Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Marco D'Ottavi
Andrea Bargnani contro il basket
07 set 2020
07 set 2020
Un estratto da La caduta dei campioni, la nostra raccolta di racconti sportivi.
(di)
Marco D'Ottavi
(foto)
Dark mode
(ON)

Pubblichiamo un estratto de La caduta dei campioni, la nostra prima raccolta di racconti sportivi, pubblicata da Einaudi. La potete acquistare qui. Quella che segue è una parte del racconto dedicato ad Andrea Bargnani. Gli altri sportivi raccontati sono Antonio Cassano, George Best, Paul Gascoigne, Adriano, Marat Safin, Marco Pantani, Rūta Meilutytė, Domenico Morfeo.Il 23 ottobre 2005 Andrea Bargnani non ha ancora vent’anni, la faccia bianca dei ragazzi appena sbocciati e i capelli dritti, sparati all’insú come andava di moda in quei giorni. Sul parquet di legno chiaro del Palaverde di Treviso demolisce la Lottomatica Roma, una delle migliori squadre del campionato. In 24 minuti mette a segno 25 punti, andando a canestro in tutti i modi: da tre, in post, di forza o di fioretto; una cosa mai vista per un giocatore di 2 metri e 13 centimetri, almeno in Italia. Se la crescita del talento è esponenziale, per i fenomeni c’è sempre un momento preciso in cui tutti si accorgono che no, una cosa cosí non si vede poi tanto spesso. Nel basket italiano, poi, l’avvento di Bargnani fa gridare al miracolo: «Perché non potremmo sognare anche noi di avere il nostro Nowitzki?» si chiedono il giorno successivo sul «Corriere della Sera», cavalcando un paragone con il giocatore europeo piú forte di tutti a cui il «Mago», questo il soprannome che lo accompagna da sempre, sembra davvero assomigliare. Il primo a chiamarlo cosí era stato Riccardo Pittis, perché suonava bene accanto al suo cognome. Dieci anni dopo Bargnani è seduto, infortunato, al Madison Square Garden, l’arena piú famosa del mondo. Uno spettatore scelto a caso tra il pubblico deve indovinare, a partire dalla foto di un bambino, il giocatore dei New York Knicks corrispondente per vincere un qualche premio di poco conto. Quando sul maxischermo appare l’immagine di un giovanissimo Bargnani, i tifosi iniziano a fischiare senza pietà. Lo avevano fischiato già durante il primo tempo della sua prima partita a New York, dopo un paio di tiri sbagliati. Nel giro di pochi anni è passato dall’essere uno dei migliori prospetti del basket europeo all’essere una barzelletta. Parlare di lui in maniera obiettiva è impossibile, c’è sempre qualcosa di buffo o storto o sbagliato che lo riguarda. Un termine salta costantemente fuori quando qualcuno prova a raccontarlo ed è «enigma». «L’enigma di tutti gli enigmi», «lui è un mistero perché so che il talento c’è», «è e sarà sempre un mistero». Insomma, sembra impossibile capire chi sia Bargnani, cosa pensi, cosa voglia, perché abbia dissipato il suo talento in maniera tanto assurda, come se non gli importasse nulla.

***

Da piccolo, dice, vuole giocare a calcio, ma la madre ha altri programmi: «Come tutti i bambini della mia età avrei voluto giocare a pallone, ma mia madre aveva un progetto diverso e mi iscrisse alla San Paolo di Roma». Ovunque vada è il piú alto, il piú veloce, il piú dotato: «Considerando la mia altezza elevata, ho sempre avuto una certa naturalezza nei movimenti, però non pensavo di essere un predestinato». A sei anni si trasferisce con la famiglia a Trezzano Rosa, tra Bergamo e Milano, dove continua a giocare a basket. A dodici torna a Roma e cerca una squadra, ad accoglierlo è la SAM Basket di Roberto Castellano, l’allenatore che Andrea Bargnani gli cambia la vita. Ogni giorno dalla sua casa nel quartiere dell’Olgiata alla palestra di Montesacro dove si allena, svariati chilometri avanti e indietro. «Ho fuso addirittura il motore della mia macchina dell’epoca», dirà il suo allenatore parlando di quei giorni. Oggi di Bargnani dice: «Con lui il mio lavoro è riuscito a metà. Prima di tutto, io voglio formare degli uomini, non solo dei giocatori. […] dal punto di vista dell’uomo credo di aver fallito». Sempre lui l’aveva convinto ad aggiungere un allenamento al mattino presto, prima di andare a scuola: «Farò di te un giocatore da Nba. Ti fidi?» Bargnani si era fidato. Dopo due anni in B2 con la Stella Azzurra, nel 2003 va alla Benetton Treviso, una delle migliori squadre del Paese. In un trafiletto su «Repubblica» che racconta il trasferimento viene chiamato Fausto. Il giornalista che lo scrive aggiunge anche che la squadra veneta, sui giovani, ha «l’occhio lungo». Dopo le prime partite tra i professionisti viene inserito dai Seattle Supersonic in una lista di possibili candidati per il Draft Nba 2006, l’occasione in cui i migliori giovani talenti vengono scelti dalle franchigie in base a un ordine stabilito da una lotteria, che premia le squadre perdenti. Ogni volta che Bargnani scende in campo è pieno di osservatori arrivati dagli Stati Uniti per vederlo giocare. In meno di un anno viene eletto miglior giovane dell’Eurolega, vince lo Scudetto da giocatore decisivo e pochi giorni dopo diventa il primo europeo a essere scelto con la chiamata numero uno al Draft Nba del 2006, un momento storico per lui e tutto il basket italiano. A selezionarlo sono i Toronto Raptors, che hanno appena assunto come vicepresidente e assistente al general manager Maurizio Gherardini, colui che lo aveva prelevato dai campetti della capitale per portarlo a Treviso. Quella sera, davanti ai microfoni di tutto il mondo, mentre indossa un completo Armani troppo largo, il Mago dice: «Mi sembra di essere una star del calcio». Pochi giorni prima un dirigente della Benetton lo aveva messo in guardia: «In America dovrà abituarsi a riviste e riflettori. Lí ci sono multe salate se non parli con la stampa».

***

Se cercate il suo nome su YouTube, uno dei video con piú visualizzazioni è quello dell’azione con cui si procura un brutto infortunio al legamento del gomito che lo terrà fuori dal campo per un anno. Bargnani riceve in punta, finta il tiro da tre per poi invece mettere palla a terra e battere dal palleggio il recupero dell’avversario. A quel punto, nonostante due giocatori dei Philadelphia siano collassati verso il centro dell’area creando un muro tra lui e il canestro, decide comunque di proseguire la sua azione provando a saltargli sopra. Il tentativo di schiacciata finisce però con il Mago che si schianta goffamente contro i due avversari, per poi ricadere a terra malamente sul gomito. È una giocata ridicola e scoordinata, come raramente se ne vedono in Nba, e a tentarla è un giocatore che aveva fatto del controllo del corpo e della rapidità le sue qualità migliori. Come sottofondo al video c’è la canzone I believe I can fly di R. Kelly, nei commenti al video, l’utente «bennyryan» scrive: «Questo video mi svolta la giornata quando sono giú». Qualche settimana prima aveva provato un tiro quando sul cronometro della partita mancavano meno secondi che su quello dell’azione e la sua squadra era avanti di due punti. In casi come questo il buon senso vuole che il giocatore tenga in mano il pallone per far scorrere il tempo e costringere l’altra squadra a fare fallo, o al massimo che lo passi a un compagno per non perdere il possesso e non dare la possibilità agli avversari di pareggiare o vincere la partita. Dopo il tiro, sbagliato, il telecronista urla: «Cosa sta facendo? Perché ha tirato? Perché?» È cosí stupito che la sua voce diventa stridula. I compagni in panchina si mettono le mani nei capelli, Bargnani prova a mormorare qualche scusa con la bocca aperta. A guardarlo sembra su un altro pianeta, distante mille anni luce dal basket. Bill Simmons, un noto giornalista sportivo, su Twitter scrive: «Bargnani ha preso il tiro piú stupido in eoni». Dopo la firma da free agent con i Brooklyn Nets nell’estate del 2015, su «Vice» esce un articolo dal titolo Tutti odiano Bargnani, ed è un sentimento reciproco. Il testo è denigratorio in modo volutamente esagerato; tuttavia è interessante la conclusione che trae, ovvero che il rancore dei tifosi americani verso di lui vada oltre il fatto di essere stato una prima scelta al Draft che non ha rispettato le attese: il loro odio viene dal comportamento messo in mostra in campo e fuori. Nell’articolo si evidenzia come a Bargnani «non freghi niente di niente», e si aggiri per il campo «come uno zombie con le braccia penzoloni». (...)

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura