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Nicola Palmiotto
Antologia americana
15 giu 2016
15 giu 2016
La difficile strada di Jake Arrieta, uno dei migliori lanciatori della MLB.
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Nicola Palmiotto
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A Detroit è difficile dire che si viva bene. D’inverno fa freddo e dal lago Michigan arriva un vento gelido che taglia la faccia. A livello economico le cose non vanno meglio. La crisi dell’automobile ha trascinato nel baratro la città, lasciando dietro di sé rovina, miseria e uno dei tassi di criminalità più alti di tutto il paese. Non è un caso che a luglio del 2013 la “Motown” abbia dichiarato bancarotta.

 

 



 

Non è un caso che pochi giorni prima, proprio sul diamante del Comerica Park, anche la carriera di Jake Arrieta sia arrivata ad un passo dal fallimento. Il 17 giugno, al quarto inning della gara contro Detroit Buck Showalter, il manager dei Baltimore Orioles, era stato costretto a salire sul monte per dire al proprio lanciatore che la sua partita finiva lì. Arrieta aveva già concesso dieci valide e 5 punti a fronte di tre soli strikeout. In quel preciso momento la sua

è schizzata a 7,23.

 

Il 2013, il terzo anno di Arrieta in Mlb, era cominciato malissimo. Dopo quattro pessime partenze gli Orioles lo avevano retrocesso a Norfolk, la franchigia affiliata di triplo A, e nemmeno lì era andata meglio. In 9 gare il lanciatore aveva messo insieme una Era di poco al di sotto di 4,5. Una media a dir poco imbarazzante se raffrontata con l’1,85 che aveva in triplo A solo tre anni prima.

 

Arrieta scese negli spogliatoi del Comerica Park completamente sotto shock, tanto da non ricordare bene cosa fece durante quei momenti. Guardò il video della partita soltanto il giorno dopo. E in tv Jake Arrieta non riuscì a riconoscersi. «Vidi un giocatore, ma quello non ero io».

 

La disfatta spinse gli Orioles a rispedirlo di nuovo a Norfolk. La carriera da giocatore di baseball si trovava davanti a un bivio. A 27 anni e con un figlio nato da poco bisognava prendere una decisione, perché di continuare a subire umiliazioni non era proprio il caso. Del resto gli mancavano solo pochi esami per ottenere il diploma in marketing alla Texas Christian University. Forse era meglio mettersi in affari e dimenticarsi per sempre il baseball.

 


Jake Arrieta ai tempi degli Orioles, sarà mica la barba il segreto del successo?.


 

Il 2 luglio gli squilla il telefono, dall’altro lato della linea c’è Dan Duquette, il Gm di Baltimora. «Jake, grazie per tutto quello che hai fatto con gli Orioles. Pensiamo che sia meglio voltare pagina». «Grazie a voi – gli rispose Arrieta senza fare una piega-. Sono stato bene a Baltimora». Nonostante ne abbia tutte le sembianze, questa non è una frase di circostanza. Arrieta, come lui stesso ha ammesso, si sentiva realmente grato agli Orioles. Del resto, come dimostrerà in seguito, il garbo è una dote che non gli fa difetto.

 

A Baltimora cercavano un rinforzo per la caccia ai playoff e lo avevano individuato in Scott Feldman; a Chicago avevano invece bisogno di un lanciatore potente. Quando Duquette chiese a Jed Hoyer, Gm dei Cubs, chi avesse voluto in cambio, sentì rispondersi: «Jake Arrieta». E non era un caso.

 

Alla fine di ogni stagione il presidente dei Cubs Theo Epstein pare abbia l’usanza di raccogliere gli scout e di chiedere loro una lista di giocatori in difficoltà, quelli che hanno contrasti con l’allenatore o con l’ambiente e che magari cambiando squadra possano ritornare a splendere. Nel 2012 l’unico nome che venne fuori dalla riunione fu quello di Jake Arrieta. Ci avevano visto lungo. Poco più di tre anni dopo Jake Arrieta è stato nominato miglior lanciatore della National League. E oggi regna sull’Mlb. La sua storia altro non è che una pagina della sterminata antologia americana di vite “roller coaster”, ovvero l’abisso e il trionfo in timelapse.

 

 



 

Tom Verducci in un lungo articolo comparso sul numero di fine marzo di

ha raccontato la parabola di Jake Arrieta paragonandolo a Hugh Glass, più noto al pubblico con le sembianze di Leonardo Di Caprio in

, il sopravvissuto che ai primi dell’800 fu capace di sottomettere la forza degli elementi della natura. In questo periodo storico i redivivi sembrano particolarmente di moda, tanto che la storia di Arrieta può essere benissimo accostata a quella di Jon Snow, l’ex lord commander che tutti si augurano vendichi il triste destino della casata Stark. In realtà della saga del “Trono di Spade” il personaggio preferito di Arrieta è un altro.

