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Andrea Baldini, il più forte nonostante tutto
09 feb 2022
Mille vite di un fiorettista geniale.
(articolo)
13 min
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Una mattina, durante le ultime vacanze di Natale, scorrendo lo schermo del mio smartphone ancora nel torpore del sonno, ho visto per caso – dopo moltissimo tempo – una foto del fiorettista livornese Andrea Baldini postata sull’account Facebook della Federazione Italiana Scherma.

Nello scatto Baldini ha la schiena inarcata all’indietro, i pugni chiusi in avanti che stringono maschera e fioretto e insieme rivendicano una stoccata, il viso fermo in un grido che rilascia la tensione dei minuti precedenti, quelli impiegati a segnare il 15-13 che ancora non compare sul tabellone retrostante. Il contrasto tra la prossemica del grande campione e il contesto di quella scena – una semplice gara di qualificazione – ha attivato un corto circuito che mi ha fatto sostare più a lungo sulla fotografia. Quella mattina ho pensato a un fenomeno del tutto peculiare che interessa questo schermidore come pochi altri: l’impossibilità, in ogni immagine che lo ritrae, di vedere solamente quella, tenendo fuori il resto della sua storia.

Quella stessa giornata, il 19 dicembre, che è anche il giorno del suo compleanno, Baldini ha conquistato un ottavo posto perdendo ai quarti di finale contro Alessio Foconi, sconfitto a sua volta in finale da Daniele Garozzo, entrambi parte della nuova generazione di fiorettisti della nazionale strutturata dopo Rio 2016. Ecco allora che la foto di Baldini non racconta solamente la storia di una quindicesima stoccata tirata per accedere agli ottavi, ma diventa un punto preciso di un’epica personale e universale insieme: da un lato quella di un campione che ha ancora la necessità e il desiderio di imporsi tra i più forti, dall’altro quella di un’arma come il fioretto che negli ultimi quindici anni è stata attraversata da una rivoluzione tecnica non irrilevante.

Mille anni fa, quando a scuola ho studiato le stelle, ho letto che dopo l’esplosione diventano nuclei densissimi di neutroni. Tengo con me questa immagine, è quella esatta per andare avanti con questa storia fatta di stelle che esplodono e vicende che si addensano una sull’altra.

Sentire il tempo

Spesso ci capita di leggere o scrivere storie di atleti da record, di enumerarne successi, medaglie e riconoscimenti. Forse per tanti di loro vale la frase di Tolstoj che in apertura di Anna Karenina ricorda quanto tutte le famiglie felici si somiglino: tutti i grandi campioni di altissimo livello sotto tanti aspetti si somigliano, nel modo in cui dedicano il proprio tempo ad allenarsi per un obiettivo, per esempio, o nel modo in cui affrontano sacrifici fisici e personali in nome di un risultato preciso. Ciascuno, però, quando affronta la tragedia, risplende nella propria unicità. Quando si guarda da vicino la carriera di Andrea Baldini ci si rende conto di avere a che fare non solo con uno degli schermidori più forti del mondo nella storia di questo sport, ma anche con un atleta che si è imposto come il-più-forte-nonostante-tutto, fin dall’inizio.

Classe 1985, Baldini si forma alla Fides Livorno, lo stesso club di Aldo Montano, ma con un’arma diversa: il fioretto è adatto alla sua forma fisica, una statura media, un fisico smilzo che gli dà il vantaggio della velocità senza dover contare sulla forza fisica. Il maestro Paoletti ha subito a che fare con un potenziale prezioso e lo riconosce in quel bambino mancino che un giorno ha bussato alla porta del suo club: Andrea sente il tempo.

Sentire il tempo è una caratteristica molto difficile da allenare, un dono per lo più innato che permette allo schermidore di individuare il momento esatto per segnare il colpo, quello in cui l’avversario non è in grado di parare o controparare perché sospeso tra un movimento e l’altro. Nella palestra livornese il giovane fiorettista mette appunto uno stile fondato sulla velocità e sulla costruzione della frase schermistica, una sequenza di azioni combinate che confondono l’avversario e riescono ad andare sempre a segno. Maneggiando il fioretto con la mano sinistra, inoltre, la punta del fioretto di Baldini è molto più vicina alla spalla dell’avversario, quella del braccio armato: il colpo di fuetto lanciato alla schiena, tirato in velocità dopo una parata di prima, diventa l’azione più frequente e insidiosa di un atleta che a soli diciotto anni viene convocato a giocare la stagione di Coppa del Mondo 2003/04 insieme alla nazionale maggiore, conquistando un argento nella prova di Vienna. È ancora troppo giovane per l’olimpiade di Atene, ma tutti vedono in lui una grande promessa. Il diciottenne punta a Pechino 2008, sono solo quattro anni e c’è tutto il tempo del mondo per crescere ancora.

Rivoluzione

La storia di Baldini è quella di un campione-nonostante-tutto fin dall’esordio internazionale. Dopo Atene 2004 il mondo della scherma, principalmente nelle armi convenzionali del fioretto e della sciabola, subisce una rivoluzione che per molti (tecnici e atleti) ancora oggi riporta i segni del trauma. Questa rivoluzione è dettata da un cambiamento tecnico mirato a rallentare il ritmo del match per favorire da un lato la comprensione da parte di un pubblico non specialista (e quindi degli sponsor), dall’altro per agevolare l’interpretazione arbitrale; le azioni schermistiche, infatti, risultavano troppo veloci per determinare con sicurezza a quale dei due schermidori assegnare la priorità di attacco.

A partire dal 2005 la federazione internazionale (FIE) ha comunicato che i tempi di accensione della stoccata sarebbero cambiati: se prima di Atene una stoccata poteva accendersi con una pressione sulla punta tra 1 e 5 millisecondi, secondo la nuova regola adesso si sarebbe accesa con una pressione tra i 13 e i 15 millisecondi. Un’altra modifica decisiva è quella relativa al tempo di blocco, ovvero al tempo che intercorre tra le stoccate dei due schermidori. Nella armi convenzionali, fioretto e sciabola, quando si accendono due luci sul segnalatore la responsabilità dell’assegnazione della stoccata sta all’arbitro. Per facilitare questo lavoro, il tempo necessario affinché due luci possano accendersi è stato abbassato dai 700-800 millisecondi ai 275-325 millisecondi.

È incredibile quanto poche frazioni di secondo possano determinare la storia di uno sport. Quali sono state le conseguenze più immediate di questi cambiamenti? Certamente un rallentamento dell’azione a discapito di colpi, come quello di fuetto, che nella velocità trovavano la propria forza. La potenza e l’ampiezza negli affondi, e con essa la capacità di toccare prima dell’avversario grazie a un vantaggio fisico, è stata un’altra conseguenza che ancora oggi si può notare nella nuova generazione di fiorettisti, in cui l’altezza, rispetto al passato, è diventata un elemento importante. Se da un lato Andrea Baldini avrebbe potuto essere svantaggiato da questo imprevisto, dall’altro la giovane età gli ha permesso di adattare la sua scherma molto più velocemente rispetto ai suoi colleghi più anziani. Le sue stoccate più forti non si accendono più, ma il livornese ritorna in palestra, e lì di nuovo studia, lavora, modifica. Il tempo gli è amico, il tempo, nonostante tutto, gli parla ancora.

Furosemide

A luglio del 2007 Andrea Baldini vince il suo primo oro europeo a Gand, un risultato che gli permette, dal gennaio 2008, di essere matematicamente qualificato per Pechino. Con largo anticipo sull’evento, lo schermidore è già il numero uno al mondo; lo sarebbe stato, di fatto, anche nel tabellone di diretta alle olimpiadi, ciononostante decide di partecipare agli Europei di Kiev, dove vince un altro oro insieme ai compagni di squadra tirando in finale contro la Polonia. Di quello che è successo dopo se ne è parlato a lungo.

Il primo agosto il livornese viene confermato positivo alla sostanza dopante della furosemide, un diuretico bannato a causa della sua proprietà di mascherare altre sostanze. A pochi giorni dalla partenza per la sua prima olimpiade il fiorettista più forte del mondo viene fermato sulla soglia di casa, la medaglia d’oro viene revocata all’intero team italiano e consegnata alla Polonia, mentre l’atleta viene escluso dal circuito agonistico per sei mesi.

