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Andrea Minciaroni
Aru all'attacco
06 lug 2017
06 lug 2017
Il corridore sardo vince a La Planche de Belles Filles, e ora che Tour dobbiamo aspettarci?
(di)
Andrea Minciaroni
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Negli ultimi cinque anni la salita finale verso la Planche des Belles Filles è stata il trampolino di lancio per diversi corridori. Qui nel 2012 Bradley Wiggins ha conquistato la sua prima maglia gialla, diventando poi il primo britannico della storia a vincere il Tour de France. Quel giorno è ricordato anche perché il mondo del ciclismo ha scoperto definitivamente Chris Froome. La vittoria di quella tappa è stata il preludio al dominio assoluto degli anni seguenti.
Sempre a Planche des Belles Filles, nel 2014, Vincenzo Nibali ha dato inizio alla sua cavalcata trionfale verso Parigi. Un successo italiano che mancava dal 1998 con la vittoria di Marco Pantani.

 

Tre anni dopo, a tagliare il traguardo per primo sulla Planche des Belles Filles è stato Fabio Aru, ed è normale quindi

con cui in Italia è stata accolta questa vittoria. È presto però per dire se le rampe della Planche des belles files sono di nuovo da considerare il trampolino di lancio per un grande Tour di Aru o solo un episodio isolato e slegato dalla storia recente.

 


Alla vigilia del Tour

ha pubblicato

interessante per spiegare al pubblico quali sono con esattezza i momenti in cui uno spettatore può concedersi un pisolino durante la diretta televisiva senza paura di perdere i momenti più importanti della corsa.

 

Secondo

, nella quinta tappa del Tour - da Vittel a Le Planche des Belles Filles - lo spettatore poteva dormire fino alle 16 abbondanti. Previsione più o meno azzeccata: a -2,4 km dal finale, esattamente alle 16.59, Fabio Aru ha dato il via all'azione con cui poi ha vinto la tappa di giornata. L'articolo di

ci ricorda ancora una volta quanto il ciclismo moderno viva di attese estenuanti. E la tappa di ieri, in fin dei conti, non è stata così diversa dalle altre.

 

La fuga di giornata, composta da otto corridori di spessore - tra cui Thomas Voeckler, Jan Bakelants, e Philippe Gilbert - ha costretto il gruppo dei migliori a rincorrere per evitare brutte sorprese. La BMC, capitanata da Richie Porte, ha messo in pratica un lavoro certosino per ridurre costantemente il margine di distanza sugli avversari, lasciando in secondo battuta alla Sky, sul finale, il compito tirare il gruppo per riprendere gli ultimi fuggitivi e fare selezione alzando il ritmo.

 

Un copione recitato già diverse volte. Stavolta però la sceneggiatura ideata da Chris Froome è andata a sbattere di fronte alla spavalderia di Fabio Aru. Il forcing della Sky ha comunque fatto selezione: ha mandato fuori classifica corridori come Thibaut Pinot e Bauke Mollema; ne ha piegati altri che hanno mostrato limiti evidenti, come Nairo Quintana, apparso stanco e affaticato dopo il Giro d'Italia, e Alberto Contador, ormai al tramonto della carriera. Fabio Aru è stato l’unico a reggere il ritmo della Sky e, a 2 km e mezzo dal traguardo, ha rotto gli indugi con un’azione impressionante, retta da una grande condizione ma soprattutto dal suo stile d’attacco.
Per evitare di perdere secondi preziosi nella classifica generale, Chris Froome è dovuto partire in prima persona all'inseguimento. Il ritmo della sua squadra stavolta non è stato all'altezza delle aspettative, ma il keniano è riuscito comunque a chiudere la tappa con la maglia gialla addosso, per la prima volta quest’anno leader della generale.

 

Per capire meglio l'attacco di Aru è utile riprendere alcuni

da

. Il tempo della scalata di Aru, negli ultimi 5km, è stato di 13'18'' a una velocità di 22,560 km/h, con una Vam - velocità ascensionale media - di 1917 e una potenza di circa 460 watt. Numeri che, per essere più chiari, hanno fatto sbilanciare un corridore esperto come Paolo Tiralongo: «Fabio Aru è imbattibile». Lo stesso Aru, al termine della tappa, ha dichiarato: «Ho attaccato ai tre chilometri, cercando di dare tutto, malgrado i corridori del Team Sky avessero impostato un ritmo altissimo. Ho voluto mettere alla prova gli avversari e quando agli ultimi 100 metri mi sono girato ho capito davvero che avevo vinto. Una gioia immensa. Battere Froome sarà difficile, ma ci proveremo fino alla fine».

 



 

L’entusiasmo, insomma, è tanto ed è giusto contestualizzarlo. Provare a capire come il corridore sardo potrebbe comportarsi nei prossimi giorni. È stata una singola, grandissima, prestazione oppure Aru va davvero considerato come un candidato credibile alla vittoria finale?

