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Giacomo Moccetti
Il divino Shohei Ohtani
26 mar 2024
26 mar 2024
Era da circa un secolo che non si vedeva un giocatore di baseball come il giapponese.
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Giacomo Moccetti
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IMAGO / Penta Press
(foto) IMAGO / Penta Press
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«The best against the best». Il telecronista di MLB TV non trova altre parole per descrivere quello che sta per andare in scena al LoanDepot Park di Miami. È la finale del World Baseball Classic 2023, il Mondiale di baseball, un torneo che ha luogo ogni quattro anni (ma che causa pandemia non si disputava dal 2017) e che – a differenza di quanto accade nel basket e nell’hockey – presenta i migliori giocatori del pianeta, perché la MLB lo utilizza come vetrina per promuovere il suo sport nel mondo. E quale miglior spot di un ultimo atto che si decide con lo scontro tra i due migliori giocatori in circolazione?

Da una parte, sul monte di lancio, c’è Shohei Ohtani, chiamato a eliminare un ultimo battitore per regalare il titolo al Giappone. Dall’altra, sul piatto di casa base, è pronto in battuta Mike Trout, che deve trovare il modo di tener viva la partita che gli Stati Uniti stanno perdendo per 3 a 2. Ohtani e Trout sono unanimemente riconosciuti come i più forti giocatori del pianeta. E il bello è che militano nella stessa squadra, i Los Angeles Angels. Sono compagni da cinque anni, condividono lo stesso spogliatoio tutta la stagione, dove giocano insieme 162 partite di regular season. E ora si ritrovano uno di fronte all’altro. In televisione il co-commentatore si rende conto della difficoltà a dire qualcosa all’altezza: «Non ho molto da dire se non “enjoy!”». È un momento irripetibile.

Ohtani è uno starting pitcher, cioè un lanciatore che comincia la partita e lancia i primi cinque-sei inning, prima di lasciare il posto ai compagni. Qui invece, eccezionalmente, viene mandato sul monte di lancio come closer, per chiudere la partita e mettere in cassaforte la vittoria nell’ultimo inning. Non è il suo ruolo abituale, l’ultima volta che si era trovato in quella posizione era il 2016 e giocava ancora nel campionato giapponese. E infatti non è partito benissimo, e i primi due battitori avversari sono stati eliminati grazie a un doppio gioco della difesa. Ma adesso che si presenta Trout, tutto il Giappone sa che ci vuole il miglior Ohtani. Non si sono mai affrontati, i due. Lo hanno fatto senz’altro in qualche sessione di allenamento, ma mai seriamente. Mai con qualcosa in palio.

Il primo lancio di Ohtani è sbagliato, fuori dall’area di strike, troppo basso. Trout rimane fermo e si prende il primo ball: se arriva a quattro può andare in prima base. A questo punto c’è un momento in cui la regia televisiva propone contemporaneamente il primo piano di entrambi, ed è impossibile non notare la differenza di sguardo. Ohtani non ha paura, sta solo pensando a come eliminerà il suo avversario. Dagli occhi di Trout invece è come se trapelasse un leggero timore. Forse perché sa cosa potrebbe accadere a breve.

Ohtani tira un missile centrale, una fastball che il computer misura alla velocità di 100 miglia orarie. Non so se avete mai preso in mano una palla da baseball, la prima volta che la si tocca si rimane sempre stupiti per quanto sia dura. Sono 142 grammi di vari materiali compressi con un nucleo di sughero. È molto dura. Ecco, immaginatevela lanciata a 160 chilometri orari. Trout va per colpirla, ma quando arriva a quello che si presume debba essere il punto di impatto, la palla è già passata, e la mazza gira a vuoto. Primo strike. Il telecronista si mette a ridere.

Il Giappone ha bisogno di altri due strike per vincere. Dal braccio di Ohtani parte un nuovo proiettile a 100 miglia orarie, ma questa volta la traiettoria è storta, la palla esce dalla zona di strike, e Trout, glaciale, non si muove e si mette in tasca il secondo ball. Trenta secondi e Ohtani lancia ancora, ancora troppo veloce per Trout che gira a vuoto la mazza per la seconda volta.

