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Daniele V. Morrone
Analisi Mondiali: Giappone - Costa d'Avorio
16 giu 2014
16 giu 2014
Dopo il vantaggio di Honda, entra Drogba: la Costa d'Avorio corre il doppio, vince il match, e si candida ad ostico avversario per un potenziale Ottavo contro gli Azzurri.
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Daniele V. Morrone
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A Recife, a un orario assurdo per gli europei che seguono il Mondiale (3 a.m., praticamente solo chi segue le Finals NBA può dire di avere la tv accesa a quest’ora in Europa) è andata in scena la partita del Gruppo C tra il Giappone e la Côte d’Ivoire (a quanto pare la FIFA ha “chiesto” ai telecronisti di utilizzare il nome internazionale… si occupano solo di cose importanti per il calcio). Alla vigilia era facilmente pronosticabile uno scontro tra la tecnica, il controllo del pallone e degli spazi della squadra di Zac e la potenza e il gioco diretto della squadra di Lamouchi. Neanche a farlo apposta anche lo scontro cromatico aiuta l’immaginario della vigilia con la squadra asiatica in elegante tenuta blu mare e l’africana con un bell’arancione acceso su magliette attillate tanto da poter contare i muscoli degli addominali di Yaya Touré.

Ok in questa foto niente addominali, ma fidatevi che la scelta di Puma di vestire le africane con magliette attillate non aiuta certo a combattere gli stereotipi nel calcio.

Il Giappone si presenta con il consolidato 4-2-3-1 con davanti Osako che vince il ballottaggio con l’esperto Okubo, attaccante che nell’ultima settimana aveva guadagnato posizioni nelle gerarchie fino a essere considerato sicuro titolare dalla stampa al seguito della squadra. In mediana la coppia è formata dal capitano Hasebe e dall’ormai insostituibile Yamaguchi. Honda, che prima del Mondiale aveva dichiarato di essere ancora al 70%, viene naturalmente schierato titolare al centro del trio con Kagawa a sinistra e Okazaki a destra. A differenza delle ultime amichevoli ufficiali anche la Costa d’Avorio (FIFA con me non vincerai!) opta per un 4-2-3-1 con Kalou, Yaya e Gervinho dietro all’attaccante dello Swansea Bony. Il leader Drogba parte dalla panchina. Come si scrive spesso quello dei moduli spiegati con i numeri è solo un modello per poter classificare le diverse posizioni in campo dei giocatori, immaginarsi le due squadre con due posizioni speculari sarebbe un grave errore: ad esempio la Costa d’Avorio opta per coprire tutta l’ampiezza del campo facendo salire i due esterni bassi Boka e Aurier fino quasi a toccare la linea di fondo. (Tenete a mente questa cosa perché tornerà utile più avanti.) Fin dall’inizio Zac decide di difendere schierandosi con un 4-4-2 con una linea difensiva stretta, questo però concede agli esterni bassi ivoriani molto spazio davanti e la possibilità di sovrapporsi con facilità per arrivare sul fondo. Lamouchi imposta la gara proprio con una circolazione di palla continua da parte di tutto il reparto arretrato per far passare il pallone da una parte all’altra del campo al fine di trovare uno dei due esterni liberi, tutta l’ampiezza del campo viene sfruttata e questo porta ad una difficoltà evidente per il Giappone nel recuperare il pallone. In fase di possesso comunque le sovrapposizioni degli esterni bassi giapponesi mettono in difficoltà la difesa ivoriana.

Kagawa si accentra palla al piede per liberare la sovrapposizione di Nagatomo mettendo in mezzo Aurier che non può seguire entrambi.

Non si vede però il Giappone dell’ultimo triennio: maniaco del controllo della palla e degli spazi; si vede invece il Giappone delle ripartenze del Mondiale 2010: quello delle sovrapposizioni veloci degli esterni bassi e degli scatti improvvisi palla al piede di Honda. La sensazione è strana, più volte Zac aveva detto di voler seguire i principi che avevano portato la squadra fino in Brasile e poi all’esordio si presenta il Giappone del CT Okada. La cosa però sembra funzionare visto che Honda si inventa uno dei gol più belli segnati fino ad ora al Mondiale e il Giappone sembra in controllo della situazione, anche se non della palla. https://www.youtube.com/watch?v=y9pgtt47As4 La Costa d’Avorio rimane fedele al piano iniziale e con un Aurier a destra sempre libero riesce piano piano a capire di poter fare male da destra. Il Giappone però è in controllo del risultato. Sempre in controllo. Sicuro nel controllo. Il controllo ancora una volta diventa l’ossessione della squadra nipponica che si convince di poter mantenere lo status quo contenendo il centro e le sfuriate di Yaya e lasciando la palla alla manovra dal basso della Costa d’Avorio.

Ormai Aurier è accampato in modo permanente in alto a destra, una zona di campo lasciata libera dallo schieramento nipponico.

Il primo tempo si chiude con due cross sempre di Gervinho e sempre da destra in cui la Costa d’Avorio capisce che la strategia di sfruttare tutta l’ampiezza del campo contro il Giappone di Okada (ok ora la smetto) non è errata. Il Giappone comunque ha tenuto il risultato e non ha ceduto sul piano fisico. Certo si vede un Kagawa chiaramente fuori forma dalla giocata imprecisa, un Okazaki che pensa solo alla fase difensiva e un Osako che si fa vedere solo in pressing o nei contrasti aerei; però tutto sommato la prima frazione si chiude positivamente per il Giappone, poi nelle amichevoli pre Mondiale la squadra ha dimostrato di giocare le partite in crescendo, distruggendo il Costa Rica dopo l’ora di gioco con movimenti continui e veloci. Non si può che migliorare quindi. Il secondo tempo inizia come era finito il primo: la Costa d’Avorio ha la palla e la fa girare nella propria metà campo aspettando la fascia libera su cui affondare e il Giappone rimane compatto e attento a non concedere il centro. Lamouchi decide far abbassare in modo più marcato il centrocampista Dia tra i centrali difensivi, in modo da rendere vano il pressing giapponese sull’inizio della giocata portato solo da Honda e Osako.

Per rendere vana la pressione dei due attaccanti giapponesi il centrocampista ivoriano si abbassa sulla linea dei centrali. Adesso si avrà sempre un’uscita pulita della palla dalla difesa.

Ormai sembra chiaro che il pressing dei nipponici non è in grado di garantire un recupero alto della palla e quindi delle ripartenze efficaci. Zac decide allora al 52esimo di inserire il regista Endo così da rendere più precisa la giocata. È vero l’uscita del capitano Hasebe toglie fisicità al centrocampo, ma Endo dovrebbe compensare la cosa dando tranquillità in fase di possesso. Dovrebbe. Ormai il Giappone ha il baricentro troppo basso per poter salire in modo unito e Endo si limita a rendere giocabili i pochi palloni che gli arrivano, dovendo però fare i conti con un centrocampo ben più prestante ed esplosivo fisicamente.

L’impatto del regista sulla partita è minimo.

Il tempo passa e le telecamere si fermano sempre più insistentemente sulla figura più ingombrante della panchina ivoriana, ormai però il tempo di Drogba è arrivato e la sua entrata in campo è scandita dal boato del pubblico. L’impatto emotivo dell’entrata di Drogba è immediato. Appena entrato il loro leader, gli ivoriani sembrano correre il doppio. Tempo due minuti e l’ennesimo passaggio per Aurier porta al cross per la testa di Bony, venuto sul primo palo. 1-1. Finisce il replay e Aurier ha nuovamente la palla per il cross sul primo palo, questa volta per Gervinho. Kawashima rivedibile sul primo gol, questa volta fa veramente una brutta figura e non riesce a bloccare un pallone sul suo palo. 2-1.

Due gol su cui Zac non dormirà le prossime tre notti espongono in modo crudele la nota incapacità nella gestione dei cross da parte del Giappone, ma soprattutto la falla nel sistema difensivo studiato dal tecnico italiano per la partita.

L’entrata sia di Kakitani che di Okubo portano immediata aggressività nel recupero del pallone per il Giappone. Ormai però è tardi e l’improvvisa ritrovata aggressività porta solo alla frustrazione dei giocatori nel contemplare quello che sarebbe potuto essere. In conferenza stampa Zac parla in modo chiaro di mancanza di concentrazione nei due minuti che sono costati due gol e dell’errore nel gestire la presenza di Aurier così largo. Resta però l’impressione che dopo il gol di Honda il Giappone sia piano piano regredito alla squadra di quattro anni fa e che abbia consapevolmente ceduto agli avversari la propria ragione d’esistere: il controllo del pallone e degli spazi. Va sottolineata la prestazione del leader Honda, autore di un gran gol e giocatore che più volte durante la partita si è caricato sulle spalle la squadra. Il cammino del Giappone non è compromesso, come ripetuto dal tecnico italiano: “Abbiamo due partite in arrivo e dobbiamo mantenere il morale alto. Abbiamo giocato molto meglio di così in passato e quando giochiamo come sappiamo raggiungiamo i risultati. Cosa abbiamo fatto non conta così tanto. Cosa conta è quello che da ora dobbiamo fare”. L’unico risultato possibile contro la Grecia è la vittoria. Ed è chiaro che in campo si dovrà presentare il Giappone di Zac.

I due centrocampisti che hanno toccato più palloni per le due squadre dimostrano la differenza nella distribuzione del pallone.

Dall’altra parte la squadra di Lamouchi ha dimostrato di avere una strategia chiara in mente (certo nell’esecuzione tattica va riportato qualche pizzico di anarchia in alcuni frangenti della partita con movimenti che lasciavano un retrogusto di casualità nello spettatore ed eccessiva enfasi nella progressione individuale palla al piede, ma ottimo controllo del pallone nella propria metà campo). Il talento di quelli davanti è enorme e la fisicità di tutta la squadra esplosiva. Tioté sotto controllo nella gestione, Aurier preciso nei cross e continuo nei recuperi e la consapevolezza di avere l’ingresso di Drogba da giocarsi come arma psicologica come sono stati i tre fattori che hanno cambiato la partita in favore degli africani dopo un inizio che sembrava di marca giapponese. Quanto il risultato finale sia demerito della squadra asiatica lo si vedrà già dalla prossima partita in cui con la Colombia ci sarà la sfida per il primo posto nel girone.

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