 


In una corsa a tappe lunga quasi un mese le variabili sono così tante e incontrollabili che fare pronostici è inutile. Per l’edizione di quest’anno del Tour de France lo è ancora di più, perché il percorso e la condizione dei corridori la rendono una delle più incerte degli ultimi anni. Il percorso prevede diverse tappe di montagna, anche se disegnate in modo anomalo, con pochi GPM di prima categoria previsti all’arrivo. In più, ci sono solo due prove a cronometro, e piuttosto corte: una già disputata di 14 km e l'ultima di soli 23 km che si terrà a Marsiglia.

 

Un dato in controtendenza rispetto a quello che ci ha abituato il Tour, con un percorso organizzato spesso con tappe a cronometro lunghe e impegnative che favoriscono i passisti-scalatori. Considerando la tipologia e le caratteristiche dei corridori in corsa, da questo punto di vista, il favorito principale, Chris Froome, parte già leggermente più indebolito nei confronti dei suoi avversari rispetto agli anni passati. Non ci saranno più quelle lunghe tappe a cronometro in cui poter accumulare vantaggio.
Ma non possiamo nemmeno definire questo percorso adatto totalmente a quelli che in Francia chiamano “grimpeur” (scalatotori). Le diverse montagne da affrontare - Giura, Pirenei, Massiccio Centrale e Alpi - si trasformano in appena tre arrivi in salita. Gli arrivi ad alta quota sono invece all’inizio o a metà delle tappe,. L’idea è di offrire ai corridori un terreno ideale per attacchi continui fin dall’inizio, quindi movimentare la corsa e aumentare il fattore di imprevedibilità.

 

Una strategia che tuttavia potrebbe sortire l'effetto opposto: potremmo assistere a tappe totalmente soporifere, dove i corridori, sopratutto quelli che ambiscono alla maglia gialla, decidono di rimanere coperti per non rischiare di saltare, rinunciando ad attaccare e rimanendo compatti fino a giocarsi la vittoria finale sul filo dei secondi.

 

Sulla carta il percorso potrebbe però comunque avvantaggiare gli attaccanti rispetto ai calcolatori. A patto che abbiano le gambe per sostenere una strategia aggressiva. Per questo, sempre sulla carta, Aru - come anche Romain Bardet - potrebbero sfruttare questo percorso anomalo a loro vantaggio, aggredendo corridori più prudenti come Froome.

 



 

A rendere incerto questo Tour c’è anche la condizione dei big. Richie Porte ha dimostrato al Giro del Delfinato di essere il corridore più in forma in questo momento, mentre Chris Froome non è sembrato all'altezza delle passate edizioni.
Fabio Aru ha invece dimostrato una condizione invidiabile. A prescindere dalla vittoria di ieri, le prove di un ottima condizione in vista del Tour de France il sardo le ha già dimostrate durante il Campionato nazionale, dove ha sbaragliato gli avversari mettendo in mostra non solo la sua solita potenza in salita, ma anche una certa lucidità nel gestire il vantaggio sugli avversari.

 

Altro elemento importante da tenere in considerazione è la sua condizione mentale. Il sardo si trova al Tour de France per puro caso, perché costretto a rinunciare al Giro d'Italia - vero obiettivo stagionale - per colpa di un infortunio. Aru ha dovuto quindi riprogrammare tutta la sua preparazione, con l'obiettivo di farsi trovare pronto per l'inizio del Tour. È dimagrito tantissimo, sta bene, e in più ha voglia di riscattarsi dopo un’annata piuttosto difficile.

 

In linea di massima, considerando anche il fatto di aver riprogrammato la stagione dopo un infortunio, Aru potrebbe essere più libero mentalmente rispetto allo scorso anno, quando ha invece partecipato al Tour con i gradi di capitano unico.
Stavolta in casa Astana - vista anche l'ottima condizione di Fuglsang e perlomeno fino a ieri - non hanno avuto le idee così chiare su quale corridore dovesse realmente correre per la classifica generale. L'Astana non può essere paragonata ad una corazzata come la Sky, e sappiamo quanto il peso della squadre possa incidere sulle singole prestazioni dei corridori. Il percorso però, lo ripetiamo, sembra lasciare qualche speranza al corridore sardo.

 

È molto complicato, ma dopo la tappa di ieri si può pensare con più cognizione di causa ad Aru come alla possibile sorpresa di questo Tour de France. Se anche la Planche des Billes Filles quest'anno non dovesse essere un trampolino di lancio per il vincitore finale, ha però di nuovo rimescolato le carte in tavola, mettendo in prospettiva una Grande Boucle adesso ancora più incerta di prima.

 

 

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