Trout mastica amaro, quasi in maniera letterale. Lo si vede mordere la gomma da masticare con lo sguardo di chi si sente punto nell’orgoglio. Poi prende un grosso respiro. Non può più sbagliare, non può più mancare la palla. A Ohtani sembra scappi quasi da ridere, e sbaglia il lancio. Come quando un tennista fallisce il primo match ball, fregato dall’emozione. Tre ball, due strike, conto pieno. Significa che se il prossimo lancio è un ball, Trout guadagna la prima base. Se è uno strike, Trout è eliminato. Un Mondiale in un lancio, tra i due giocatori più forti del mondo. Come dirà in seguito il prima base giapponese Kazuma Okamoto: «Sembrava di essere in un manga».

Sugli spalti si sente di tutto: applausi, fischi, cori, incitazioni. È un clima surreale, con uno stadio americano a un passo dall’inchinarsi a un altro Paese in quello che è il proprio sport nazionale. «Il baseball ha vinto, stasera», dicono in telecronaca. È senz’altro così. Ma a vincere è soprattutto Ohtani, eroe da manga in carne ed ossa, che cambia tipo di lancio nel momento decisivo e fa partire una slider a 87 miglia orarie. Trout gira la mazza con tutta la forza che ha, ma manca la pallina. Il Giappone è campione del mondo. Ohtani apre le braccia e si mette a urlare, scaraventa via il guantone, si toglie il cappellino e lancia a terra pure quello. Poi è tutto un saltare e un abbracciarsi con i compagni di squadra. La festa sfrenata dura meno di un minuto, fino a quando Ohtani si rivolge alla tribuna con un mezzo inchino, ringraziando, e recupera la sua naturale compostezza. Ha vinto, ma ha la faccia di chi in fondo ha fatto il proprio dovere.

Perché proprio questo giocatore giapponese è considerato il migliore al mondo, tra quelli in attività, e tra i migliori della storia? Ohtani è un fortissimo lanciatore e allo stesso tempo un fortissimo battitore. Questo lo rende unico, perché solitamente chi lancia si limita ad essere bravo in quell’esercizio specifico. Il pitcher del baseball è un po’ come il quarterback del football o il portiere del calcio: svolge un ruolo totalmente diverso dagli altri, per il quale ci vuole una specializzazione sviluppata negli anni. Spesso i lanciatori sono dei pessimi battitori, per il semplice fatto che essere efficaci nel colpire con la mazza non è una qualità a loro richiesta. Alcuni possono essere discreti se chiamati in battuta, ma nessuno colpisce con la qualità dei propri compagni di movimento. Ohtani non solo è un ottimo battitore: è uno dei migliori. Nell’ultimo campionato è stato il giocatore dell’American League (una delle due leghe in cui è suddivisa la MLB) che ha battuto più fuoricampo, nonostante abbia saltato l’ultimo mese di regular season a causa di un infortunio.

Nel baseball i numeri dicono quasi tutto, ci sono una miriade di statistiche che permettono di misurare il valore dei giocatori con una certa precisione. I numeri di Ohtani dicono che è il più forte, ma basta seguire anche distrattamente il baseball per accorgersi empiricamente di come le sue caratteristiche da two-way player siano imparagonabili con quelle di qualsiasi altro giocatore. Per trovare qualcosa di simile è necessario tornare ai tempi di Babe Ruth, il leggendario giocatore di Red Sox e Yankees considerato da molti come il più grande della storia del gioco, che viene ormai costantemente utilizzato come termine di paragone per il giapponese. Ed è la prima volta nella storia del baseball che qualcuno può essere accostato a Ruth – che giocò tra gli anni ’10 e gli anni ’30 del secolo scorso – senza fare lesa maestà. Babe Ruth era un formidabile lanciatore e un fenomenale battitore, e dopo un secolo ecco qualcuno che lo ricorda, che gli assomiglia, che gli è vicino. E il fatto che l’opinione pubblica degli Stati Uniti sia sostanzialmente d’accordo ci dice che la cosa è seria.

