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L’anno in cui la Juventus giocò in Serie B
01 apr 2020
01 apr 2020
Ricordo della stagione dopo Calciopoli.
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Foto di Jonathan Moscrop / LaPresse
(copertina) Foto di Jonathan Moscrop / LaPresse
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Il 10 luglio 2006, mentre tutta Italia sta ancora smaltendo la sbornia presa la sera in cui è diventata Campione del Mondo, la Juventus ufficializza l’arrivo in panchina di Didier Deschamps. Una settimana prima, il 3 luglio, Fabio Capello si era dimesso dalla sua carica di allenatore della Juventus per firmare con il Real Madrid. Nelle stesse ore era trapelata la notizia che i bianconeri sarebbero stati retrocessi in Serie C1 dalla commissione d’appello federale, l’organo incaricato di decidere le pene per le squadre coinvolte nel cosiddetto scandalo Calciopoli. La scelta dell’allenatore è la prima della nuova dirigenza, scelta in fretta e furia dagli azionisti dopo la caduta della triade composta da Moggi, Giraudo e Bettega. Il presidente è Giovanni Cobolli Gigli, il direttore sportivo Alessio Secco, l’amministratore delegato Jean-Claude Blanc.

Il 14 luglio, dopo oltre 7 giorni di camera di consiglio, arrivano le sentenze. La Juventus viene retrocessa d’ufficio in Serie B, dove partirà con una penalizzazione di 30 punti. Giovanni Cobolli Gigli esprime rabbia per la pesantezza della pena, che costringe i bianconeri a pensare ad almeno due stagioni nel purgatorio della serie cadetta e annuncia il ricorso. A margine trova anche il tempo di lanciare un primo messaggio alle grandi squadre europee che volteggiano come avvoltoi sopra la rosa: «Se il Real Madrid vuole i nostri giocatori li dovrà pagare».

Chi parte, chi resta

Il 15 luglio la squadra, o almeno la piccola parte che non si sta ancora riprendendo dalle fatiche del Mondiale, si riunisce ad Acqui Terme per iniziare il ritiro, in preparazione della prima stagione di Serie B in 109 anni di storia. In un clima funereo, Deschamps prova ad essere più realista del re «Il campionato di B è più fisico, tutti ci aggrediranno e io voglio una squadra che imponga il proprio gioco anche in trasferta, anche a costo di correre qualche rischio».

Tra i giocatori il primo a parlare è Marchionni che aveva firmato per la Juventus a gennaio, come parametro zero, prima che scoppiasse la bomba. «Non rinnego la scelta che ho fatto» dice, chissà quanto convinto. Il ritiro si riempie di giovani di belle speranze e giocatori di proprietà della Juventus abituati al prestito, che all’improvviso ritornano utili. Masiello, Balzaretti, Piccolo, Legrottaglie, Paro, Kapo, Lanzafame, Palladino tutti nomi che non siamo abituati ad accostare a quello della Juventus, ma che - chi più chi meno - faranno parte della squadra. Tra loro spicca Giorgio Chiellini, uno dei giovani più promettenti, che capisce presto lo spirito con cui ripartire: «Mi stimola molto l'idea di diventare una delle basi su cui verrà ricostruita la Juventus». Per tutti l’appiglio è Alessandro Del Piero, il capitano, che prima di tutti ha fatto capire che rimarrà.

Per gli altri big invece il futuro è un mistero. Cannavaro ed Emerson sono in contatto giornaliero con Capello e stanno solo aspettando la chiusura delle trattative tra Real Madrid e Juventus. Il nome di Zambrotta è sull’agenda di tutti i migliori club europei e partirà. Anche per altri giocatori c’è la caccia: il Manchester United, addirittura, punta ben 5 giocatori della rosa bianconera; il Milan e la Roma vogliono Buffon, il Lione Trezeguet. Thuram e Ibrahimovic li vogliono tutti. Per gli altri chissà. Cobolli Gigli assicura che per nessuno sarà possibile rescindere il contratto, in quanto la regolarità del pagamento dei loro stipendi, anche in B, è garantita. Chi non sarà trattenuto, insomma, dovrà essere pagato il giusto.

I primi a salutare sono Fabio Cannavaro e Emerson, con la Juventus che trova l’accordo con il Real Madrid già il 19 luglio. Nella stessa giornata Silvano Martina, il procuratore di Buffon, esprime la volontà del suo assistito di rimanere. Qualche giorno dopo la Juventus vince per 8-0 la prima amichevole del nuovo corso contro una squadra amatoriale. A mettersi in luce è soprattutto Claudio Marchisio, giovane appena aggregato dalla Primavera.