 




 

Daenerys Targaryen infatti più di ogni altro incarna l’ideale di resil. Un personaggio che, partito in sordina, ha dimostrato di essere capace di conquistare città e sconfiggere nemici sempre più potenti. Allo stesso modo, sembianze a parte, Jake Arrieta ha ricostruito la propria carriera imbrigliando l’istinto brutale del “power pitcher” sviluppando un grande senso del controllo e dell’equilibrio. Come Daenerys, anche lui Arrieta è rinato dominatore passando attraverso il fuoco: dei 45 lanciatori che dal 1921 ad oggi hanno raggiunto una Era inferiore a 2,00, Arrieta è quello che ha compiuto la missione più difficile partendo da 4,64.

 



 

Una figura chiave per la risalita del texano è Chris Bosio. L’allenatore dei lanciatori dei Cubs appena sbarcato a Chicago gli dice: «Jake sappiamo che hai talento. Noi vogliamo solo che tu sia te stesso». Bosio inizialmente si concentra sul meccanismo di lancio.

 

Fin dalle prime apparizioni sul monte, sia con Texas Junior College che con TCU, Arrieta ha impressionato per la naturalezza con cui effettuava lanci potenti, il cosiddetto

. A Baltimora, che lo aveva selezionato al terzo giro del draft del 2007, invece il coach Rick Adair corresse postura e meccanismo, proibendogli di lanciare le cutter fastball, che diventeranno invece poi il suo marchio di fabbrica. I risultati della cura Adair sono stati disastrosi: 6 vittorie e 16 sconfitte con una Era superiore a 6,00. «È difficilissimo reinventarsi il meccanismo contro i migliori battitori del mondo – ha spiegato in seguito Arrieta -. Cercavo di mettere in pratica gli aggiustamenti che mi venivano detti, ma sapevo in un angolo della mia mente che potevo fare di meglio».

 

Bosio riporta Arrieta alle origini, suggerendogli alcuni trucchi sul rilascio della pallina che magicamente gli permettono un controllo dei lanci quasi perfetto. I risultati sono pazzeschi. Arrieta chiude il 2013 con 4 vinte e 2 perse in 9 partenze, abbassando la sua Era a 3,66. Nel 2014 le vittorie salgono a 10, mentre la Era scende ancora arrivando a 2,53. Il 2015 è l’anno dell’esplosione. Arrieta raggiunge quota 22 vittorie in stagione arrivando a 1,77 punti concessi di media a partita. Dopo la pausa per l’All Star Game diventa imbattibile toccando quota 0,75 di Era in 15 partenze e mettendo a segno il primo no-hitter https://it.wikipedia.org/wiki/No-hitter in carriera, il 30 agosto in trasferta contro i Dodgers.

 


Il primo no-hitter non si scorda mai



 

Ad ottobre i Cubs tornano ai playoff dopo 6 stagioni e Arrieta silenzia i Pirates prima su twitter

 




 

e poi sul campo; vince gara 3 dei Divisional contro Saint Louis ma perde gara 2 dei Championship contro i Mets che con un cappotto mettono la parola fine alla stagione dei Cubs, quando ormai erano arrivati ad un passo dalle World Series.

 

La stagione 2016 comincia ancora meglio: 9 vittorie su 10 partenze, che coincidono con altrettanti successi della propria squadra. Insomma quando Arrieta sale sul monte i Cubs sanno solo vincere. Il 21 aprile a Cincinnati si regala il secondo no-hitter (il terzo “più veloce” della storia del baseball, ovvero con il minor numero di giorni trascorsi dal precedente) che fa crollare la propria Era a 0,87, ritoccata di qualche decimale ai primi di maggio. Jake Arrieta è invincibile e sul suo conto non tardano ad arrivare i sospetti di doping.

 



 

Ozzie Guillen Jr., figlio dell’ex bandiera dei Chicago White Sox, posta su una pagina Facebook di un gruppo di tifosi una foto di Arrieta, in cui è ritratto prima e dopo l’arrivo a Chicago, che diventa subito un

. Se l’uscita del figlio di Ozzie può essere derubricata ad un pesante sfottò tra i club rivali, sembrano invece molto più velenosi i sussurri che arrivano dal diamante. Più di un avversario si chiede, e poi rivolge la stessa domanda ai giocatori dei Cubs, se Arrieta faccia uso di steroidi. Quando Jake lo viene a sapere reagisce con l’aplomb che lo contraddistingue.

 

«È qualcosa di cui essere lusingato, soprattutto quando qualcuno di questi commenti proviene dai migliori giocatori di baseball del campionato», sentenzia Arrieta.

 

Malelingue e sospetti se non altro portano sfiga. La striscia di vittorie consecutive dei Cubs con Arrieta in campo (23 partite) si ferma il 31 maggio con la battuta di arresto contro i Dodgers, ma al lanciatore texano non viene attribuita la sconfitta, che invece arriva cinque giorni dopo nella inaspettata debacle casalinga contro Arizona. Dall’ultima sconfitta in stagione regolare, maturata in una partita in cui il lanciatore avversario, Cole Hamels dei Phillies, aveva ottenuto una no-hitter, sono passati 11 mesi. Nel frattempo Jake ha conquistato 20 vittorie in 24 partite. La notizia, che Arrieta è in fondo umano, finisce pure in un trafiletto sulla

, che per il baseball, almeno per quanto riguarda i giornali cartacei, è significativo.