Qualcuno è andato addirittura oltre, facendo notare che Ruth ebbe di fatto due carriere separate, una in cui lanciava e una successiva in cui batteva (senza più lanciare), mentre Ohtani fa entrambe le cose contemporaneamente. Ma questo è troppo anche per gli Stati Uniti. Il baseball non è ancora pronto all’idea che un giapponese possa essere il migliore di sempre.

I numeri, come dicevamo, sono impressionanti, e ogni stagione il campione giapponese fa registrare nuovi record. Senza addentrarci in un elenco interminabile di premi e primati che ne hanno contraddistinto i suoi primi sei anni in MLB, basti sapere che Ohtani è stato eletto due volte MVP dell’American League, nel 2021 e nel 2023, in entrambi i casi con voto unanime, cosa mai accaduta prima nel baseball. Il paradosso è che a quasi trent’anni (è nato nel 1994 a Oshu, nel nord del Giappone) Ohtani non ha vinto nulla a livello MLB, ovvero all’unico livello che conta davvero. La sfilza di premi individuali fa da contraltare a un palmares di trofei di squadra molto povero, dove si contano giusto un titolo giapponese e il citato World Baseball Classic. Ma più che la mancanza di trofei – in fondo in MLB ce n’è in palio solamente uno all’anno, le World Series – a fare effetto è il fatto che Ohtani non abbia mai disputato una partita di playoff del campionato americano. Una mancanza dovuta alle scelte di carriera fatte in giovane età, che potrebbero di primo acchito apparire sbagliate e che invece fanno parte di un disegno più ampio e complesso.

In Giappone il baseball è una sorta di religione: introdotto nelle scuole da un professore americano nella seconda metà dell’Ottocento, nel giro di pochi decenni è diventato lo sport più popolare del Paese, praticato diffusamente a livello giovanile. Shohei Ohtani come molti suoi connazionali è cresciuto con mazza e guantone, e ha visto sbocciare il suo talento negli anni del liceo. Un talento così cristallino da attirare l’interesse di diversi club americani. Solitamente i grandi campioni giapponesi prima di cercare fortuna negli Stati Uniti si affermano nel campionato nazionale, ma il giovane Ohtani ha in testa per sé un piano diverso: al termine dell’high school vuole subito volare negli USA e cominciare lì la sua carriera da professionista.

Si fanno avanti anche alcune grandi franchigie come Yankees e Dodgers, questi ultimi diventano la destinazione prescelta dal diciottenne. Ma c’è un problema: i Dodgers non se la sentono di garantirgli un impiego come two-way player, è qualcosa che non si vede da Babe Ruth, è qualcosa che non esiste più nel baseball contemporaneo. Ohtani, che sa di poter essere ugualmente decisivo in entrambi i ruoli, accetta allora la corte degli Hokkaido Nippon-Ham Fighters e rinuncia alla MLB. In cinque anni nel massimo campionato professionistico giapponese fa sia il lanciatore che il battitore, evolvendo sotto entrambi gli aspetti e convincendo le franchigie americane di essere speciale. Così quando nel 2017 è nuovamente disponibile per intraprendere la carriera statunitense, piovono proposte di ingaggio come giocatore dal doppio ruolo. Tutti hanno capito che Shohei Ohtani è unico. In quel momento ha ventiquattro anni, e per le regole d’ingaggio del campionato deve entrare come rookie seguendo una scala salariale predefinita. Pertanto nella scelta del club l’aspetto economico è ininfluente, e Ohtani opta per una realtà importante ma senza pressioni esagerate: i Los Angeles Angels.

Seconda franchigia della metropoli californiana con base ad Anaheim, gli Angels hanno tra le loro fila Mike Trout. Sono ambiziosi ma non hanno l’eco mediatica dei Dodgers. Ohtani sa che per i soldi e per i trofei ci sarà tempo più avanti, quando diventerà free agent allo scadere dei sei anni di contratto. Gli Angels sono la scelta di chi è già sicuro del proprio futuro, ma anche di chi cerca di avere un controllo sul proprio presente quasi da sceneggiatore. O che almeno sembra averlo. Ohtani sceglie infatti di andare a giocare ad Anaheim anche come il personaggio principale di un celebre manga giapponese, Major, dove il protagonista è in grado di lanciare ad oltre cento miglia orarie ma pure di battere fuoricampo. Un caso?

