il talento solo non basta, ma all’inizio non pensavo di averlo, quello lo nota chi ha l'occhio più esperto. Ho iniziato a capire di aver quel qualcosa in più, quando ho cominciato a vincere le mie prime gare da cadetta, quindi under 18, battendo gli over 18. In ogni caso questo “dono”, senza il sacrificio e senza il lavoro, non va da nessuna parte.
Il maestro vi teneva di più in palestra, tu sei nata a Scampia non un quartiere semplice…
Sì, passavamo la maggior parte del tempo lì e in realtà non so dire come fosse vivere a Scampia, non stavamo mai per strada. Era un quartiere difficile, ma non penso che sia come viene descritto molte volte. Ogni posto, ogni città, ha il suo quartiere un po' più pericoloso o più oscuro. A Scampia si può vivere se si ha una famiglia di un certo tipo alle spalle. In palestra c’erano alcuni ragazzi che avevano storie difficili, con padri con un passato complesso che magari erano stati in carcere. Vedevo qualcuno soffrire e questo mi ha sempre reso grata della situazione in cui mi trovavo. Conoscere certe dinamiche mi ha fatto apprezzare di più quello che avevo nella mia vita. La mia famiglia è sempre stata presente e mi ha sempre permesso di realizzare i miei sogni, non facendomi mai pesare le spese che comportano questo sport.
Sei cresciuta nella palestra e nel mito di Pino Maddaloni. Che valore ha avuto questa figura?
Già sapere che ti alleni dove si è allenato un campione olimpico, fa un certo effetto. Inizi a pensare che è una realtà vicina, pensi che anche Pino Maddaloni è cresciuto come te senza avere una palestra tra le top in Italia, senza avere una famiglia ricca. Pure lui ha origini umili: ti immedesimi e pensi come ci è riuscito lui, posso anche io. Per anni è stato in palestra e ci ha dato consigli.
Pensi che la tua storia possa essere un esempio per Scampia?
Io torno spesso e mi sento parte di quel quartiere e per questo sono contenta che molte persone mi stiano prendendo ad esempio. L'ultima volta che sono stata a Scampia un bambino mi ha detto "Un giorno, posso fare quello che hai fatto tu?". Mi sono commossa, perché mi sono rivista in quel bambino. Quando ero piccola anche io pensavo che un giorno avrei potuto realizzare le stesse imprese di Pino Maddaloni. Essere un modello di ispirazione o un esempio, mi rende molto orgogliosa: posso offrire un destino diverso a persone del mio quartiere, che magari si danno per vinte e optano per strade più semplici. Molti possono cambiare il loro destino anche prendendomi come riferimento.
Dicevi che a Scampia si può vivere con una famiglia di un certo tipo alle spalle, qual è il sacrificio più grande che la tua ha fatto per te?
Pagarmi tutte le gare: avevano un costo e la mia famiglia arrivava fine mese con i conti giusti. Conservavano i soldi per farmi competere e farmi vivere le esperienze, senza farmelo pesare e per me già quello è stato un grande sacrificio. Poi, a 16 anni, mi hanno permesso di lasciare casa e andare ad allenarmi a Roma. È stato impegnativo per me e anche per loro.
Come sono stati gli inizi e come è stato anche il passaggio da junior a senior?
All'inizio, è stato difficile perché avevo sempre la paura di aver fatto la scelta sbagliata: avevo avuto la possibilità di entrare in un gruppo sportivo che era a Napoli. Antonio Ciano, che è anche l'allenatore delle Fiamme Gialle, mi poteva dare quell'esperienza in più che mancava. Ho subito sentito quel feeling e preso questa decisione ma con dei dubbi. Sono arrivati i miglioramenti e i risultati che hanno fatto pesare di meno tutti i sacrifici che avevo fatto fino a quel momento. La mia famiglia ha iniziato subito ad accettare la situazione vedendo come stessi bene e tutti i risultati che stavo ottenendo. La prima medaglia al Mondiale Senior è arrivata quando ero ancora Junior. Si capiva che stavo facendo qualcosa di grande: è stata la prima italiana al femminile dopo 14 anni… ed ero stata proprio io. Guardandomi indietro e pensando che adesso sono campionessa del Mondo provo uno strano effetto.
Visto lo sport che pratichi, hai mai avuto un rapporto particolare con la bilancia?
Fortunatamente, sono piccolina, appartengo alla prima categoria quindi non ho mai avuto problemi a rientrare nel peso. Per me, è sempre stata una cosa molto semplice. Seguo un’alimentazione sportiva perché è giusto a certi livelli, ma non ho mai avuto rapporti sbagliati con l'alimentazione o con la bilancia. Fin da subito, mi hanno seguito professionisti e non mi hanno mai fatto sbagliare nulla. Non mi è mai stata imposta una categoria che mi avrebbe fatto entrare in quel loop di disturbi alimentari: quando c'è da rispettare una categoria è facile cadere in certi circoli viziosi.
Oltre il judo c’è spazio anche per il disegno, come è nata la passione?
Io dedico tutta la mia vita al judo, però quando ho quegli attimi liberi mi piace disegnare per dare spazio alla mia fantasia. Mi rilassa fare degli schizzi, dei disegni in digitale, dare sfogo alla mia immaginazione.
Ora hai detto che il judo è praticamente tutta la tua vita, qual è la cosa che ami di più?
La sensazione di quando sali sul tatami, mi sento una persona nuova, una persona libera, riesco a essere la versione più sincera di me stessa. Tutte le emozioni negative che hai dentro le riversi fuori, trasformandole in energie buone per il judo. In generale, sono una persona semplice e penso di essere pura perché dico quello che penso: nel mio cuore non si formano pensieri negativi perché sono molto concentrata sul mio percorso. Cerco di essere un esempio per gli altri, e anche di metterli di buon umore.