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Stefano Piri
L'anomalia Ronaldinho
24 nov 2015
24 nov 2015
La bellezza e la fragilità dell'ultimo campione "umano".
(di)
Stefano Piri
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A diciassette anni Leo Messi sembra in effetti una pulce, con le gambe tozze e una gran testa di capelli cenere. Tocca la palla in avanti con la fronte, è in ritardo, ma non molla, gira intorno al difensore, la recupera, si volta e la appoggia a Ronaldinho, che arriva da dietro con l’aria—come al solito—di uno che passa di lì per caso e dice: «Ok, dai, facciamo due tiri». Dinho la sfiora con la suola, poi scava sotto la palla con la punta del piede, disegnando una parabola che i difensori seguono col naso all’insù, come bambini che guardano una stella cadente. Messi è già oltre, fisicamente e concettualmente, aspetta un rimbalzo e poi col piatto gioca allo stesso gioco del compagno, con un tocco rapido e delicato dal basso verso l’alto come quello della bacchetta di un direttore d’orchestra.

 

La palla atterra in rete e il numero 30 corre fino alla bandierina per festeggiare la prima volta in cui il suo nome, Lionel Andrés Messi Cuccittini, compare sul tabellino dei marcatori di una vera partita tra giocatori professionisti. Allarga le braccia, ride, Ronaldinho lo prende in spalla e lo fa dondolare finché Puyol e van Bronckhorst non li travolgono entrambi. È il 1° maggio 2005, Barcellona - Albacete finisce 2 a 0.

 

Il Pallone d’Oro che verrà e il Pallone d’Oro in carica, il 10 blaugrana del futuro e quello del presente. Piccolo come un proiettile il primo, curvo e sinuoso come un contrabbasso l’altro. Ronaldinho ride come un bambino, Messi, che ha quasi dieci anni in meno, ha la mascella contratta e la gioia trattenuta di un adulto. Ronaldinho guarda i compagni, compiaciuto come un commensale che ne ha detta una bella all’osteria. Messi guarda lontano, cerca forse qualcuno tra i tifosi, forse niente in particolare, forse le geometrie astratte del suo incommensurabile futuro.

 

Al Camp Nou quel pomeriggio si abbracciano per la prima volta il presente e il futuro del calcio mondiale, due epoche, due visioni del calcio e della sua bellezza. Guardo quest’immagine e penso che l’epoca di Messi, quella che stiamo vivendo, è probabilmente quella più strabiliante e competitiva, ma non necessariamente la più divertente.

 

https://vimeo.com/49958036

 



João de Assis, muratore ed ex calciatore professionista, annega nella piscina della casa di famiglia a Porto Alegre nel 1988. Ai figli Roberto, Ronaldo e Deisi lascia un tremendo senso di vuoto, e alcuni consigli. «Fa’ la cosa giusta e sii un tipo onesto e retto. In campo: gioca il calcio più semplice possibile. Mi diceva sempre che una delle cose più complicate da fare è giocare semplice», ricorderà anni dopo il figlio minore Ronaldo, che al momento della tragedia ha otto anni.

 

Roberto invece ne ha diciassette, nel mondo del calcio è conosciuto come “Assis”, gioca negli

del Grêmio ed è nel giro delle Nazionali giovanili. La casa con piscina è sua: gliel’ha regalata la società per convincerlo a rifiutare il Torino. Poco tempo dopo un bruttissimo infortunio ferma bruscamente la sua ascesa, senza comunque impedirgli di avere negli anni successivi una discreta carriera da professionista, pellegrinando con alterne fortune tra Brasile, Svizzera, Portogallo, Francia e Giappone. Ha la bocca larga e gli occhi a palla del fratellino, anche se oggi, anche per via dei chili di troppo, lo conosciamo con la faccia più tonda, tratti più proporzionati e nel complesso più ordinari.