Il primo fuoricampo in MLB di Ohtani.

L’impatto di Shohei Ohtani in MLB è semplicemente grandioso. Vince il premio di rookie dell’anno nella sua lega e diventa il primo giocatore da Babe Ruth a mettere insieme in una stagione almeno venti fuoricampo e dieci presenze come lanciatore. Basta questo dato per far capire che dal Giappone è arrivato qualcuno che si è visto raramente su un campo da baseball.

Nelle successive stagioni Ohtani è una macchina di lanci, di punti e di record. Per le serate in cui gioca viene coniato lo slogan “It’s Shotime”, perché vederlo sul monte di lancio o in battuta è un momento di festa. Gli Angels nelle sei stagioni di Ohtani – dal 2018 al 2023- faticano, non riuscendo mai a qualificarsi per la postseason, ma questo non impedisce al giapponese con il numero 17 di vincere due volte il premio di MVP dell’American League (in MLB non esiste un unico premio per il miglior giocatore del campionato, ne viene assegnato uno per lega) e di diventare il miglior giocatore sulla piazza. Come ha scritto il Washington Post, Ohtani fa cose che “scombussolano la mente”. È capace, nello stesso giorno, di lanciare una partita completa senza concedere neppure un punto agli avversari (una rarità) e battere due fuoricampo un paio d’ore dopo, nella partita successiva (nel baseball accade di avere in calendario due match consecutivi contro gli stessi avversari, il cosiddetto doubleheader). “Fa cose che non erano mai state fatte prima”, per l’appunto, ma al tempo stesso ha qualcosa di famigliare perché “tutti coloro che hanno giocato a baseball da bambini avevano quel compagno che era il più forte sia a battere che a lanciare”.

Un giorno da Shohei Ohtani.

Spiegarsi l’origine dell’eccezionalità di Ohtani è diventato uno degli esercizi preferiti degli addetti ai lavori. Che abbia delle qualità innate è evidente, ma il giapponese possiede pure una capacità incredibile di migliorarsi in continuazione. In particolare ha saputo sviluppare in maniera consistente il ventaglio di lanci a disposizione. Ogni pitcher solitamente ha infatti alcune tipologie di lancio che utilizza nella maggior parte dei casi. Ohtani in sei anni di MLB ha incrementato il suo numero di opzioni quando affronta i battitori con una velocità di apprendimento sorprendente. Qualcuno l’ha definita “un’abilità olistica” che gli permette di “sviluppare, affinare ed eseguire lanci estremamente difficili apparentemente da un giorno all’altro”. Per alcuni è una questione di propriocezione fuori dal comune che fa sì che le proprie dita (con le quali si dà l’effetto alla palla) eseguano perfettamente quanto ordina loro la mente, senza che siano necessarie ore e ore di allenamento. Certamente Ohtani sfrutta i suoi turni in battuta per studiare i lanci dei migliori pitcher avversari e carpirne i segreti, un’opportunità che gli altri lanciatori, non andando in battuta, non hanno. Il suo manager agli Angels ha ammesso di essere stupito «dal modo in cui riesce a manipolare la palla da baseball. Non ho mai visto qualcuno farlo così bene». E lo stesso Ohtani non ha mai voluto parlare di questa sua abilità in intervista, mantenendo intorno a sé un alone di mistero. Ma è tutto ciò che riguarda Shohei Ohtani, in realtà, ad essere avvolto dal mistero.

