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Il miglior allenatore: Antonio Conte
21 mag 2021
21 mag 2021
Antonio Conte ha vinto il campionato, e anche il premio di miglior allenatore dell'anno.
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Illustrazione di Andrea Chronopoulos
(foto) Illustrazione di Andrea Chronopoulos
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In fondo è un premio logico. Il miglior allenatore dell’anno non poteva essere che l’allenatore della miglior squadra, l’unica che ha giocato un campionato al di sopra di tutte le altre, come ha avuto modo diribadire compiaciuto Antonio Conte prima della trasferta a Torino contro la Juventus. «Avevo pronosticato un campionato equilibrato e lo è, tranne che per l'Inter. Noi abbiamo preso un'altra strada e siamo andati dritti fino al traguardo. Dietro l'Inter c'è un equilibrio che si protrarrà fino all'ultima giornata. Noi abbiamo fatto qualcosa di straordinario e il merito va ai calciatori».Conte non ha comunque vinto senza avversari. Gian Piero Gasperini avrebbe potuto essere premiato per la quarta volta negli ultimi cinque anni. L’Atalanta ha in pratica replicato lo scorso campionato, si è qualificata per la terza volta di fila in Champions League, può ancora battere il record di punti (78) e vittorie (23) e ha sempre il miglior attacco della Serie A. Forse però è stata proprio l’impressione di aver ripetuto qualcosa di già fatto, di non essersi davvero migliorata, ad aver reso un po’ più normale, almeno agli occhi di chi ha votato, un’impresa comunque straordinaria, considerate le risorse dell’Atalanta.Il terzo incomodo era invece Vincenzo Italiano, e forse a conti fatti nessun altro allenatore ha avuto un impatto così grande, è riuscito ad andare così oltre i limiti della rosa. Lo Spezia sembrava condannato alla retrocessione prima ancora di iniziare il campionato, e invece non è quasi mai stato trascinato in una delle ultime tre posizioni, grazie a unaproposta di gioco ambiziosa, anomala rispetto alle altre squadre coinvolte nella lotta per la salvezza, capace dimandare in crisi il Milan, allora capolista, e di battere squadre come il Napoli e il Sassuolo.Alla fine però l’Inter è stata troppo superiore, ha imposto un ritmo insostenibile per le altre, e la scelta di Conte è stata la più sensata che si potesse fare. L’impronta di Conte sull’Inter era già ben visibile lo scorso anno - parliamo di un allenatore che impone un gioco tra i più definiti ai massimi livelli -, stavolta però il tecnico pugliese ha fatto qualcosa in più. È intervenuto a stagione in corso, ha integrato nel sistema giocatori che sembravano averlo rigettato (in parte Skriniar, viste le difficoltà avute l’anno scorso, e poi ovviamente Eriksen e Perisic), e tutto questo senza cedere sui suoi princìpi, senza farsi influenzare dalla nebulosa situazione a livello societario.«Chi è stato allenatore qui capisce che è una situazione complicata, devi entrarci dentro e stare anche al gioco ma senza snaturarti», hadetto Conte dopo aver vinto lo scudetto. «Penso sia stato apprezzato anche da parte dei tifosi, inizialmente scettici per il mio passato. Ho sposato la causa come in qualsiasi altro posto mi fossi trovato. L’Inter mi ha preso per tornare a vincere: esserci riuscito in due anni, sfiorando l’Europa League al primo anno, mi riempie di soddisfazione perché non è stato facile».Forse è il primo merito di Conte: aver isolato la squadra, aver toccato le corde giuste per farla concentrare solo sul campo, senza altre distrazioni, anche se, comedetto da Conte a febbraio dopo la sconfitta in Coppa Italia contro la Juventus, la situazione era particolare e il progetto si era fermato ad agosto.Per certi versi è stata anche una coincidenza fortunata. In altre condizioni magari Sánchez sarebbe stato scambiato con Dzeko, e l’Inter