 

È da Roberto che il piccolo Ronaldo prende la passione per il pallone, da lui che impara i fondamenti, con lui che si lega ancora di più dopo la perdita del padre. Roberto è bravo, e Ronaldinho sostiene ancora oggi che senza l’infortunio il vero campione di famiglia sarebbe stato lui, ma la verità è che il fratellino è una cosa diversa, fin da bambino. Su Internet si trovano dei video in cui gioca a calcetto—avrà 10 o 12 anni—e la superiorità nei confronti degli altri ragazzini è sconcertante, perché al di là della tecnica abbraccia la comprensione stessa del gioco e della sua inerzia. Più che venire saltati, gli avversari non arrivano nemmeno a contrastarlo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=quvsA1ZH96w

Peccato per il montaggio alternato con le immagini di Ronaldinho adulto. Comunque il video rende l’idea.


 

Ronaldinho viene tesserato dal Grêmio a sette anni, e molto presto la dirigenza del

si rende conto di avere in casa un talento epocale, perfino per gli standard di una delle formazioni giovanili più titolate del Brasile. La gente viene a vederlo giocare da tutto il Rio Grande do Sul, lo stato

, non solo perché è fortissimo, ma anche perché sa far divertire più di chiunque altro. Con la palla nei piedi è un giocoliere, un acrobata, e questo in Brasile lo rende un patrimonio della collettività, una

come tanti anni prima Garrincha.

 

Le leggende metropolitane sul ragazzino si sprecano, a cominciare da quella (apparentemente suffragata da un buon numero di testimonianze) che lo vedrebbe segnare 23 gol in una sola partita, vinta dalla sua squadra 23 a 0. Alcuni dei suoi gol dell’epoca, a raccontarli a parole, sembrano il frutto della fantasia sbilanciata di un bambino, solo che ci sono i video a testimoniare che è successo veramente.

 

Contro il Cascavel a 17 anni riceve palla a una trentina di metri dalla porta, evita due avversari e arriva al limite dell’area, dove trova un muro di giocatori in giallo, allora scarta a sinistra, evita una scivolata e sempre alla massima velocità salta un quarto avversario con l’elastico.

 

È vicino al vertice sinistro dell’area, per tre quarti spalle alla porta, e la barriera di avversari è diventata quasi una fila indiana disposta lungo l’unica linea di conclusione possibile. Si gira e colpisce sotto alla cieca, col sinistro, cadendo all’indietro, e quello che ne viene fuori è una parabola perfetta che attraversa l’area di rigore superando gli avversari e il portiere e andando a spegnersi in rete, poco al di qua del secondo palo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=jeEePZpIHkU

L’elastico finale è davvero qualcosa di straordinario.


 

Allo stesso periodo risale uno dei primi filmati di Ronaldinho con la maglia della Nazionale, nella finale del Mondiale Under-17 del 1997 che il Brasile vince contro il Ghana. Sulla maglia ha ancora scritto “Ronaldo” (per i brasiliani diventerà “Ronaldinho Gaúcho” qualche anno dopo, per distinguerlo dal già celeberrimo omonimo), ma il numero è già il 10. Ha i capelli corti ed è molto magro, ma le movenze sono riconoscibilissime: propizia entrambi i gol della rimonta verdeoro, prima con un’azione personale sulla sinistra che Matuzalém finalizza sulla respinta corta del portiere, e poi servendo un assist perfetto a un certo Andrey. Dopo il primo gol va a esultare di fronte a una telecamere, fa “ciao” con entrambe le mani e grida qualcosa di incomprensibile col sorriso tutto denti che da lì a qualche anno diventerà famosissimo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=-PrvVnUe2Nc#t=01m28s

Voi riuscite a capire cosa urla?


 

A diciotto anni esordisce nella prima squadra del Grêmio, e alla prima stagione da titolare segna 15 gol in 18 partite. Fa cose talmente incredibili, spettacolari e irridenti che l’unico ragionevole dubbio è se un giocatore del genere possa funzionare in un campionato più tattico e competitivo di quello brasiliano. Nel derby con l’Internacional segna il gol più bello dell’anno, inventando l’occasione da una situazione di gioco statica, sulla trequarti avversaria. Finta il passaggio sulla destra, invece sterza, elastico con tunnel al marcatore diretto, accelerazione improvvisa, uno-due col compagno al limite dell’area e gol a incrociare di sinistro, come se il campo per lui fosse in discesa.

 

https://www.youtube.com/watch?v=joRiI6a2PnM

Non dev’essere male risolvere così un derby, a diciotto anni, per la squadra per cui tifi fin da bambino.


 

Il suo straordinario talento raggiunge presto la notorietà globale e inizia la processione delle squadre europee a Porto Alegre: prima di tutte le altre ci prova il PSV, che nel decennio precedente ha lanciato in Europa uno dopo l’altro i leader di due generazioni di calcio brasiliano: Romário e Ronaldo. Fossero riusciti a prendere anche Ronaldinho, probabilmente i dirigenti sarebbero stati direttamente colpiti da un fascio di luce dorata e assunti al cielo.

 

A gennaio 2000 il Real Madrid offre al Grêmio 35 milioni, e poco dopo l’Inter ne offre 47, ma entrambe le offerte vengono rifiutate. A febbraio l’offerta monstre di 67 milioni (81 secondo altre fonti) arriva da un Leeds United che sta vivendo decisamente al di sopra del propri mezzi. Il presidente del Grêmio Guerreiro decide comunque di rifiutare.

 

Passa un altro anno, giocato ad altissimi livelli, e proprio quando il Grêmio sta pensando a rinnovare il contratto della sua giovane stella a cifre da record, il Paris Saint-Germain annuncia di aver messo sotto contratto Ronaldinho per 5 anni. Guerreiro dichiara di non saperne nulla e dà il via a una lunga

legale, che coinvolgerà la FIFA, i tribunali dei due paesi e la riforma della legislazione sportiva brasiliana che proprio in quei mesi passa dalla “legge Zico” alla “legge Pelé” (in Brasile il calcio è una cosa seria).

 

I tifosi del Grêmio la prendono malissimo. Per loro Ronaldinho è un traditore, e ancor di più lo è il fratello maggiore Roberto, che proprio in questo periodo, agli sgoccioli della carriera da giocatore, diventa il suo procuratore e la sua ombra. Roberto si prende la colpa dello spregiudicato accordo col PSG senza fare una piega, e anzi fa quello che può per creare una specie di bolla di isolamento intorno a Ronaldinho.

 

Si sta abituando a lavorare lontano dai riflettori, sta diventando l’uomo il cui lavoro è anticipare e soddisfare per 24 ore al giorno le necessità materiali ed emotive del campione, e che negli anni, proprio come a Porto Alegre, verrà considerato il vero regista dei suoi controversi trasferimenti. «Non mi dispiace fare il capro espiatorio» ha detto qualche tempo fa in un’intervista, ed è una dichiarazione che potrebbe a buon titolo farsi stampare sui biglietti da visita (purtroppo a un certo punto deve essersi calato un po’ troppo nella parte, perché nel 2012 si è beccato 5 anni e 5 mesi per riciclaggio ed evasione fiscale).

 

Ronaldinho gioca ancora qualche partita nel Grêmio venendo fischiato anche quando fa gol, e poi parte per Parigi mentre la tempesta di carte bollate continua a infuriare. Il pubblico del Parco dei Principi lo accoglie con una standing ovation prima di un PSG - Lille a cui assisterà dalla tribuna. A luglio il giudice del lavoro di Porto Alegre stabilisce che al Grêmio spetta un risarcimento di soli 5 milioni e pochi giorni dopo la FIFA impone alla federazione brasiliana di concedere il transfer al giocatore, che finalmente il 2 agosto ufficializza il contratto col PSG e sceglie la maglia numero 21.

 



Per il miglior prospetto mondiale, nel 2001, il campionato francese è una destinazione strana. Il ciclo del Marsiglia di Tapie si è chiuso tra gli scandali quasi 10 anni prima, mentre il grande Lione che dominerà la scena negli anni successivi è ancora solo nei progetti di Jean-Michel Aulas (che proprio quell’estate acquista Juninho Pernambucano dal Vasco).

 

Tra il 1993 e il 2001 sei squadre diverse hanno vinto il campionato, e nessuna ci è riuscita per due anni di seguito. È una situazione di equilibrio al ribasso, soprattutto rispetto agli altri campionati europei. Nemmeno il PSG spicca per la qualità della rosa, nonostante alcuni nomi di prestigio come Anelka, tornato in Francia dopo la fallimentare esperienza al Real Madrid, e i giovani Heinze e Arteta. L’uomo squadra e idolo dei tifosi è il giocoliere Jay-Jay Okocha, non esattamente il giocatore più concreto e continuo in circolazione.

 

Pur sapendo che Ronaldinho potrebbe rubargli il posto in squadra, è proprio Okocha a diventare in qualche modo il suo mentore, venendo ricompensato con il primo assist del brasiliano in Francia, nella vittoria per 3-0 contro il Rennes del 25 agosto 2001. Il primo gol arriva su rigore contro il Lione, a ottobre, e nonostante un inizio di campionato molto difficile per la squadra, Ronaldinho si impone quasi subito. A primavera non solo ha preso le misure, ma in pratica già spadroneggia: contro il Troyes segna una doppietta impressionante, prima entrando quasi in porta col pallone e poi mettendo a sedere il portiere dopo un coast-to-coast dei suoi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=FAjhIgNMUSs

Con la palla nei piedi, Ronaldinho è veloce praticamente come in corsa libera.


 

Dal punto di vista tecnico parliamo di un fantasista prototipico, che quando riceve palla sulla trequarti, al centro o partendo da sinistra, dispone di una tavolozza che comprende tutte le alternative di gioco possibili al massimo livello di efficacia: sa girarsi in un fazzoletto, può accelerare con la palla incollata ai piedi a una velocità tale da risultare inarrestabile, saltare l’uomo grazie a una facilità di dribbling semplicemente ridicola o servire un compagno nello spazio con un colpo di biliardo talmente secco e imprevisto da mettere alla prova i riflessi dei cameraman.

 

Gli basta una frazione di secondo per inquadrare la porta e calciare in modo potente e preciso, con entrambi i piedi e con tutte le parti del piede. Ma soprattutto, è del tutto imprevedibile, probabilmente perché nemmeno lui sa quello che sta per fare fino al momento in cui lo fa, e proprio questa è la sua forza: è incosciente e quindi inarrestabile. Accelera, rallenta, si piega e imbriglia compagni e avversari in una musica di gioco che può sentire solo lui.

 

Il gioco del PSG germoglia intorno alle sue intuizioni e la squadra conquista un quarto posto che vale la qualificazione alla Coppa UEFA. Ronaldinho chiude la stagione 2001/2002, la prima in Europa, da miglior giocatore del PSG e miglior marcatore della squadra in tutte le competizioni.

 

Per la consacrazione definitiva ci vuole però un palcoscenico internazionale, che gli viene offerto in estate dai Mondiali di Corea e Giappone. A 22 anni si ritrova titolare in un Brasile fortissimo, guidato da Ronaldo, Rivaldo, Cafu e Roberto Carlos. Vinceranno senza giocare troppo bene uno dei Mondiali più brutti di sempre, che oggi viene ricordato soprattutto per l’inizio della seconda carriera di Ronaldo, capace di segnare ben 8 gol appena tornato all’attività agonistica dopo una terribile serie di infortuni.

 

Eppure a ben vedere Ronaldinho è almeno altrettanto decisivo, soprattutto nel quarto di finale contro l’Inghilterra di Ferdinand e Campbell, Beckham e Scholes. Nel primo tempo un errore abbastanza incredibile di Lùcio manda in rete Owen e il Brasile sembra davvero in difficoltà. A cavallo dell’intervallo, però, Ronaldinho sale in cattedra. A cinque minuti dalla fine del primo tempo riceve palla a centrocampo e si fa i soliti 30 metri palla al piede, arrivando al limite dell’area e servendo l’assist per il comodo pareggio a Rivaldo.

 

È interessante notare come molte delle sue cavalcate avvengano in realtà senza essere contrastato. La sua velocità e il suo controllo di palla sono tali che gli avversari hanno troppa paura per affondare il contrasto, perché sanno che verrebbero saltati. Ronaldinho lo sa e quindi accentua la sensazione di incertezza con piccoli cambiamenti di velocità e direzione, che costringono gli avversari ad accompagnarlo correndo all’indietro anche per decine di metri senza osare disturbarlo, col panico in volto. Riguardatevi l’azione di Ronaldinho concentrandovi su Ashley Cole, che prova a contrastarlo nella parte finale: prima prova a temporeggiare, forse pensa di tagliagli la strada, ma Ronaldinho lo disorienta con una

e accelera cambiando direzione quel poco che basta per metterlo fuori gioco. Insomma, più che saltarlo gli rovina i piani, togliendogli il tempo e lo spazio per l’intervento.

 

https://www.youtube.com/watch?v=e9lfD1NDJH4

Pure col commento in giapponese, per calarsi meglio nell’atmosfera.


 

All’inizio del secondo tempo c’è una punizione dalla trequarti, sulla destra. Attaccanti brasiliani e difensori inglesi si spintonano in area, mentre Ronaldinho prende la rincorsa per il cross. Un attimo prima di calciare però accelera, sposta il peso all’indietro e allarga l’angolo del piede che impatta la sfera. Il pallone arriva teso al limite dell’area, ma non curva verso il dischetto come tutti si aspettano. Invece si alza di colpo senza cambiare direzione, e il momento in cui i giocatori al centro dell’area smettono di inseguirlo è il momento in cui Seaman capisce che la palla va verso di lui, anzi verso un punto che sta alle sue spalle. Prova a invertire la direzione della corsa e alzare le braccia, ma è troppo tardi. Si aggrappa all’aria, barcolla all’indietro come un ubriaco, poi si ferma e si volta con malinconia a verificare che—sì—la palla è in fondo alla rete e—sì—la cartolina del suo mondiale, dell’eliminazione dell’Inghilterra e forse addirittura della sua carriera sarà quella goffa e disperata corsa all’indietro, da marionetta disarticolata.

 

https://www.youtube.com/watch?v=0oq974EmpBo

 

Per completare il one man show, sette minuti dopo Ronaldinho si fa espellere per un intervento col piede a martello sul terzino Danny Mills, ma il Brasile resiste in inferiorità numerica e vince la partita. A margine della festa finale, Ronaldinho si preoccupa soprattutto delle lacrime disperate di Seaman: «Mi è dispiaciuto davvero vederlo piangere: È stato sfortunato. Volevo tirare in porta, ma magari non precisamente in quel punto».

 

Colpa di Seaman o no, quel gol in mondovisione è il primo vero biglietto da visita di Ronaldinho come star calcistica globale. Forse non è il suo gol più bello, ma riassume alla perfezione il giocatore e le sue caratteristiche, se vogliamo così classicamente brasiliane: l’idea improvvisa, che non sarebbe venuta in mente a nessun altro, e la qualità tecnica per realizzarla alla perfezione.

 



Sembra strano ma poco più di dieci anni fa, nel 2003, quello del Barcellona era un ambiente fondamentalmente depresso. Non si vinceva niente da 4 anni, nei quali il Real Madrid dei

aveva vinto due Champions League e due campionati. Dopo anni di acquisti sbagliati come Litmanen, Rochemback, Riquelme e Saviola, di episodi deprimenti come il tradimento di Figo, e di scelte temerarie come il ritorno di van Gaal, nel 2002/2003 per i blaugrana arriva addirittura l’onta del sesto posto, con tre allenatori cambiati in un anno (van Gaal, de la Cruz e Antic) e la mancata qualificazione alla Champions League.

 

L’avvocato Joan Laporta viene eletto presidente nel 2003 con il mandato di riportare il Barcellona ai vertici, e per prima cosa sceglie un allenatore tutt’altro che di nome: Frank Rijkaard, fermo da un anno dopo essere retrocesso in seconda divisione olandese con lo Sparta Rotterdam. Nonostante in campagna elettorale Laporta abbia promesso ai tifosi Beckham, alla fine decide di investire il budget a disposizione sul miglior giovane in circolazione, Ronaldinho, soffiandolo proprio al Manchester United.

 

La seconda stagione del brasiliano al PSG è stata un calvario per la squadra, finita addirittura undicesima in campionato, e non è stata un’annata semplicissima nemmeno per Ronaldinho, accusato a più riprese dall’allenatore Fernández di non allenarsi con impegno e di essere troppo interessato alla vita notturna. Nuovamente capocannoniere della squadra, nelle pieghe di un’annata storta è comunque riuscito a mettere in mostra il solito repertorio di giocate lunari, tra cui un’incredibile cavalcata contro il

e soprattutto il gol contro il Guingamp, probabilmente il più bello che ha segnato in Francia:

 

https://www.youtube.com/watch?v=zZkJnsADaww

 

Ronaldinho arriva al Barcellona per 30 milioni, insieme a una multietnica ed eterogenea compagnia di neoacquisti che comprende il portiere turco Reçber Rüstü, Ricardo Quaresma e Rafa Márquez. Dalle giovanili vengono aggregati alla prima squadra il diciannovenne centrocampista Andrés Iniesta e il portiere Victor Valdés.

 

Per provare a misurare l’impatto dell’acquisto di Ronaldinho sul Barça possiamo affidarci alle dichiarazioni successive dello stesso Valdés («È il più grande talento che io abbia mai visto. Il suo acquisto ha cambiato la storia del club»), a quelle di Márquez («Il suo arrivo al Barcellona ha cambiato la mentalità della squadra. Ci ha portato la voglia di vincere e la gioia di giocare»), oppure possiamo ripescare le immagini del suo primo gol in maglia azulgrana, che davvero racchiude già

tutta la meraviglia delle annate pazzesche che seguiranno:

 

https://www.youtube.com/watch?v=VEiMWZEns1s

 

Poco più di un mese dopo il gol al Siviglia, Ronaldinho segna la prima tripletta in maglia azulgrana con modalità quasi altrettanto spettacolari, nella goleada in Coppa UEFA contro gli slovacchi del Púchov.

 

In campionato il Barcellona inizia malissimo, tanto che a gennaio si parla di esonero per Rijkaard, ma poi ingrana—anche grazie all’innesto di Edgar Davids, che, sia pure in parabola discendente, riesce a dare sostanza a una squadra fino a quel momento sbilanciata—e conclude il campionato al secondo posto dietro al Valencia di Benítez ma, dopo anni, davanti al Real Madrid. Il passaggio di consegne simbolico tra il ciclo dei

e quello dei catalani si celebra il 25 aprile al Bernabéu con la vittoria del Barça propiziata da un

di Ronaldinho per il 2-1 di Xavi.

 

Quella stagione rappresenta il secondo turning point nella carriera di Ronaldinho, che chiude da capocannoniere della squadra, vince il premio di miglior straniero della Liga e soprattutto diventa all’improvviso la vera superstar del calcio mondiale. Improvvisamente tutti scoprono Ronaldinho, tutti ne parlano, e fiumi di inchiostro vengono spesi per fare buona e cattiva letteratura sul suo modo di giocare così rivoluzionario e al contempo così classico e romantico. Ronaldinho è il campione col sorriso sempre sulle labbra, il giocoliere che “vale da solo il prezzo del biglietto”, che “riconcilia con il calcio”. Assomiglia a Bugs Bunny, sembra fatto apposta per piacere ai bambini e per diventare il testimonial globale dell’industria calcistica, l’anello mancante tra il calcio dei campetti di periferia e quello dei milioni e degli sponsor.

 

Nel 2004 il calcio mondiale sta attraversando un momento di transizione: l’ultimo Pallone d’Oro è stato vinto da un—pur incontenibile—centrocampista di quantità come Pavel Nedved, seguito da Thierry Henry e Paolo Maldini. Quello precedente l’ha vinto Ronaldo in versione 2.0, imbolsita e incattivita, e dietro di lui si sono piazzati un difensore come Roberto Carlos e un portiere come Oliver Kahn. Insomma, è come se tutti stessero aspettando un campione non soltanto capace di vincere, ma anche di solleticare la fantasia degli spettatori, uno capace di dare spolvero all’aspetto più ludico e poetico del calcio. Inutile sottolineare che in questo contesto Ronaldinho è

, e infatti, nonostante una stagione senza vittorie e quasi priva di palcoscenici internazionali, vince il Fifa World Player, non ancora unificato al Pallone d’Oro (che quell’anno va a Shevchenko).

 

Intanto il Barcellona è pronto a vincere, e in estate trova i tasselli mancanti per perfezionale il quadro: il primo è Deco, il trequartista brasiliano naturalizzato portoghese che ha appena vinto la Champions League con il Porto di Mourinho. Il secondo acquisto invece ha una storia particolare, perché è cresciuto a Madrid, nel vivaio degli odiati rivali del Real, che però non hanno mai creduto davvero in lui e alla fine lo hanno lasciato andare al Maiorca, da dove il Barça lo prende per 24 milioni. A Madrid lo rimpiangeranno, si chiama Samuel Eto’o, e con Deco, Ronaldinho e gli altri campioni del Barça farà parte di un undici destinato a entrare nella leggenda.

 

Arrivano anche Ludovic Giuly e Henrik Larsson, a completare un attacco che per potenza di fuoco e varietà di soluzioni non ha eguali al mondo. Nel 2004/2005 il Barça di Rijkaard schianta la Liga, vincendo il titolo con quattro punti di vantaggio sul Real e diciannove (!) sulla terza in classifica, il Villarreal.

 

Nel girone di Champions la sfida per il primo posto è con il Milan. A San Siro Shevchenko regala i 3 punti al Diavolo, e due settimane dopo si ripete al Camp Nou portando in vantaggio il Milan. La partita diventa bellissima e prima della fine del primo tempo Eto’o riesce a pareggiare. I ribaltamenti di fronte proseguono fin quasi alla fine, ma quando manca un minuto Eto’o scende a recuperare un pallone a centrocampo e lo consegna a Ronaldinho, che sembra cercare lo spazio per il tiro da una ventina di metri, ma con un colpo d’ala improvviso inclina il piano di gioco verso sinistra sfilando tra Nesta a Gattuso, e poi schiaffeggia la palla con il collo sinistro, mettendola sotto l’incrocio dei pali. È un gol pazzesco, che regala la vittoria al Barça e fa il giro del mondo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=jwEqoDLJsEo

 

Il Barca arriva comunque secondo nel girone e agli ottavi di finale pesca uno degli avversari peggiori: il primo Chelsea di José Mourinho. È una doppia sfida da romanzo, destinata a entrare nel ristretto corpus delle partite su cui si fondano l’epica e il fascino della Champions League.

 

L’andata si gioca in Catalogna e dopo 33 minuti il Chelsea va in vantaggio con Belletti. Il Barcellona riesce però a rimontare grazie a un protagonista inatteso come l’appena ventenne Maxi López, che entra a mezz’ora dalla fine e segna quello che resterà il suo unico gol in maglia blaugrana. Dieci minuti dopo, trova anche l’assist per il 2-1 di Eto’o. È un risultato che lascia aperte tutte le possibilità per il ritorno a Stamford Bridge.

 

Si gioca l’8 marzo 2005, in una cornice pazzesca, con il Chelsea in prima maglia e il Barça in un discutibile completo color sabbia. In diciannove minuti i "Blues" ne fanno tre. Gudjohnsen, Lampard, Duff. Per il Barça è un incubo, ma poi Ronaldinho fa quello che fanno solo i grandissimi: strappa il tessuto logico della partita e la ricuce da solo, a modo suo. Prima accorcia le distanze su rigore, e poi, al trentottesimo, fa qualcosa di magico.

 

Iniesta recupera un pallone sulla trequarti, accelera e sembra puntare verso la porta, ma poi scarica per Ronaldinho, che all’altezza della lunetta dell’area di rigore si trova fermo con la palla nei piedi nel mezzo di una vera e propria gabbia di avversari in maglia blu. Quello che combina è difficile da descrivere in gergo calcistico. Non c’è un nome per una finta così. Diciamo che, da fermo e senza toccare il pallone, punta il piede nell’erba e accenna un passo di twist, gesto che potremo descrivere con la stessa analogia che usa Wikipedia: «Spegnere una sigaretta con i piedi e strofinare un’estremità con un asciugamano». Poi con la punta del piede destro dà un colpo secco al pallone, spedendolo ad accarezzare l’interno del palo della porta avversaria.

 

Cech resta immobile. I difensori del Chelsea paralizzati. È un gol surreale, da biliardino, una violazione vistosa del regime di dinamismo esasperato che regna sul calcio contemporaneo. Un balletto del genere sarebbe anche irrispettoso, sarebbe una forma di irrisione degli avversari da punire con un’entrataccia nell’azione successiva. Sarebbe, appunto, se Ronaldinho subito dopo non facesse gol e soprattutto se non si stesse giocando un ottavo di finale di Champions league. A queste condizioni diventa un capolavoro. È una scultura di cristallo che diventa la pietra angolare di una cattedrale e insomma, se l’arte è la capacità di rendere necessario il superfluo, quello di Ronaldinho contro il Chelsea è un gesto artistico.

 

https://www.youtube.com/watch?v=9O3otJu2FWE

 

Un gesto artistico che, per giunta, qualificherebbe il Barcellona ai quarti di Champions, se a un quarto d’ora dalla fine John Terry non segnasse il 4-2 di testa su corner di Duff, per l’ultimo e definitivo rovesciamento della partita. Passa il Chelsea, il Barcellona esce. Non è un risultato ingiusto, ma è un risultato strano, perché lascia la sensazione che, anche se la squadra di Mourinho è stata più organizzata e cattiva, quella di Rijkaard sia la più forte al mondo (insieme magari al Milan di Ancelotti, che perderà quella Champions

).

 

Lo dimostrerà dodici mesi dopo: nell’estate 2005 arriva solo van Bommel e per il resto la squadra non viene toccata. Nella Liga l’inizio è di nuovo travolgente e quando il 19 novembre il Barcellona va a giocare al Bernabéu i punti di vantaggio sul Real sono già 4. Prima segna Eto’o, poi Ronaldinho riceve un pallone sulla sinistra, all’altezza del centrocampo, lo addormenta con l’esterno, accelera e salta secco Sergio Ramos, arriva in area di rigore e lascia sul posto Iván Helguera, incrocia il destro e fa il 2-0 ammutolendo il Bernabéu.

 

Potrebbe bastare, ma venti minuti dopo riceve un altro pallone nella stessa zona del campo, è di nuovo lui contro Sergio Ramos e lo salta un’altra volta, stavolta sull’interno. Arriva di fronte a Casillas e fa di nuovo gol. Tre a zero. Allora succede qualcosa di addirittura storico: mentre Ronaldinho esulta, molti tifosi del Real Madrid, che stanno perdendo tre a zero in casa contro i loro peggiori rivali e stanno vedendo le speranze di vincere il titolo scivolare via dopo nemmeno tre mesi di campionato, si alzano in piedi e iniziano ad applaudirlo, e dopo i primi se ne uniscono molti altri. Forse per la prima volta nella storia, il Bernabéu avvolge con una standing ovation la stella del Barcellona.

 

https://www.youtube.com/watch?v=_c55cW6UGP0

Lasciate perdere la musica enfatica da pubblicità di una 4x4 e godetevi una prestazione davvero spaventosa.


 

È la miglior investitura per il più grande giocatore al mondo, che poco più di un mese dopo viene premiato, senza rivali, sia con il Pallone d’Oro che con il Fifa World Player. Ronaldinho incassa senza perdere la leggerezza, dice solo alcune parole di circostanza e si fa più serio solo quando approfitta della premiazione per mandare un messaggio antirazzista. Il giorno dopo è già in campo per una partita di beneficienza contro una squadra mista israeliano-palestinese. Uno dei commenti più mirati sul nuovo imperatore del calcio mondiale lo fa un entusiasta Michel Platini: «Ronaldinho rende il calcio più bello e lo innalza al livello di arte. Gioca col sorriso e ha la sublime dote del passaggio: chi fa solo dribbling è buono per il circo, Ronaldinho è buono per il calcio».

 

Nella seconda parte di stagione il Barça continua a passeggiare nella Liga, che vincerà con ben dodici punti di distacco sul Real. La Champions invece ha un plot più movimentato, da film di Tarantino, una vendetta dopo l’altra: dopo un girone vinto quasi a punteggio pieno (tra le avversarie c’è l’Udinese di Serse Cosmi, che viene annichilita da Dinho con una tripletta) agli ottavi il Barcellona ritrova il Chelsea.

 

Vince 2 a 1 a Stamford Bridge e al ritorno Ronaldinho fa un altro dei suoi gol marziani, spedendo a casa i "Blues" e mettendo al sicuro la qualificazione. Dopo aver superato i quarti col Benfica, in semifinale è il turno del Milan. In centottanta minuti viene segnato un solo gol, a San Siro, da Ludovic Giuly. La palla gli arriva da Ronaldinho, che sulla trequarti prima scherza Gattuso mandandolo a vuoto (e nel 2006 scherzare il pressing di G

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