Da quando è in MLB Ohtani si esprime pubblicamente solo attraverso un interprete. Sono oltre sei anni che vive e gioca negli Stati Uniti, è improbabile che non sappia parlare l’inglese, eppure tutto ciò che dice è filtrato da un traduttore. Non avere mai la possibilità – a meno che non si conosca il giapponese - di sentire quanto dice direttamente da lui, lo rende un personaggio inavvicinabile. Una delle rarissime occasioni in cui si è espresso in inglese è stata la serata di gala in cui è stato premiato con l’MVP 2023: in quell’occasione Ohtani ha letto un discorso di un paio di minuti. Ma quando si tratta di rispondere a delle domande, di stabilire una comunicazione, di intraprendere una conversazione, ecco il filtro dell’interprete.

Di Ohtani si è visto tanto in campo, ma si è capito poco fuori. È come se la sua vita fosse organizzata per rimanere enigmatica agli occhi dell’opinione pubblica. L’ultimo episodio è stato quando ha annunciato con un post su Instagram il proprio matrimonio. Non si sapeva neppure avesse una fidanzata, e lui in poche righe ha spiegato di essersi sposato con “qualcuno che arriva dal mio Paese natale, che è molto speciale per me”. Nessun nome, nessuna foto, nessun indizio. Quando gli è stato chiesto in intervista chi fosse la fortunata sposa, il suo interprete ha risposto: «Una normale donna giapponese». Solo dopo alcune settimane ne ha rivelato l’identità. Ohtani è sempre cordiale e sorridente, ascolta (e l’impressione è che capisca anche) le domande, si prende il tempo per rispondere. Ma mantiene la distanza.

C’è poi il mistero sul “metodo Harada”. Quando frequentava il liceo, Ohtani si è affidato a questa tecnica di crescita personale piuttosto popolare in Giappone ma poco conosciuta fuori dai suoi confini, ideata dall’insegnante Takashi Harada. Il Wall Street Journal è entrato in possesso dei grafici – utilizzati in questo metodo per mettere a fuoco le aree in cui è necessario evolversi – che il quindicenne Ohtani aveva redatto per diventare un uomo e un giocatore migliore. Tra le aree chiave in cui svilupparsi attraverso compiti quotidiani vi erano quelle legate al baseball, ma pure la pulizia della stanza, la lettura di un numero maggiore di libri, la raccolta di rifiuti: mansioni per crescere a 360 gradi. Che il metodo Harada sia stato importante è fuori discussione, il punto è che non si sa quanto lo abbia influenzato e in cosa lo abbia aiutato. Neppure si sa se lo segua ancora adesso. È evidente che conoscere il percorso fatto seguendo questa tecnica aiuterebbe a capire qualcosa in più. Gli Angels, interrogati a proposito, hanno solamente confermato che Ohtani ha seguito il metodo Harada, senza specificare se lo faccia tuttora. Il diretto interessato declina domande sull’argomento, e i suoi insegnanti giapponesi hanno rifiutato di farsi intervistare in merito. E così Shohei Ohtani continua ad apparire come qualcuno giunto da un altrove lontano.

Di lui possiamo dire con certezza che è una persona dotata di estrema gentilezza, perlomeno in pubblico, dove si comporta esattamente come ci si aspetterebbe da un giapponese. Quando nella sua prima stagione in MLB ha incontrato il connazionale Ichiro Suzuki, leggendario giocatore dei Seattle Mariners, Ohtani si è tolto il cappello e si è inginocchiato. Non per una gag, ma per mostrare sincero rispetto al suo idolo d’infanzia. Tutti i comportamenti sono all’insegna dell’umiltà, è anche quello che raccontano i suoi compagni. Lars Nootbaar, esterno dei St. Louis Cardinals che ha avuto la possibilità di conoscere bene Ohtani durante il World Baseball Classic (al quale ha partecipato con il Giappone per via delle origini giapponesi della madre), ha scritto che “la persona è persino migliore del giocatore di baseball”. Per spiegarlo ha raccontato di come nello spogliatoio, nonostante secondo la tradizione giapponese si debba portare estremo rispetto per chi è più anziano, Ohtani abbia chiesto ai compagni più giovani di essere trattato come fossero coetanei. “Non ho mai conosciuto nessuno che si sente così a proprio agio nella propria pelle”, ha chiosato Nootbaar.

