Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Non sappiamo ancora chi è Arkadiusz Milik
13 ott 2020
13 ott 2020
Cosa ci hanno detto sull'attaccante polacco i quattro anni passati al Napoli.
(di)
(foto)
Dark mode
(ON)

Fino a un minuto prima dalla chiusura del calciomercato ci risultava difficile credere che nessuna squadra avrebbe comprato Arkadiusz Milik. Secondo Gianluca Di Marzio ci ha provato la Fiorentina, ottenendo il rifiuto del giocatore. Prima era stato vicino alla Roma, con cui aveva persino svolto le visite mediche, ma serviva un cervellotico incastro di mercato con Dzeko, che alla fine non si è concretizzato. La scorsa settimana il Napoli ha escluso Milik dalla lista per la Serie A: l’epilogo più triste per un calciatore arrivato con grandi aspettative quattro anni fa.

 

Milik a Napoli doveva raccogliere un’eredità pesante, quella di Gonzalo Higuain, che aveva da poco stabilito il record di gol in una singola stagione di Serie A. Higuain era un calciatore tatticamente fondamentale per Sarri: capace di coniugare in modo irripetibile il lavoro di cucitura del gioco sulla trequarti alla freddezza in fase di finalizzazione. Ma è nell’immaginario dei tifosi che Higuain rivestiva un ruolo enorme. Una specie di mostro medievale, un giocatore capace di creare gol dal nulla, di piegare la realtà al suo volere. Dava la sensazione ai tifosi di giocare con Dio dalla propria parte. Higuain colmava la tradizionale attesa messianica dei tifosi del Napoli verso un calciatore dalla natura semi-divina in grado, da solo, di riscattare ed elevare le sorti della squadra.

 

Un’idea ovviamente nata con Maradona, ma che negli ultimi anni si era fatta carne in Edinson Cavani. Higuain raccoglieva a sua eredità, un altro numero nove somigliante a una bestia caricata contro le difese avversarie, capelli lunghi, corsa lunga e potente. Nelle sue partite migliori - che vinceva da solo tirando bombe impossibili dopo azioni di una fisicità disperata - la sua capacità di incidere sulle partite era inspiegabile, Riccardo Trevisani

in quella sfida contro il Dnipro.

 

Milik, quindi,

di due dei centravanti più dominanti della storia recente della Serie A. C’era la promessa implicita che, come loro, doveva caricarsi il Napoli sulle spalle, farlo diventare la “sua” squadra. Forse non tutti ricordiamo che Milik nelle sue prime partite ci stava persino riuscendo. Il suo impatto col Napoli è stato esattamente come era stato immaginato. Al suo esordio in campionato, contro il Milan, segna una doppietta.

 

https://www.youtube.com/watch?v=jLAGBM3zcEQ

 

Pochi giorni dopo festeggia l’esordio in Champions League con un’altra doppietta. Ne segna un’altra al Bologna, dove mette in porta il primo pallone toccato con un pallonetto complicato. Auriemma, il telecronista tifoso, commenta: «Un’altra maglia di Higuain che cade da un balcone di Napoli».

 

https://www.youtube.com/watch?v=jLAGBM3zcEQ

«Metti un like, su MILIK, My Like. Il mio preferito» qualsiasi cosa significhi.


 

Arriva a farne 7 in 9 partite poi si rompe il ginocchio in Nazionale contro la Danimarca.

di aver avuto paura di non riuscire più a giocare ad alti livelli, ma a febbraio era già in campo. Nel frattempo però il Napoli era diventato la squadra di Dries Mertens, o meglio: attraverso l’invenzione di Mertens falso nove è diventato il Napoli di Sarri. Una squadra la cui identità non viene riassunta da un singolo giocatore ma si scioglie nel collettivo e nel suo modo unico di giocare. Mertens è diventato il miglior attaccante del campionato. Il suo stile di gioco, creativo e raffinato, è ciò che permette al Napoli di raggiungere picchi di armonia inarrivabili. Ma Mertens è diventato anche un grande finalizzatore, capace di segnare 28 gol in un campionato. In poche parole incarna una delle utopie del calcio contemporaneo: un giocatore che segna come un numero 9 e crea gioco come un numero 10. Quello che Milik forse non sarebbe potuto diventare. Quando rientra gioca qualche mese partendo spesso dalla panchina, segna appena un gol, poi si rompe di nuovo il ginocchio.

