
Aprile 2025, Arco di Trento, Italia. Brooke Raboutou, atleta statunitense medaglia d’argento alle Olimpiadi di Parigi 2024, raggiunge un traguardo che aspettavamo da tempo. Chiude un tiro tecnico, breve ma intenso, Excalibur, di grado 9b+. È il tiro di grado più difficile mai scalato da una donna.
Luglio 2025, Déversé, Francia. Laura Rogora, atleta italiana campionessa europea in lead nel 2024, riesce a scalare onsight Ultimate Sacrifice, di grado 8c+, nella falesia di Gorges du Loup. È la prima salita a vista femminile di un tiro di grado 8c+.
Due climbers, due performance in parete che confermano quanto il livello femminile e quello maschile nell’arrampicata siano sempre più vicini. Il gender gap tende allo 0.
Il grado più difficile mai scalato da un uomo, ad oggi, è il 9c. I gradi, nella scala francese riconosciuta a livello internazionale, vanno da 1 a 9c, e procedono in questo modo: 3a, 3b, 3c, 4a, 4b, 4c e così via, fino al 9c. Dal sesto grado vengono introdotti dei + intermedi tra un grado e l’altro per una gradazione più specifica. Quindi il 9b+ è un po' più difficile del 9b, un po' più facile del 9c.
Fino ad aprile 2025, solo tre uomini avevano raggiunto il 9c e tre donne il 9b, finché Brooke Raboutou non ha firmato la prima salita femminile di un 9b+.
Brooke Raboutou mentre scala Excalibur.
Solo guardando questo post Instagram, in cui l’atleta statunitense condivide il suo successo, emerge la complessità di questo tiro: un’inclinazione di 40°, tacche e buchi piccolissimi che richiedono una precisione millimetrica per essere “presi” e una forza incredibile per essere tenuti. La via è breve (12 metri di lunghezza), ma estremamente intensa. C’è un altro elemento che rende questo successo ancora più sorprendente: fino alla salita di Excalibur, Brooke Raboutou aveva chiuso tiri solo fino all'8c.
Excalibur è stato liberato (ovvero scalato per la prima volta) da Stefano Ghisolfi, il climber italiano su roccia più forte a oggi. Le uniche altre due ripetizioni del tiro sono ad opera di Will Bosi e della stessa Brooke Raboutou. Tra i climbers che l’hanno provato, tutt’ora senza successo, ci sono anche Adam Ondra e Jakob Schubert, due dei tre arrampicatori al mondo che a oggi hanno conquistato il grado 9c su roccia. Un indizio del fatto che la pura forza non è l’unico fattore determinante nel raggiungimento di certi risultati.
L’arrampicata è uno sport in cui la forza gioca un ruolo importante, ed è un dato di fatto affermare che gli uomini hanno una forza assoluta maggiore rispetto alle donne. Le donne, però, hanno generalmente un rapporto peso/potenza migliore e questo le avvantaggia quando si tratta di sollevare il proprio peso corporeo con la sola forza delle braccia e delle dita. La tecnica è fondamentale, forse più che in altre discipline, e nell’arrampicata una tecnica migliore permette di fare meno fatica. Più viene ottimizzato il movimento, più sarà efficace e permetterà di arrivare alla presa successiva stancandosi il meno possibile. Il posizionamento del baricentro è più importante nel raggiungimento della presa successiva piuttosto che la bruta forza delle braccia che cercano di raggiungerla. Tutti i tipi di forza coinvolti nell’atto dell'arrampicata possono essere allenati, non dipendono da divari biologici insormontabili. Forza isometrica (sostenere il corpo in posizione), forza delle dita e degli avambracci (grip), forza esplosiva controllata nei movimenti dinamici (soprattutto nel boulder) e resistenza anaerobica nei percorsi più lunghi non creano un divario tra prestazioni “maschili” e prestazioni “femminili”.