La positività di Baldini ancora oggi resta un mistero. Che senso avrebbe avuto per un atleta già qualificato per le olimpiadi in pole position compromettersi con sostanze dopanti, mettendo a rischio inutilmente la sua carriera? Quali benefici fisici avrebbe ricavato considerato anche il tipo di scherma che aveva caratterizzato il livornese fino a quel momento, una scherma di controtempi, piuttosto che di attacchi incentrati sulla potenza fisica? Lo scandalo conquistò nell’estate del 2008 le pagine di tutti i maggiori giornali italiani e attirò l’attenzione di molti programmi televisivi, in cui le ipotesi del complotto venivano ristrette a due filoni principali: alcuni riconducevano il fatto al piano internazionale, immaginando che alcune delle nazioni leader nel fioretto avessero voluto mettere fuori gioco l’atleta più favorito nella competizione; altri invece riportavano il movente in Casa Italia, vedendo nel fiorettista Andrea Cassarà il maggior beneficiario della sospensione di Baldini: Cassarà avrebbe infatti preso il posto lasciato libero dal livornese.

L’anno dell’Uragano

Ancora una volta, la storia di Andrea Baldini si conferma quella del fiorettista-più-forte-del-mondo-nonostante-tutto. Nella primavera del 2009 la Federazione Internazionale di Scherma lascia cadere le accuse di doping riconoscendo il sabotaggio della bottiglia d’acqua dell’atleta a opera di ignoti. In soli sei mesi il campione riprende da dove aveva lasciato e punta ancora più in alto, perché questa volta il risultato non sarebbe servito solamente a provare la sua superiorità tecnica ma anche a confermare la sua innocenza morale. Baldini riconquista, dopo la sospensione, il primato del ranking mondiale nella specialità del fioretto: lo fa confermandosi unico atleta nella storia della scherma ad aver vinto nella stessa stagione due ori europei (individuale e a squadre), due ori mondiali (individuale e a squadre), due eventi di coppa del mondo e la Coppa del Mondo generale.

Quei primi giorni di ottobre dopo la vittoria al mondiale di Antalya la foto iconica dell’atleta con il tricolore diventa parte di un fenomeno intermediale curioso: alcuni versi del testo di Hurricane di Bob Dylan, riportati da Baldini sulla bandiera italiana, si trasformano da canzone di protesta antirazzista in un inno sulla giustizia sportiva (Here’s the story of the Hurricane/ the man authorities came to blame/ for something that he had never done).

Giro di boa

Il debutto olimpico di Baldini arriva in ritardo di quattro anni, a Londra 2012. In quell’occasione riesce a conquistare l’oro a squadre insieme ai compagni Giorgio Avola, Valerio Aspromonte e Andrea Cassarà. Il livornese firma la stoccata determinante del match, quel 45-39 segnato con una perfetta parata e risposta da vero difensore sull’attacco del giapponese Ota.

La vittoria con la squadra non cancella però l’amarezza di quell’oro individuale, l’unica medaglia che – paradossalmente – non riuscirà mai ad ottenere. Ironia della sorte? Forse solo un epilogo coerente alla storia di un atleta che ha sempre navigato controcorrente rispetto alle contingenze avverse, molto spesso provandosi più forte, altre volte, più raramente, rassegnandosi ad accettarle.

A Londra iniziano a farsi vedere le conseguenze di quella rivoluzione tecnica che dopo Atene aveva obbligato atleti e maestri a ripensare al modo in cui stare in pedana. L’egiziano Alaaeldin Abouelkassem, classe 1990, e argento proprio in quella edizione, è il simbolo di una nuova generazione di fiorettisti che proprio allora si stava affacciando sullo scenario internazionale: al vantaggio fisico dato dall’altezza, si aggiungeva il fatto che il giovane atleta si era formato con il nuovo corso, senza passare, come i suoi colleghi più anziani, attraverso lo sforzo dell’adattamento.

Fame

Mentre racconto questa storia non posso fare a meno di domandarmi per quanto tempo si riesca a convivere con il desiderio di provare se stessi al mondo, affermarsi innocenti, confermarsi i più forti, inattaccabili fisicamente e quindi moralmente. Fino a quando il desiderio riesce a tenere affamato il campione? Quand’è che invece finisce per divorarlo?

L’ultima olimpiade di Andrea Baldini è stata quella di Rio, un momento non particolarmente felice per la squadra italiana, con la sconfitta tutta da dimenticare contro la Francia in semifinale (45-30) e contro USA (45-31) per la medaglia di bronzo. Credo sia stata quella l’ultima volta in cui ho visto una sua fotografia, l’ultima volta prima dello scorso Natale.

Lo raggiungo al telefono una mattina all’inizio di questo anno nuovo, mentre passeggia per le strade di Rocca di Papa, dove ora vive con sua moglie, la fiorettista turca Irem Karamete. Gli chiedo di raccontarmi cosa vede lui in quell’immagine che per me tiene insieme gli ultimi quindici anni del fioretto italiano e molto di più.

«Mi piace questa foto», commenta con un forte accento toscano. «Mi piace perché si vede che non sono più un ragazzino, ma ci vedo dentro la stessa voglia di esultare ed essere felice per una vittoria, anche se non era il campionato mondiale o le olimpiadi. In quell’incontro in particolare perdevo con Macchi, un ragazzo molto più giovane di me. Era un match in cui ho fatto tanti errori ma sono riuscito in qualche modo a recuperare alla fine. In quella gara ho superato alcune cose mentali a causa delle quali ero caduto in passato, anche in momenti più importanti della mia carriera».

Baldini, mi racconta, ha combattuto nell’ultima parte della sua attività agonistica con problemi di salute mentale legati a forti attacchi d’ansia. «Stranamente», aggiunge «non erano collegati agli eventi di Pechino: dopo quella vicenda ero talmente arrabbiato con quello che mi era successo che mi sentivo anche più forte. Le cose sono cambiate intorno al 2011: ho avuto episodi di ansia legati a momenti di socialità, quando mi trovavo in mezzo alle persone. Ho fatto uno sport con una maschera e per tutta la vita mi sono sentito protetto. Con gli anni si è venuta ad accentuare una discrepanza molto forte tra la persona che ero in pedana e quella che ero nella vita di tutti i giorni e la difficoltà a relazionarmi agli altri a un certo punto è arrivata a invalidare anche la mia concentrazione in gara o in allenamento. Aver tirato il freno nel 2016 è dipeso soprattutto da questo, anche se ho sempre avuto molto difficoltà a parlarne».

Ecco allora che l’ennesimo strato di significato si viene ad aggiungere allo scatto rubato sul 15-13 nella gara di qualificazione di Erba: è la storia del campione che torna ad essere presente in certi gesti, a sentirli di nuovo propri, pur non avendo mai smesso di eseguirli davvero.

«La scherma è cambiata tantissimo negli ultimi anni, dopo le olimpiadi di Rio», commenta Baldini, «il nuovo stile che si è imposto nel fioretto può piacere o non piacere, quello che non cambia mai nel tempo è la mentalità dei campioni. Atleti come Garozzo e Meinhardt non sono poi tanto diversi dagli altri grandi nomi del passato: la capacità di concentrazione su un obiettivo e la caparbietà sono gli elementi che alla fine fanno la differenza e aiutano a vincere».

O a tornare in pedana ogni volta nonostante tutto, mi sento di aggiungere.

Intanto il fiorettista, attualmente al settimo posto nel ranking italiano, si prepara a gareggiare al Grand Prix di Torino previsto per il primo fine settimana di febbraio. Alla fine della nostra chiacchierata gli domando se ci sia un avversario, in particolare, che si sta preparando ad affrontare.

«Ce ne sono molti», mi dice, «ma ogni schermidore sa che si sale in pedana sempre prima di tutto contro se stessi».

In troppi altri contesti quest’ultima sarebbe stata niente più che una frase a effetto per chiudere un’intervista, ma alla luce di tutta la sua storia ho il sospetto che per Andrea Baldini si tratti di un ostacolo maledettamente reale.

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