 

È solo la stagione dopo che comincia a trovare continuità e diventa importante per il Napoli. Sarri dice che si è subito impossessato del ruolo di erede di Gonzalo Higuain. Secondo lui il Napoli è stato frettoloso col suo rientro: «È stato capace di inserirsi subito e impossessarsi del ruolo di erede di Gonzalo Higuain. L’infortunio lo ha fermato rovinosamente, ci ha fatto cambiare, ci ha fatto scoprire le qualità di Dries e poi, nel tempo, ci ha spinto ad accelerare il rientro di Arkadiusz. Milik deve stare bene e noi abbiamo fatto poco per farlo stare benissimo perché abbiamo pensato che potesse guarire in tempo record».

 

Nelle ultime due stagioni Milik non ha più avuto infortuni significativi ed è tornato a essere un giocatore importante. Ma in una squadra abituata a centravanti che diventavano capocannonieri - lo sono stati Cavani e Higuain, e Mertens con 28 gol ci è andato vicino -  è sembrato sempre non all’altezza delle aspettative. Il momento più memorabile di Milik al Napoli è negativo, quando ha sbagliato un gol all’ultimo minuto contro il Liverpool. Un’azione in cui a dire il vero è difficile decidere il confine tra l’errore di Milik e la bravura di Alisson, protagonista di una delle parate manifesto della sua onnipotenza.

 

https://www.youtube.com/watch?v=fvZmcw5wTMU

 

In questi due anni Milik si è ritagliato il ruolo dello specialista, del numero nove che deve preoccuparsi solo di finalizzare il gioco della squadra. Per questo quando ha avuto problemi a segnare, come all’inizio della scorsa stagione, ha ricevuto critiche feroci. Secondo alcuni è in quel periodo che si rompe il rapporto tra lui e la società, e comincia a tergiversare sul rinnovo del contratto.

 

Ha ricevuto un riconoscimento unanime dai suoi allenatori. Sarri lo amava e da più parti si dice che se fosse rimasto alla Juve a quest’ora Milik vestirebbe bianconero. Ancelotti lo ha definito «un grande attaccante», persino sulle orme di Shevchenko: «Non voglio dire che i due si somiglino, ma come Sheva Arek è molto presente in area ed è sveglio. Credo che segnerà molti gol». Chiunque abbia lavorato con Milik ha garantito sul suo valore. Ai tempi dell’Ajax Dennis Bergkamp arrivò a definire il suo sinistro “una bacchetta magica”. Una volta arrivato, Gattuso pareva puntare tutto su di lui, lo aveva definito “completissimo”, “il migliore a legare il gioco”, ma dopo il lockdown si è sentito tradito dal fatto che non volesse rinnovare il contratto. Le ultime partite il Napoli le ha giocate senza Milik, e Osimhen - il suo sostituto - è stato il primo calciatore acquistato dal club per la nuova stagione, il più costoso della storia. Gattuso ha detto che Milik non aveva più la testa: «Se un calciatore non ha la testa giusta, fa fatica. Bisogna rispettare ogni scelta anche se trovare un giocatore più forte di lui è difficile».

 

Fra alcuni problemi muscolari e la stagione tormentata della squadra, quello passato non è stato il miglior anno di Milik. Eppure, anche in una stagione appesantita dalle circostanze, è stato uno degli attaccanti migliori della Serie A se guardiamo ai numeri della produzione offensiva: 14 gol tra campionato e Champions con una media di 0.60 reti per novanta minuti. Se guardiamo anche agli Expected Goals p90 Milik è stato uno dei migliori attaccanti della Serie A: dietro solo a Zapata, Ronaldo, Dzeko e Muriel. Siamo quindi nella fascia più alta di rendimento delle prime punte. Milik ha mantenuto queste performance per tutte le sue stagioni al Napoli, col picco raggiunto nella prima stagione di Ancelotti, la migliore finora della sua carriera, almeno se diamo meno importanza a quelle giocate in Eredivisie.

 

Quell’anno Milik è per la prima volta al centro del progetto tecnico del Napoli, di una squadra quindi ancora basata sul controllo del gioco tramite il pallone, ma con meccanismi più fluidi e meno codificati. Gioca 47 partite (record in carriera) e segna 20 gol (ai livelli delle sue ultime stagioni all’Ajax da 23 e 24 reti). A dicembre segna 6 gol in 6 partite, tocca medie da un gol ogni 98 minuti, ne segna alcuni decisivi, come quello a Bergamo a pochi minuti dalla fine che regala i tre punti alla squadra. Un gol che lui stesso 

decisivo per la sua fiducia.