Magnus Midtbø è climber norvegese ex professionista, oggi content creator. A luglio 2025 ha pubblicato su YouTube un video girato in collaborazione con Janja Garnbret, top climber slovena, vincitrice di 48 World Cup e di 2 ori olimpici. Garnbret è l’esempio con la E maiuscola di come la differenza tra prestazioni maschili e femminili sia molto sottile nell'arrampicata sportiva. Magnus Midtbø, nel video, si mette alla prova sullo spray wall (parete boulder caratterizzata da una fitta distribuzione di prese, senza percorsi predefiniti), tracciato appositamente per gli allenamenti di Janja Garnbret. Il risultato di questo confronto è riassunto in una frase che Midtbø dice nel video: «saper fare un pull-up (simbolo per eccellenza in arrampicata della forza muscolare, nda) a un braccio non ha niente a che fare con il saper arrampicare». Janja Garnbret potrebbe competere con gli uomini, e sia lei, sia il suo allenatore, sia Magnus Midtbø concordano sul fatto che potrebbe ottenere buoni risultati. Ha già provato in allenamento le vie tracciate per le competizioni maschili.
Forse in un futuro un po' utopico, ma neanche così lontano, potremo vederla competere con la controparte maschile, e sarebbe rivoluzionario e bellissimo.
Sarebbe sicuramente un ulteriore passo verso la rottura di schemi mentali e di costrizioni sociali che hanno fatto sì che lo sport femminile si sia dovuto “nascondere” per tanto tempo. Adriana Brownlee, alpinista inglese entrata nella storia per essere la più giovane ad aver scalato dal 2021 al 2024 tutte le montagne più alte della Terra a soli 23 anni, durante un’intervista esprime un concetto molto importante sulla percezione dello sport femminile: «È una barriera mentale, penso che siamo sottovalutate dalla popolazione maschile e, dopo tanti anni di avversità nel mondo dello sport, questo dà alle donne una spinta in più per dimostrare agli altri di essere capaci. È qualcosa di inconscio».
Una donna che vuole fare dello sport la propria vita deve combattere contro delle barriere sociali, con l’essere vista come “più debole” dalla popolazione maschile. Le donne hanno dovuto farsi spazio, per eccellere. Giorgia Bernardini, nell’introduzione di Fondamentali, storie di atlete che hanno cambiato il gioco, racconta di Roberta Gibb, che “si presentò alla partenza della maratona di Boston indossando gli indumenti del fratello, per passare inosservata e concorrere insieme agli uomini.” Questo e altri esempi raccontano come (sempre Giorgia Bernardini in Fondamentali) “le donne, per praticare sport ad alto livello [...], abbiano dovuto fare i conti con la scomparsa di sé." Nascondersi, camuffarsi, per emergere.
Nell’alpinismo, la resistenza mentale è tanto importante quanto quella fisica. Lo ha dimostrato l’impresa di Adriana Brownlee: è la testa che porta il corpo oltre i propri limiti. Stesso discorso nell’arrampicata: forza e tecnica non vanno da nessuna parte se non sono “assistiti” da lettura del movimento, gestione della fatica e controllo mentale. Si nota molto bene anche in una palestra qualunque in cui si pratica l’arrampicata amatoriale: capita di vedere persone fisicamente prestanti fermarsi davanti a passaggi particolarmente tecnici, che richiedono caratteristiche diverse dalla forza, come mobilità o flessibilità, oppure non riuscire a completare un blocco per mancanza di “tenenza” nelle dita. La gestione mentale tiene insieme tutto: la forza muscolare, la tecnica, la gestione della fatica, il controllo della paura. La mente non è declinata per genere e rende quindi uguali le prestazioni maschili e femminili. La mente è gender free.
Se da una parte la questione mentale è priva di barriere di genere, dall’altra la prestazione vincente è ciò che storicamente e tuttora definisce la “supremazia” degli uomini rispetto alle donne nel mondo sportivo. È anche per questo che le performance di Laura Rogora e Brooke Raboutou sono fondamentali per il movimento sportivo femminile in generale, non solo nel mondo dell’arrampicata. Perché, oltre a tutti i discorsi relativi alla forza, ai muscoli e alla mente, è il dato oggettivo che rimane impresso: la via è Excalibur, la stessa che hanno scalato Ghisolfi e Bosi e che i leggendari Adam Ondra e Jakob Schubert non sono ancora riusciti a completare. Il grado è 9b+.
La prestazione è sempre stata il parametro con cui si è marcata la differenza. "Le donne sono più lente degli uomini", "non saltano così in alto", "non resistono altrettanto a lungo". Nello sport, i numeri sono spesso stati usati per giustificare il gender gap. In questo caso invece la prestazione azzera le distanze, mette sullo stesso piano gli unici tre climbers al mondo che hanno scalato Excalibur. Non conta se siano uomini o donne. La prestazione unisce e rende l’arrampicata uno sport sempre più inclusivo.