Anche nel giorno in cui i tifosi salutano con uno striscione la scelta di Nedved di restare, l’attenzione di tutti rimane soprattutto focalizzata sulla giustizia sportiva, che a giorni potrebbe mitigare la pena, riportando la Juventus in A o almeno limitando fortemente la penalizzazione di 30 punti. La notizia che arriva, alla luce di questa attesa, è però dolceamara. Il 26 luglio i punti di penalizzazione vengono ridotti 17 e la Juventus deve comunque vedere tutte le altre squadre coinvolte tornare in Serie A con pene decisamente ridimensionate. Certo, una rincorsa partendo dietro di 17 caselle sembra in qualche modo più realizzabile.

In un clima che rimane sostanzialmente depresso, squadra e città fanno i conti. Perdere la A porta dei costi altissimi sia per Torino che per la Juventus, che deve decidere se fare cassa il più possibile o tenere i migliori giocatori non troppo avanti con l’età, anche semplicemente per una questione di sponsor. Anche per questo Ibrahimovic viene considerato il giocatore da provare a tenere, per il futuro luminoso che lo attende. Lo svedese non è però dello stesso avviso. Come racconterà in seguito nella sua autobiografia Io, Ibra, sarà lui a forzare in tutti i modi la mano della società, rifiutando anche di salire sul pullman della squadra per una amichevole, preferendo rimanere in camera a giocare alla Playstation. Dopo qualche settimana, il 10 agosto, viene ceduto all’Inter per oltre 24 milioni di Euro. Con lui partono anche Mutu, Viera, Thuram e Zambrotta, restano invece Camoranesi e Trezeguet (ma anche Zebina e Zalayeta). A rinforzare la squadra arrivano Boumsong, Bojinov e Cristiano Zanetti, anche lui fregato da una firma sul contratto arrivata prima della retrocessione.

La prima partita ufficiale della stagione sono i sessantaquattresimi di Coppa Italia, contro il Martina Franca. Si gioca il 19 agosto, in un San Nicola paurosamente vuoto. Prima dell’inizio della gara le due squadre si fanno le foto di rito insieme, sembra più una amichevole mal organizzata che l’inizio di una nuova Juventus, anche perché i migliori giocatori non sono in campo. Nei giorni successivi la Coppa Italia prosegue: arriva una vittoria col Cesena, grazie ad un gol di Del Piero e la sconfitta col Napoli, ai rigori, dopo uno spettacolare 3-3.

L’inizio

L’arrivo della Juventus sconquassa la Serie B in maniera evidente. Si devono rivedere i calendari, gli sponsor, la televisione. Le partite vengono spostate al sabato pomeriggio, per non entrare in concorrenza con la Serie A, i diritti televisivi - dopo un lungo tira e molla - spettano a Sky per il satellite, mentre per il digitale sono divisi tra Mediaset e Sportitalia. Con la presenza dei bianconeri, più quella di Genoa e Napoli, appena salite dalla C1, il bacino di utenza della serie cadetta si allarga a dismisura, tanto da meritarsi l’appellativo di “Serie A2”. La partenza ad handicap della Juventus aggiunge ulteriore pathos ad un campionato che per la prima volta vede tutti gli occhi puntati addosso e prova a farsi grande.

Eppure non mancano i cortocircuiti, come quello che porta la Juventus ad esordire nel piccolo e malridotto stadio Romeo Neri, con una tribuna aggiunta per l’occasione, ospite del Rimini, una squadra più avvezza alla serie C e una città più vicina ad altri sport, come il baseball. La retorica da Davide contro Golia è ben rappresentata dalle immagini delle televisioni, con il commento di Caressa e Bergomi, tra le maglie dei tifosi con la scritta Io c’ero in vendita con l’edizione cittadina de Il resto del Carlino e un solleone di fine estate che sa di infradito e crema solare. Il Rimini, però, non è in realtà una squadra di sprovveduti (arriverà quinta) e schiera tra gli altri gli allora sconosciuti Handanovic e Matri. La squadra romagnola mette sotto la Juventus, che dopo essere passata in vantaggio grazie ad un gol di Matteo Paro viene raggiunta nonostante la superiorità numerica da un guizzo di Adrian Ricchiuti, trequartista argentino che da quelle parti è un idolo.

«L'avevo detto che la B sarebbe stata dura anche per loro», questo il commento di Enrico Preziosi che con il suo Genoa guida la truppa delle rivali. Per una settimana la squadra di Deschamps deve difendersi dalle critiche che piovono da ogni dove, dai nemici che accusano la mancanza di umiltà dimostrata all’esordio, ma anche dal fuoco amico di Lapo Elkann: «I giocatori si devono svegliare. Non si sono dati abbastanza da fare». Che sia un anno strano non lo nega nessuno: prima dell’esordio in casa, nel vecchio Comunale, David Trezeguet si sfoga con L’Equipe raccontando la sua condizione di prigioniero per nulla contento di essere rimasto a Torino. Deve però essere una sindrome di Stoccolma, perché al francese bastano 45 minuti di B (era assente alla prima) per ricordarsi il suo destino, felice o infelice: cross di sinistro di Chiellini e deviazione al volo che finisce alla destra di Guardalben. La vittoria con il Vicenza, certificata da un gol su punizione di Del Piero è l’inizio di una storia che dura anche troppo poco.

Da quel momento la Juventus non è più altezzosa e impreparata, ma solo nettamente più forte: in neanche due mesi mette in fila otto vittorie consecutive, di cui sette senza prendere gol, riuscendo a gestire il fitto calendario di un campionato che prevede 42 partite con l’alternanza. Più che il 4-3-1-2 (o 4-4-2 in assenza di Nedved) è l’abbondanza a giovare alla squadra di Deschamps. Se non segnano Del Piero e Trezeguet, insomma, ci pensano Zalayeta e Bojinov. Si trova una soluzione anche al problema della pausa delle Nazionali, non prevista per le serie minori, che avrebbe visto la Juventus scippata di almeno 11 giocatori: la Lega approva una regola che prevede il possibile rinvio se una delle due squadre ha almeno 2 giocatori impegnati, legittimando quindi lo slittamento della partita tra Juventus e Brescia. «La regola non c'era, è stata fatta ad squadram. Si ricomincia la rumba, evidentemente» commenta l’allenatore del Bologna Ulivieri.

Ma le buone notizie non si limitano al campo: come era nell’aria, il 28 ottobre l’Arbitrato del CONI riduce i punti di penalizzazione della Juventus da 17 a 9, facendo arrampicare rapidamente i bianconeri lungo la classifica e rendendo evidente che per loro il campionato di B sarà un grande tour della provincia italiana dove dividersi tra gli applausi per Del Piero, le offese per la squadra al grido di «ladri» e curiosità varie, come quando agli spettatori della sfida contro la Triestina viene offerto un tricotest gratuito presso il centro Cesare Ragazzi.

Il campionato

La promozione diventa ben presto una formalità per la Juventus, ma sarebbe sbagliato parlare di passeggiata di salute. Per undici volte i bianconeri vincono con un solo gol di scarto, dovendo in diverse occasioni ringraziare Buffon - che conferma lo stato di grazia del Mondiale - o il guizzo di uno dei suoi migliori giocatori, che sono, è il caso di dirlo, letteralmente fuori categoria. Chiunque affronta i bianconeri trova ovviamente uno stimolo aggiuntivo: tra mestieranti che possono realizzare per una volta un sogno a lungo inseguito e giovani desiderosi di mettersi in mostra, le 42 partite dei bianconeri offrono uno spaccato unico.

C’è ad esempio la leggendaria prestazione di Hamsik, ancora giovane punk nelle file del Brescia, che fa sospirare addirittura il capitano Del Piero: «Dobbiamo assolutamente prendere quello lì. È un talento puro, non facciamocelo sfuggire» avrebbe detto a Secco e Blanc dopo un 3 a 1 subito, una delle rare sconfitte di quella stagione. O l’eroe del San Paolo, Mariano Bogliacino, capace di inchiodare Buffon dopo 734 minuti con un sinistro al volo per regalare il pareggio al Napoli, in quello che è il prequel sfigato di una nuova rivalità che qualche anno dopo diventerà la più importante del calcio italiano, giocata davanti a quasi settantamila persone, numeri rarissimi per la B. C’è anche la rimonta natalizia dell’Arezzo di Maurizio Sarri, che sotto di due gol, riesce a pareggiare negli ultimi dieci minuti di gioco grazie ad una doppietta di Daniele Martinetti, che in carriera non riuscirà mai ad arrivare nel massimo campionato, ma potrà dire di aver castigato il miglior portiere del mondo, che solo qualche giorno prima era arrivato secondo al Pallone d’Oro.

Dall’altra parte c’è un Nedved che affronta la B con la solita tigna, riuscendo anche a farsi squalificare per 5 giornate per un pestone all’arbitro; un Trezeguet poco convinto ma comunque capace di segnare 15 gol e soprattutto un Del Piero che dopo aver perso il controllo della squadra negli anni di Capello, torna ad essere il fulcro tecnico ed emotivo della squadra.

La matematica certezza del ritorno a casa arriva alla quartultima giornata, grazie ad una larga vittoria nel ritorno con l’Arezzo, lasciando spazio ad un ultimo mese per regolare i conti. Dopo la partita con il Mantova arriva come un fulmine a ciel sereno la rescissione consensuale del contratto di Didier Deschamps, a causa di divergenze con la società riguardo il futuro e agli anni del suo contratto. Verrà sostituito dal vice Giancarlo Corradini che concluderà la stagione con due inutili sconfitte in due partite. Qualche settimana dopo arriva anche l’esultanza polemica di Trezeguet, che dopo aver segnato il quindicesimo gol stagionale nell’ultima partita della stagione in casa con lo Spezia, con le mani rivolge alla dirigenza presente in tribuna l’universale ed eloquente gesto del “vado via”, nello stesso giorno in cui Del Piero si laureerà capocannoniere della Serie B.

Come cambia la Juventus

Per la Juventus l’anno in Serie B, più che una stranezza da almanacchi o una serie di aneddoti, ha rappresentato un enorme cambiamento interno: la rivoluzione innescata da Calciopoli è ancora in qualche modo visibile nella Juventus di oggi, a quasi quindici anni di distanza. Non tutte le decisioni sono state lineari e consequenziali, ma in qualche modo possono essere considerate i prodromi di un cambiamento radicale di cui la squadra, sul lungo periodo, ha finito per beneficiare. In quegli anni, ad esempio, inizia ad aumentare l’influenza di Andrea Agnelli all’interno della Juventus, fino al passaggio di consegne avvenuto nel 2010. Entrano anche nel vivo i progetti per il nuovo stadio di proprietà, che come sappiamo darà un grande impulso alla rinascita dell’ultimo decennio.

Non è solo a livello societario che le cose cambiano. L’esperienza in B lascia un segno anche nei giocatori, soprattutto nei tre su cui la Juventus ha finito per ricostruire la sua grandezza, ovvero Del Piero, Buffon e Nedved. Tutti e tre hanno più volte ribadito l’importanza di quella stagione: «Riguardando indietro sono molto contento di aver affrontato questa esperienza, perché ci siamo guadagnati il rispetto non solo come calciatori ma come uomini» ha ricordato tempo dopo Nedved, che oggi è il vicepresidente dei bianconeri «Dicevano guarda quelli che hanno appena vinto il Mondiale giocano negli stadi di Serie B».

Accanto a loro hanno la possibilità di crescere, prima di quanto avrebbero fatto in tempi normali, due giocatori che diventeranno fondamentali: Giorgio Chiellini e Claudio Marchisio. Il difensore, già in prima squadra da un paio di stagioni, acquisisce una centralità maggiore, in tutti i sensi, spostando la sua posizione da terzino sinistro a centrale, ruolo in cui diventerà tra i migliori interpreti al mondo. Anche questa potrebbe essere considerata una casualità, ma è più facile emergere tra Cannavaro e Thuram o tra Boumsong e Kovac?

Per Marchisio il discorso è simile. La necessità della Juventus di sperimentare vista la rosa non completa, gli permise di ammortizzare brillantemente il passaggio dalla Primavera alla prima squadra, solitamente il momento più insidioso nella carriera di un calciatore. Nella stagione di B il centrocampista ha collezionato 26 presenze, attirando l’attenzione di Deschamps, che per lui usò l’espressione «È da Juventus». Anni dopo, in un’intervista a Vanity Fair, lo stesso giocatore ammise che «Se la Juve non fosse finita in serie B per le decisioni dei tribunali, sarei stato l’ultima delle riserve. [...] Fu un trampolino. Mi tuffai».

Foto di Jonathan Moscrop / LaPresse

A torto o ragione, la dirigenza della Juventus si è sempre sentita eccessivamente punita per delle colpe secondo loro da imputare a due o tre persone, finendo per vivere la stagione di B come un brutto sogno. Un’esperienza che la Juventus ha cercato di spedire nell’oblio il prima possibile, eclissandola dalla propria storia come uno spiacevole inciampo (anche Marchisio nell’intervista aggiusta il tiro, aggiungendo: «Non ho mai affermato che fosse la piscina più bella del mondo»).

In un certo senso, quell'anno in Serie B ebbe una specie di carattere riabilitativo, e soprattutto generò una narrazione di rinascita arrivata fino a oggi.

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