 

Del resto era il primo anno senza infortuni per Milik, il primo quindi in cui era lecito avere aspettative su di lui. Dal 2018 a oggi, poi, non ha più avuto infortuni significativi, ma quando lo guardiamo giocare è come se si portasse sempre dietro un asterisco: cosa sarebbe stato senza gli infortuni al crociato? Sarebbe stato un centravanti dominante e davvero all’altezza dei suoi predecessori a Napoli?

 

Milik del resto ha perso due anni fondamentali nello sviluppo di un centravanti ed è normale farsi domande di questo tipo. Guardando altri casi recenti, dagli infortuni al crociato si torna sempre con una mobilità ridotta, i giocatori diventano la versione minima di sé stessi. Un attaccante rischia di perdere quei decimi di secondo di reattività decisivi per vincere il duello con un difensore, per arrivare prima sulla palla, per costruirsi un tiro. Eppure guardando Milik giocare, anche con lo sguardo più severo, non sembra che il suo stile abbia risentito dei problemi fisici: rimane un attaccante dinamico, che aiuta la squadra in pressing, che svaria tanto sul fronte offensivo, che ama farsi trovare anche fra le linee per far risalire il pallone. I difetti anche, sono sempre lì: un primo controllo spesso impreciso, un gioco di passaggi fin troppo lineare e, soprattutto, l’uso esclusivo del sinistro. Una lacuna significativa, la più penalizzante per un numero 9. Sia quando deve giocare con i compagni che quando deve concludere in porta. Avere un piede solo lo rallenta, lo rende più prevedibile, lo costringe spesso a preparazioni al tiro troppo complesse.

 

Sotto porta non è implacabile, ma il suo set di smarcamenti è di primo livello. Un mix che lo porta spesso a sbagliare occasioni all’apparenza facili, come altri grandi realizzatori formidabili nel crearsi occasioni, come per esempio Dzeko o Cavani. E spesso il pubblico finisce più ricordare più facilmente gli errori che alcuni gol eccezionali segnati da Milik al Napoli. Gol in cui il suo talento si è mostrato persino autosufficiente. Il gol su punizione al 90’ contro il Cagliari (un fondamentale per cui dice di aver studiato da Drogba e David Luiz); quello segnato alla Roma, dopo un controllo di tacco, una giravolta e un tiro secco sotto la traversa.

 

https://www.youtube.com/watch?v=O-8KaEvEQq4

 

Pur trovandosi a proprio agio con un solo piede, stiamo pur sempre parlando di un grande piede. La potenza e la precisione con cui calcia in porta da qualsiasi posizione è eccezionale e ha pochi paragoni. E non c’è forse una qualità che ci emoziona di più di un centravanti nel rapporto violento col pallone nel momento di tirare, e in pochi trovano la potenza di Milik, pur sapendo scegliere soluzioni anche precise e morbide. Basta saper tirare così per giocare centravanti ad alti livelli?

 

In un pezzo di quattro anni fa, quando Milik giocava ancora all’Ajax e non era chiaro quale potesse essere la sua futura destinazione, mi ero chiesto quale fosse il suo livello. Se fosse un attaccante di prima fascia, che costringe le squadre in cui gioca a ruotare attorno alle sue caratteristiche, oppure un semplice finalizzatore. Non credo che questi quattro anni abbiano dato una risposta definitiva: Milik ha dato segnali ambigui. Se da una parte ha giocato sempre piuttosto bene, dall’altra ha giocato fin troppo poco. Se al Napoli la sua titolarità è stata sempre in discussione non è solo a causa degli infortuni alle ginocchia.

 

Sarebbe stato bello vederlo alla prova in un ambiente diverso, avremmo guardato al suo gioco con occhi freschi. Invece, dopo i due anni persi per infortunio, Milik sembra dover restare fermo altri mesi. Una scelta che forse non dipende interamente da lui ma a che fare col tema dei rapporti controversi fra i calciatori - che oggi hanno un grande potere - e le società più autoritarie, come il Napoli. In un'intervista rilasciata in Polonia Milik

alla società del mancato trasferimento, e che la società non parlava con le società interessate: «Il Napoli non comunicava coi club dove sarei voluto andare. Non penso che un giocatore possa essere messo da parte in questo modo per tanti mesi, non è giusto». Nei mesi precedenti, ha detto, gli era stato proposto un contratto di cinque anni: «O firmi o vai via», e lui ha deciso di voler provare una nuova esperienza.

 

A gennaio potrà accordarsi con la squadra che preferisce (Juventus? Roma? Tottenham?). Tra sfortuna e scelte sbagliate, speriamo non si sia fatto troppo tardi.

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura