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Aslan Karatsev è la storia di questi Australian Open
17 feb 2021
17 feb 2021
Il russo giocherà la semifinale contro Djokovic dopo essere partito dalle qualificazioni.
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Stanotte Aslan Karatsev giocherà la semifinale degli Australian Open contro il miglior giocatore di tennis al mondo, Novak Djokovic. Probabilmente verrà sconfitto, e i dubbi al momento sono ridotti al modo in cui perderà, se riuscirà a opporre un minimo di resistenza o se invece verrà cancellato dal campo e usato come semplice sparring partner. Ma non è importante: comunque andrà, chiunque vincerà il torneo, Karatsev è la storia degli Australian Open. È riduttivo dire che nessuno si sarebbe aspettato Karatsev in semifinale di uno slam fino a dieci giorni fa, diciamo piuttosto che fino a dieci giorni nessuno conosceva l’esistenza di Karatsev.


 

È difficile far comprendere l’eccezionalità del suo risultato a qualcuno che non segue il tennis. Diciamo che non stiamo parlando di uno di quei tennisti che di solito si ferma ai primi turni dei grandi slam, prendendosi i soldi maledetti della qualificazione per rimborsare debiti e spese. È uno di quelli che di solito neanche ci entra nei tornei, non solo del grande slam. Prima degli Australian Open aveva vinto appena tre partite nel circuito ATP. Tre partite, a fronte di dieci sconfitte. E questo non perché è un giovane, la cui assenza d’esperienza è fisiologica: Karatsev ha 27 anni e se ha giocato poco nei tornei ATP è perché, molto semplicemente, non ha mai avuto il livello per farlo, né ha dato l’impressione che potesse averlo un giorno.


 

Fino agli Australian Open ha vissuto una carriera senza particolari acuti tra Futures e Challenger. Da dopo il lockdown qualcosa è cambiato, forse a Karatsev non piace giocare col pubblico presente, perché da quel momento ha iniziato ad accumulare uno score pugilistico: delle ultime 45 partite giocate ne ha perse solo 7. A settembre ha vinto due Challenger di seguito nel suo piccolo tour mitteleuropeo, Praga e Ostrava. Ma anche in questo periodo di fuoco, non ha mai colto risultati particolarmente sorprendenti: appena il livello si alzava, perdeva. A San Pietroburgo ha battuto Sandgren, ma ha perso da Khachanov; ad Astana è stato sconfitto da Seppi, a Sofia da de Minaur. Prima di Melbourne il suo ultimo torneo era stato il Challenger di Ortisei, sulle Dolomiti prima che arrivasse la neve. Aveva perso in finale dal bielorusso Ilya Ivashka, numero 138 del mondo ma due anni fa 80, quindi di livello superiore al suo (persino tre qualificazioni negli slam!). L’ultima volta che Karatsev ha provato a qualificarsi in uno slam è stato per il Roland Garros, e ha perso dal figlio d’arte Sebastian Korda. Ci aveva provato altre nove volte in carriera, non riuscendoci mai. Brad Gilbert, uno dei più noti allenatori, ha detto di Karatsev: «È come una squadra di terza divisione inglese che batte le più forti. Solo che lui non sta giocando da terza divisione».


 

Agli Australian Open ha faticato al primo turno di qualificazione, spuntandola in tre set con Nakashima. Poi non ha perso più un set fino agli ottavi di finale contro Felix Auger Aliassime. Nel mezzo ha sconfitto la testa di serie numero 8 Diego Schwartzman: forse una delle teste di serie più deboli su questa superficie, ma un tennista in generale ruvido da battere. Karatsev è il primo giocatore DI SEMPRE a raggiungere la semifinale al debutto slam. Il quarto qualificato a riuscirci. Ma non c’è niente che restituisca l’imprevedibilità della sua traiettoria quanto i soldi: il montepremi accumulato finora in questi dieci giorni di Australian Open è arrivato a superare quello accumulato lungo tutta la sua carriera (Karatsev ha esordito nel 2013 tra i professionisti, non ieri). Considerati tutti e quattro i major è il semifinalista con la classifica più bassa dal 2001 (114), cioè da quando Goran Ivanisevic (125) ha servito ace e distrutto racchette finché non ha vinto Wimbledon.


 

La corsa pazza del dark horse è un topos noto. Il tennis è uno sport che distribuisce allori con grande senso dell’oligarchia, ma che al contempo concede exploit inaspettati a tennisti in forma. Si dice spesso che un tennista abbia trovato “una grande settimana”, forse grazie al fatto che si tratta di uno sport fondato sull’iterazione del gesto, sulla ripetitività, e in qualche modo rende possibile che un giocatore, in una certa settimana, entri in una condizione che trascenda i propri limiti; che entri, come si dice con una strana espressione gergale, “in the zone”. Il campo comincia a sembrare più grande, le righe più spesse, la racchetta leggera nelle mani e pesante sulla pallina. È una sensazione che può aver provato anche chi gioca qualche partita disimpegnata al circolo e torna casa colto da una strana esaltazione.


 

Karatsev ha ammesso che arrivare in Australia dopo un periodo positivo di successi gli ha permesso di scendere in campo con più leggerezza. Il più classico dei “vincere aiuta a vincere”, ma portato a un livello meditativo: «Si può dire che ho smesso di pensare. Ho solo cercato di giocare ogni palla. È questo che mi ha aiutato a vincere». Karatsev in effetti sembra uno che sta giocando con questo tipo di fiducia. Il suo tennis è teso e aggressivo, sembra essere sempre un po’ più concentrato e pronto dei suoi avversari. È spartano ma efficacissimo nei punti di inizio scambio, quelli con cui è riuscito più o meno sempre a mettere dalla propria parte l’inerzia dei punti e delle partite giocate finora. Tiene sempre percentuali spaventosamente alte con la prima palla, sempre abbondantemente sopra il 60%, contro Schwartzman addirittura al 75%. In risposta è un computer, nel timing e nelle scelte tattiche. Guardate questa risposta giocata contro Dimitrov, per strappargli il servizio in uno dei primi game della partita.



La sua esperienza nel doppio di certo ha formato questo tipo di attenzione e preparazione tecnico-tattica. Contro Schwartzman ha giocato la sua partita più impressionante, per come ha dominato un avversario più forte di lui; ma Karatsev è riuscito a recuperare anche due partite in cui sembrava spacciato. Contro Auger Aliassime è andato sotto addirittura di due set, sembrando impotente di fronte a un giocatore così solido e talentuoso, poi si è trasformato in una macchina, diventando inattaccabile nei propri turni di servizio. Contro Dimitrov è sceso in campo con tutta l’aria della versione mal riuscita del suo avversario. Il bulgaro elegante, con tutte le ossa della faccia tagliate nei punti giusti, il suo gioco fluido e capace di toccare tutte le sfumature possibili; lui, invece, brutale in tutto e per tutto. La mascella grossa e dura, il naso aquilino, l’outfit grigio e senza manco una punta di glamour. È alto un metro e 85 ma ha quella muscolatura massiccia e tarchiata, la testa grossa tipo figurina di Fantagazzetta, che lo fanno sembrare più basso. Il suo tennis, i movimenti dei suoi colpi, asciugati attorno a un’idea che non concede nulla alla bellezza. Le aperture piatte del dritto, la preparazione al servizio breve che lo fa sembrare sempre meno promettente di quanto non sia in realtà. Non sto dicendo che Karatsev sia brutto da vedere: nella sua linearità il suo tennis crea scambi ad alto ritmo e costruzioni dei punti eccitanti.


 

È un giocatore pericoloso, di quelli che ti costringono a prendere delle contromisure, a usare la strategia. Non bisogna fargli prendere troppo il controllo dello scambio, meglio costringerlo a muoversi per farlo uscire dalla sua comfort zone - quella di lui al centro del campo che trova gli angoli. Il dritto e il rovescio incrociati sono forse i suoi colpi migliori. Ha detto che il cemento un po’ più veloce di quest’anno sta favorendo il suo stile. Dimitrov ha accettato di “remare”, cioè di mettersi alcuni metri dietro la linea di fondo in attesa dell’errore di Karatsev. Certo, Dimitrov non è il più brillante degli strateghi, ma quando avevate visto un qualificato di 27 anni costringere un tre volte semifinalista slam a una strategia conservativa?



Quando si mette a spingere da fondo così pare uno che sta facendo un lavoro artigianale e di fatica, tipo spaccare la legna, battere il ferro, picconare un muro. Ma la potenza dei suoi colpi rischia di far passare in secondo piano il gioco di piedi, notevole, che la rende possibile.


 

Contro Dimitrov ha avuto un brutto passaggio a vuoto nel primo set in cui è sembrato cadere nella tela tessuta prudentemente dal bulgaro. Tanti errori non forzati, un paio di attacchi naif finiti con brutte pallate prese a rete. Poi è tornato a spingere in modo efficace, a sciogliere la tensione, ha vinto il secondo set e nel terzo ha approfittato dell’infortunio alla schiena del suo avversario. Ci vuole anche un po’ di fortuna per scrivere la storia.


 

Karatsev era il terzo russo ai quarti e il secondo spintosi fino in semifinale. Si sta creando un effetto domino, come ha scritto Vincenzo Martucci su Supertennis. Una situazione che abbiamo visto anche col tennis italiano o quello serbo: quando ci sono due o tre tennisti che fanno risultati di alto livello, sembrano riuscire a trascinarsi dietro anche connazionali minori che cominciano a costruirsi una buona carriera.


 

Karatsev ha molto di russo nel suo gioco. L’aggressività da fondo campo, lo stile un po’ piatto, ma il suo percorso è unico. Nato in Ossezia, nel Caucaso, a tre anni si è trasferito in Israele - il nonno materno è ebreo. Poi in Spagna, in Germania, a Mosca, in Francia e infine in Bielorussia, dove da un paio d’anni si allena con Yahor Yatsyk. Quella di Karatsev è una storia di pazzo vagabondaggio persino in uno sport in cui abbiamo fatto l’abitudine a esseri umani apolidi. «Ho girato molto, forse troppo» ha detto di recente, come un personaggio di Joseph Roth. Nel 2017 ha avuto un brutto infortunio al ginocchio e ci ha messo quattro anni, evidentemente, a recuperare del tutto.


 

Quindi torniamo all’epilogo di questa storia, a quando stanotte affronterà Novak Djokovic, il peggior nemico dei sogni di gloria altrui. Il serbo ha ammesso di non aver mai visto giocare Karatsev prima degli Australian Open, come quasi tutti noi. Si è comunque lasciato andare a un commento: «È un tipo forte. Fisicamente è veramente molto forte. Si muove bene, ha una grande potenza di fuoco da fondo. Ha un gran rovescio come molti russi. Serve bene e ha motivazioni. E non ha niente da perdere». Djokovic viene da una vittoria dolorosa contro Zverev ai quarti: «È stata una partita molto dura, una grande battaglia, e mi sento esausto. Entrambi ci siamo spinti al limite dal punto di vista fisico, ma sapevo che questa sarebbe stata la partita più complicata disputata finora». È da inizio torneo che Djokovic lamenta alcuni problemi agli addominali, in un paio di momenti - per esempio nel riscaldamento contro Raonic - ha pensato di ritirarsi. Non è sembrato al massimo in alcuni momenti delle sue partite, ma in altre è parso la solita macchina, sostenuta da un servizio mai così decisivo. Zverev durante il torneo ha giocato in modo magnifico ma non si è neanche avvicinato a vincere.


 

Contro Djokovic sarà molto complicato per Karatsev controllare il gioco da fondo, magari Nole gli lascerà l’illusione del controllo, ma sarà lui a manovrare in realtà, assorbendo l’aggressività del russo. A meno che Djokovic non si sia effettivamente logorato contro Zverev, acuendo i problemi addominali. È la speranza di Karatsev, che gioca ogni punto, ogni set, ogni partita senza pensarci troppo. Si godrà il momento, poi dovrà pensare al futuro. Il suo tennis sembra migliore della sua classifica, ma peggiore di una semifinale agli Australian Open. Intanto gli diamo il benvenuto nel circuito: sembra arrivato per restare.


 

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