Il 2025, proprio al netto delle prestazioni a cui abbiamo assistito, si può definire un anno di svolta per lo sport femminile, un anno in cui il gender gap si è assottigliato non solo nell’arrampicata, ma in tutto il panorama sportivo italiano.
Nel judo sono le donne a dominare la scena internazionale. Alice Bellandi ha conquistato l’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024, poi replicato ai Mondiali di Budapest nel 2025. Con lei, anche Assunta Scutto è salita sul gradino più alto del podio, portando a due le medaglie d’oro italiane nella rassegna mondiale, entrambe al femminile.
Nel basket femminile, la squadra italiana ha giocato un grandissimo Eurobasket 2025, vincendo la medaglia di bronzo. Risultato storico, dopo le tante delusioni degli ultimi anni, dato da un gruppo di giocatrici affiatato e coeso, che non dipende più solo dalla giocatrice italiana più forte, Cecilia Zandalasini.
Nel calcio femminile, l'Italia durante la Uefa Women’s Euro 2025 è arrivata in semifinale, giocando un ottimo europeo e riempiendo gli stadi a ogni partita. Un risultato sportivo importante, ma anche simbolico, che ha riportato il calcio femminile al centro dell’attenzione nazionale non solo per i gol, ma per ciò che rappresenta per lo sport italiano. A testimoniarlo è anche Cristiana Girelli, attaccante della Nazionale, che al Quirinale, davanti al presidente Mattarella, ha pronunciato parole che vanno oltre il campo: «Investire nello sport e nel calcio femminile non significa sostenere un settore, ma credere in un Paese più sano, più giusto e più consapevole. (...) Il calcio femminile in Italia ha compiuto passi enormi, ma ha ancora tantissima fame. Non è più una novità, è una realtà viva, bella, autentica. Ha solo bisogno di fiducia, progettualità e visione».
Arrampicata, judo, basket, calcio. Lo sport femminile riparte da qui, e per una volta si prende tutto lo spazio di cui ha bisogno. E finalmente, può contare su un seguito di pubblico sempre più ampio. La semifinale di calcio Italia-Inghilterra della Uefa Women’s Euro 2025 è stata vista da 4 milioni di spettatori, con uno share del 27,4%. Risultato notevole, se si pensa che il calcio maschile in Italia è lo sport in assoluto più seguito e la sua controparte femminile ha sempre fatto molta fatica a “farsi notare”.
La copertura mediatica è indispensabile per lo sport professionistico. Quando uno sport viene raccontato dai media, genera visibilità e la visibilità trasforma le atlete in figure pubbliche. L’attenzione mediatica aumenta la possibilità di avere sponsor, aumenta i biglietti venduti per l’evento sportivo. È un processo che si rinforza: più copertura mediatica genera interesse, che porta investimenti, che tende a portare più risultati sportivi. E più sono i risultati sportivi, più la copertura mediatica aumenta.
Le gare del Campionato del Mondo di arrampicata fanno da apripista in questo senso: alle competizioni femminili viene attribuito lo stesso identico valore di quelle maschili, la stessa copertura da parte dei media, lo stesso entusiasmo da parte di pubblico e commentatori. Può sembrare un dettaglio, ma basta pensare alla scarsa esposizione mediatica riservata al calcio o al basket femminile rispetto alle controparti maschili per capire quanto questo aspetto sia tutt’altro che scontato.
La visibilità, però, non porta solo investimenti e interesse mediatico. Genera anche effetti concreti: più fondi per le infrastrutture, più occasioni per le ragazze di trovare modelli da seguire. Anche questo crea un circolo virtuoso: nel momento in cui ci sono più risorse e più punti di riferimento, più giovani atlete si avvicineranno allo sport, consapevoli che finalmente potranno fare dello sport la propria vita e la propria carriera. E con una base più ampia, è inevitabile che emergano sempre più giovani atlete di talento.
Ogni volta che una telecamera inquadra una finale femminile con la stessa cura riservata a quella maschile, ogni volta che una giovane atleta trova un modello da seguire che le somiglia e a cui aspirare, ogni volta che una prestazione viene raccontata a prescindere dal genere di chi l’ha compiuta, lì si compie un passo verso l’abbattimento del gender gap non solo nell’arrampicata sportiva, ma in tutto lo sport. E di riflesso, anche nella società.