Non tutto è perfetto nella vita di Shohei Ohtani, però. C’è una crepa, e si chiama Tommy John Surgery (TJS), l’incubo di ogni lanciatore. Chiamata con il nome del primo pitcher che si sottoposte all’intervento, la TJS è la sostituzione del legamento collaterale ulnare del gomito mediale con un tendine preso da un’altra parte del corpo. È un intervento chirurgico al quale diversi lanciatori devono sottoporsi a causa dell’estremo stress che soffre il braccio con cui lanciano. Viene effettuata per rimediare all’usura causata dai lanci ad altissima potenza, e ha come maggiore controindicazione i tempi di recupero: per tornare a lanciare in partita ci vuole circa un anno e mezzo. Ohtani ha dovuto sottoporvisi nel 2018, al termine della sua prima stagione negli Stati Uniti. In questi casi qualche dubbio sulla capacità di tornare ai propri livelli c’è sempre, ma il giapponese nel 2020 si è ripresentato sul monte di lancio come al solito. Il gomito, però, è tornato a presentare il conto nel corso del 2023. Ohtani ha dovuto sottoporsi a un’altra operazione chirurgica – simile alla TJS ma differente – per curare uno strappo allo stesso legamento. Conseguenze: nell’autunno 2023 è entrato sul mercato come free agent dopo la scadenza del contratto con gli Angels, con l’incognita di quando e come potrà tornare a lanciare, certamente non prima del 2025. Questo però, si è poi capito, non gli ha creato alcun problema.

Quale potesse essere la destinazione di Ohtani una volta “liberatosi” dagli Angels era la grande domanda del mondo del baseball nel 2023. Il giocatore più forte del mondo, forse il più forte di sempre, aveva la possibilità di andare a giocare dal miglior offerente. Quando si è entrati nel vivo delle trattative e delle speculazioni, è parsa come destinazione molto plausibile quella dei Los Angeles Dodgers: vicini a casa (di fatto Ohtani non avrebbe neppure dovuto traslocare), squadra molto forte, marchio popolare in tutto il mondo (chi non ha in mente i cappellini con le lettere LA?), disponibilità economica. Ma le franchigie che sognavano di ingaggiare Ohtani erano tante, dalle due di New York ai Chicago Cubs, dai San Francisco Giants fino ai Boston Red Sox. Tra le varie pretendenti figurava anche la squadra dei Toronto Blue Jays. E i canadesi nelle convinzioni di milioni di appassionati di baseball sono stati la nuova franchigia di Ohtani per alcune ore.

È accaduto venerdì 8 dicembre 2023. I beninformati avevano annunciato che la decisione di Ohtani sulla nuova squadra sarebbe stata imminente, e quel giorno – seguendo una logica irrazionale ma tipica del passaparola incontrollato da social – si è diffusa la convinzione che Ohtani stesse volando in Canada per firmare con i Blue Jays. Difficile stabilire da dove sia partita quella che si è poi rivelata una speculazione senza fondamento, certamente ad alimentarla è stato un autorevole MLB insider come Jon Morosi, che su X ha scritto che il giapponese era effettivamente in viaggio per Toronto. Quando poi sui siti di tracciamento aereo qualcuno ha notato un jet privato che partiva dall’aeroporto di Santa Ana, nella medesima contea di Anaheim, in direzione Toronto, la psicosi è esplosa: decine di migliaia di persone hanno seguito il volo convinte di assistere a un momento storico. All’aeroporto di Toronto hanno cominciato ad accorrere tifosi, fotografi e giornalisti, tutti lì per lo sbarco di Ohtani nella periferia canadese della MLB. Peccato che su quel jet non ci fosse davvero Shohei Ohtani, ma viaggiasse, all’oscuro di tutto, l'uomo d'affari Robert Herjavec coi suoi figli piccoli. Nella ricostruzione a posteriori di quella folle giornata, Herjavec ha raccontato che pochi minuti dopo l’atterraggio si sono presentati dei doganieri che con sua grande meraviglia gli hanno chiesto dove fosse Ohtani.