avrebbe perso il contributo che il cileno ha poi dato in alcuni momenti cruciali (la doppietta con il Parma, l’assist per Lautaro Martínez contro il Torino). O ancora, ed è forse un’ipotesi ancora più vicina alla realtà, Eriksen sarebbe stato ceduto a stagione in corso e l’Inter non avrebbe trovato la forma definitiva, quella che le ha permesso di dominare la seconda metà del campionato, con tredici vittorie e due pareggi prima che lo scudetto diventasse una certezza matematica, con quattro turni ancora da giocare.A quel punto la trasformazione era già completa. A inizio stagione l’Inter era una squadra che creava, e sprecava, molto, fragile a livello difensivo in particolare nelle transizioni a palla persa, e col passare dei mesi è diventata invece una squadra solida nel senso più comune che intendiamo in Italia. E cioè, una squadra che si faceva bastare quello che creava, attaccando spesso in transizione, e che concedeva pochissimo.Per Conte è stata la svoltadecisiva: «Prendevamo troppi gol, chi vuole vincere ha bisogno dell’equilibrio: la squadra ha imparato a conoscere le diverse situazioni nella stessa partita. Una squadra matura sa come comportarsi durante la partita: serve essere preparati e i ragazzi devono essere in grado di riconoscerle».A metà campionato l’Inter aveva concesso 23 gol e aveva tenuto la porta imbattuta cinque volte nelle prime 19 giornate. Nel girone di ritorno le partite con la porta imbattuta sono quasi raddoppiate (9) e i gol subiti si sono dimezzati (11, ma fino allo scudetto erano stati appena 6). Nel frattempo sono calati anche i gol segnati ma non in modo così notevole (45 nella prima metà, 39 nella seconda), e il potenziale offensivo è comunque rimasto di alto livello anche se la squadra aveva abbassato il baricentro e passava meno tempo nella metà campo avversaria.Nel percorso anche Conte sembra essere cambiato, in senso inverso rispetto alle prestazioni della squadra. Sereno nei momenti difficili, sempre attento a sottolineare le cose positive, a vedere il bicchiere mezzo pieno («Spesso e volentieri quando ci tirano ci fanno gol. Questo è un dato di fatto. Ma io non ne voglio parlare perché sembra che uno voglia vedere il bicchiere sempre mezzo pieno»,aveva detto dopo il pareggio contro l’Atalanta), polemico mentre l’Inter volava verso lo scudetto e il suo gioco veniva criticato, più vicino all’immagine che ci siamo fatti di Conte, sempre in trincea contro avversari e critici, con l’aggiunta di un canale più diretto come il profilo personale su Instagram, uno spazio usato in modo originale per approfondire dettagli tattici e, di riflesso, per mostrare l’inconsistenza di certe critiche fatte al gioco dell’Inter.

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Alla fine anche Conte haammesso di aver vissuto l’ultimo successo in modo diverso rispetto al passato: «Dietro queste vittorie c'è tanta sofferenza da parte di tutti. Mi è capitato tante volte di non godermi le gioie, ora voglio godermela fino alla fine». Ora resta solo da vedere se questa versione rilassata, leggera, resisterà alle incertezze societarie che ancora non permettono di vedere con chiarezza il futuro dell’Inter. In un certo senso per Conte lo scudetto è stato un sollievo, un peso tolto dal cuore dopo la prova più grande della propria carriera, in cui ha mostrato tutto il lavoro fatto su sé stesso, per resistere e andare avanti anche se poche cose attorno a lui funzionavano come avrebbevoluto: «Io non ho mai mollato di una virgola, mi sono superato in questi due anni all'Inter. Ho dovuto mettere tutto me stesso. È stata l'impresa più difficile per diversi motivi. Non mi aspettavo alcune difficoltà dell'ambiente Inter. Aver vinto a Milano con l'Inter mi dà grandissima soddisfazione, perché so che non è per tutti».

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