 


La prossima volta occhio a scrivere correttamente il nome.


 

 



 

Le ragioni della fortuna di Jake Arrieta sul monte di lancio non sono legate soltanto alla migliorata tecnica ma anche all’uso di un lancio micidiale, una cutter-slider che manda fuori di testa i battitori.

 

Arrieta impugna e lancia la pallina sempre allo stesso modo, cambiando solo la velocità di esecuzione. Per un battitore è impossibile capire quale sarà la traiettoria, tranne quando ormai è troppo tardi per reagire. Contro i battitori destri il lancio diventa più una cutter, una palla di qualche miglio più veloce, che quando arriva sul piatto tende a spostarsi lontano dalla mazza. Contro i mancini invece il lancio diventa una slider che rallenta e tende a cadere  in prossimità del piatto. «Modifico solo la pressione delle dita sulla pallina – ha ammesso Arrieta-. Così posso manovrare la velocità e posso manovrare la “caduta”, a seconda del battitore o del conto su cui mi trovo». Dal suo arrivo ai Cubs Arrieta ha lanciato 648 cutter-slider senza subire nemmeno un home-run.

 


La cutter-slider Arrieta.


 

«Immaginavo lanci come questo anche quando ero a Baltimora. Immaginavo di lanciare “no-hitter” e “shoutout”. Mi aspettavo di arrivare a questo punto ad un certo punto, indipendentemente da quanto tempo ci è voluto o da quello che ho dovuto attraversare per arrivarci». Queste parole, pronunciate all’indomani del secondo “no-hitter”, sono forse il manifesto di Jake Arrieta, perché rivelano una tratto decisivo del suo carattere, ovvero la tenacia e la profonda etica del lavoro, che evidentemente anche a certi livelli può diventare lo spartiacque tra un campione e un buon giocatore. Anche il manager dei Cubs Joe Maddon la pensa allo stesso modo: «Sfido chiunque a fare lo stesso lavoro atletico che fa lui in una settimana. Anzi non dico nemmeno una settimana, dico due giorni».

 


Se pensate, come me, che il Pilates sia roba per gente di mezza età col culo grosso, vi state sbagliando.


 

Il successo di Arrieta sul monte è infatti strettamente correlato al mantenimento ossessivo della miglior forma fisica possibile attraverso l’esercizio e la dieta. Arrieta è sempre stato un fanatico della palestra dimostrandosi attento a ogni novità del settore. Ma la vera svolta è arrivata quando ha scoperto il Pilates. Un giorno mentre si trovava ad Austin, durante l’offseason dopo il trasferimento ai Cubs, si è imbattuto quasi per caso in uno studio di Pilates. Per Jake è stata la classica folgorazione sulla via di Damasco. Da quel momento le due lezioni a settimana sono diventate una ogni giorno, tanto che Arrieta ha chiesto e ottenuto di installare un reformer, una specie di carrello con cinghie e molle, all’interno di Wrigley Field. E siccome non sapevano dove metterlo è finito dentro la stanza in cui Joe Maddon tiene le conferenze stampa. Così capita spesso di vedere Arrieta che fa i suoi esercizi mentre il suo coach parla con i giornalisti.

 

«Il Pilates mi ha aiutato a scoprire il mio corpo ancora più a fondo […]. Avere una buona tecnica e un buon controllo facendo Pilates richiede tanta forza mentale. Non è molto differente da quando sono sul monte ed effettuo il lancio».

 

Per Arrieta nella cura del proprio corpo non c’è solo il Pilates. Il lanciatore fa due ore di stretching ogni giorno, pratica yoga e osserva una dieta rigorosa a base di carni bianche, quinoa, verdure. Non mangia mai carni rosse e patate prima di una partita. Beve intrugli a base di cavolo nero, che evidentemente si possono utilizzare non solo per la ribollita, e trova la concentrazione prima di ogni partita ascoltando nelle cuffie il folk rilassato dei Fleet Foxes, ben diverso dal menù musicale a Baltimora, a base di Pantera e Metallica.

 



 

La sua barba, diventata quasi un vero e proprio marchio di fabbrica, accresce l’aura mistica del personaggio e incute timore nei suoi avversari. «Lo abbiamo soprannominato “la bestia” – ha spiegato sua moglie Brittany-. Se fossi un giocatore di baseball non vorrei mai affrontarlo».

 

E in questo primo scorcio di stagione a temere Arrieta sono veramente in tanti. «L’unica cosa che può fermarlo è un infortunio», ha affermato laconicamente Adrian Gonzalez, prima base dei Dodgers. Diversamente il destino di Arrieta e dei Cubs, che dopo due mesi di baseball guidano incontrastati l’Mlb con 40 vittorie e 16 sconfitte, sembra infatti già scritto. E promette di essere un gran bel finale.

 

 

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