Il giorno dopo, sabato 9 dicembre, i Los Angeles Dodgers hanno annunciato di aver trovato un accordo con Shohei Ohtani. Quella di Toronto era una bufala, e l’insider Jon Morosi si è scusato con i suoi follower. Ohtani, dopo sei anni in cui si è costruito uno status da grandissimo in una piazza senza pretese di vittoria, ha scelto di andare nella franchigia più competitiva che ci fosse. Perché adesso vuole vincere, o così immaginiamo, dato che continua a non parlare. Al contempo, si è assicurato il contratto più ricco mai firmato nella storia dello sport americano: 700 milioni di dollari in dieci anni. Chi si chiedeva se l’impossibilità di lanciare fino al 2025 avrebbe spinto al ribasso le offerte economiche per il giapponese ha avuto una risposta chiara. Le chiacchiere sulla cifra da capogiro ottenuta da Ohtani hanno poi ceduto il passo alle analisi dell’accordo firmato con i Dodgers, che si è scoperto essere basato sui “pagamenti differiti”, come vengono chiamati in gergo. Dal 2024 al 2033 Ohtani incasserà "solamente" due milioni l’anno: gli altri 680 gli verranno versati in dieci rate annuali tra il 2034 e il 2043, quando sarà ormai un ex giocatore. La formula del contratto permette ai Dodgers di risparmiare sul monte ingaggi attuale, e l’agente di Ohtani ha spiegato essere stata un’idea del giapponese quella di differire il pagamento per lasciare spazio salariale alla sua nuova squadra. Me è davvero così? O è stato l’agente a consigliargli di fare bella figura? Con Ohtani non si sa mai. I pagamenti dilazionati, comunque, nel baseball non sono una novità, e non bisogna dimenticare i vantaggi fiscali di un accordo simile: andando a vivere all’estero una volta chiusa la carriera con il baseball, Ohtani potrà pagare molte meno tasse di quelle che gli chiederebbe attualmente la legislazione californiana. Niente nella sua carriera è lasciato al caso.

Alcuni giorni fa l’ambiente protetto in cui si muove Ohtani è stato scosso da una notizia inaspettata: mentre era a Seoul per giocare contro i Giants due partite di antipasto alla stagione regolare, l’interprete Ippei Mihuzara è stato licenziato in tronco dai Dodgers, dopo la scoperta che quest’ultimo era stato coinvolto in un giro di scommesse sportive illegali. Mihuzara avrebbe sottratto oltre 4 milioni di dollari a Ohtani per coprire i suoi debiti di gioco. Ohtani, che non è indagato e tramite i suoi legali ha sporto denuncia contro il suo ormai ex traduttore, si è trovato improvvisamente sotto tiro. Il giocatore giapponese ha ribadito la sua estraneità alla vicenda, respingendo qualsiasi illazione di un suo coinvolgimento diretto nelle scommesse, e sottolineando come la scoperta di questo tradimento lo abbia intristito e scioccato. Mentre spiegava la sua posizione ai giornalisti esprimendosi esclusivamente in giapponese, il suo sguardo pareva però così turbato. «Non vedo l’ora di concentrarmi sulla nuova stagione», ha chiosato. E pochi minuti dopo era in campo ad allenarsi.

Prima partita, primo fuoricampo.

Con la partenza della regular season, che inizia il 28 marzo, le discussioni sul suo contratto e sul caso Mihuzara si allontaneranno, mentre cresce il desiderio di vederlo di nuovo in campo. Il suo nuovo manager ai Dodgers, Dave Roberts, dopo poche settimane di allenamenti ha spiegato come stia imparando che Ohtani «is built differently», «è costruito in maniera diversa». «È un unicorno», ha detto invece l’allenatore degli Stati Uniti, Mark DeRosa. Lui, al debutto con la sua nuova maglia in un’amichevole pre stagione, ha battuto un fuoricampo.

700 milioni sarebbero tanti per chiunque da portare sulle spalle. Ohtani, invece, continua a giocare con attenzione e serenità dipinte sul volto.

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