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Valentino Tola
Analisi Mondiali: Spagna - Cile
19 giu 2014
19 giu 2014
Dopo appena due partite la Spagna è stata sbattuta fuori dal torneo brasiliano. L'analisi del match contro il Cile: non soltanto una sconfitta, ma la fine dei Re del calcio mondiale.
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Valentino Tola
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In Spagna va di moda abdicare. Se però riguardo alla figura di Re Juan Carlos le discussioni rimarranno interminabili, la fine degli ormai ex Re del calcio mondiale non ammette diversità d’interpretazioni: ghigliottinati senza riguardo alcuno, e pure con accenti farseschi come lo scivolone di Casillas nel secondo tempo con l’Olanda. Peraltro è difficile scegliere se sia peggio nella sua assurdità la goleada incassata all’esordio oppure la totale dimostrazione di impotenza di ieri contro un Cile interessante ma non privo di passaggi a vuoto. I sospetti sulla tenuta del blocco storico sono stati confermati. Scarsa tenuta atletica e tenuta psicologica, di fronte sia al pressing del Cile che al vantaggio improvviso e inaspettato dell’Olanda, ma anche una crisi di credibilità tecnico-tattica: a dispetto di una rosa traboccante di talento le alternative reali a partita in corso scarseggiano, motivo per cui le ultime scelte (Piqué e Xavi esclusi dalla partita decisiva, ma anche Koke al posto di Xabi Alonso nella ripresa nella stessa identica posizione del basco, nemmeno da incursore) hanno avuto il sapore di un tentativo confuso di cambiare qualcosa senza poter in realtà cambiare davvero niente. Dentro Javi Martínez per Piqué in difesa e Pedro per Xavi, con Silva spostato al centro della trequarti nel 4-2-3-1. La mossa di Pedro ha una sua logica, visto il problema del gioco sulle fasce già intuibile dalle convocazioni. Se contro l’Olanda nel più che discreto primo tempo i tagli interni delle mezzepunte davano la superiorità di fronte al particolare sistema difensivo di van Gaal (solo due mediani e uno dei tre difensori che esce seguendo la mezzapunta), il problema di ampiezza era soprattutto difensivo. I tre centrali di difesa dell’Olanda permettevano a Daley Blind di giocare alto e larghissimo, lontano da Silva, suo teorico rivale ma troppo impegnato al centro, e da lì poter liberamente innescare van Persie e Robben. Contro il Cile stesso potenziale problema, visto che rispetto all’esordio Sampaoli torna ai 3 difensori (la curiosità è che due dei tre sono centrocampisti di ruolo, il geometrico “Gato” Silva sulla destra e “Gattuso” Medel al centro oltre a Jara sulla sinistra), liberando molto in avanti Isla a destra e Mena a sinistra. Pedro può star certo che Mena lo segue, e di fatto rispetto ai disastri con l’Olanda i problemi maggiori della Spagna non sono di coordinazione difensiva, anzi nel primo tempo la Spagna realizza anche un discreto pressing alto, le linee di passaggio verso il cervello Marcelo Díaz sono sorvegliate da Diego Costa, Silva e l’esterno che stringe nella zona della palla, e lo stesso Claudio Bravo, neo-acquisto del Barcellona e uno dei portieri più bravi che ci siano con i piedi (il suo ex allenatore alla Real Sociedad una volta disse che il suo destro è tanto preciso che potrebbe fare la barba ad una mosca) non ci pensa su troppo a sparacchiarla.

Pochi secondi dopo arriverà il gol del Cile, ma non si può dire che la Spagna sia disposta male nel suo tentativo di pressing alto.

La partita, di non eccelso livello, è tutta qui nel primo tempo: vince chi forza gli errori altrui col pressing e chi ne approfitta prima. Aranguiz si smarrisce col pallone fra i piedi nel cerchio di centrocampo, ma sul ribaltamento Xabi Alonso tira addosso a Bravo; quando invece pochi minuti dopo è Xabi Alonso, pressato spalle alla porta, a sbagliare un retropassaggio ecco che arriva il gol del Cile. E qui arrivano le note più dolenti della Spagna: mai visto tanto imbarazzo col pallone fra i piedi, mai visto tanto disordine, mai visti tanti lanci a caso. Il pressing del Cile è molto particolare, molto stretto e accentrato, e si struttura su due blocchi dalla disposizione flessibile: Sampaoli gioca con una sorta di 3-3-2-2 (scusate, mi rendo conto che siamo al delirio) in cui le due punte Vargas e Alexis stavolta senza centravanti in mezzo (Valdivia) partono più centrali ma son sempre pronte ad allargarsi, e due mezzeali/mezzepunte, Vidal sul centro-sinistra e Aranguiz sul centro-destra, che li accompagnano nelle azioni offensive e scalano su linee diverse in fase di non possesso: le due punte pressano subito i difensori centrali della Spagna, mentre Vidal e Aranguiz prendono in consegna Busquets e Xabi Alonso. Se uno dei due mediani spagnoli scala fra i difensori per iniziare la manovra, una mezzala cilena lo segue e diventa un pressing 3+1, altrimenti è 2+2. Al di là dei numeri, il pressing ha una sua efficacia nell’isolare Xabi Alonso e Busquets da Silva e Iniesta, ma non è un pressing irresistibile. Molto del suo ce lo mette la Spagna, con una disposizione sia tattica che mentale pessima ad inizio azione: decisioni errate prese per timore che a catena si trasmettono da un giocatore all’altro, e impediscono di guadagnare metri.

Il Cile pressa alto con due linee accentrate composta ognuna da due giocatori. I giocatori spagnoli sono disposti troppo stretti per poter superare questa opposizione. Anche Azpilicueta deve retrocedere troppo nell’occasione.

Manca iniziativa ai due centrali per portare su palla, Ramos è ben lontano dal trascinatore offensivo della finale di Champions e la linea di passaggio offerta da Javi Martínez è troppo stretta, senza contare le titubanze col pallone del navarro. E parlando di un altro navarro, Azpilicueta è un grosso equivoco: il pressing diseguale del Cile in realtà una via di fuga la offrirebbe, perché i terzini spagnoli avrebbero molto spazio, e un passaggio di apertura verso la fascia supererebbe le prime due linee di pressing cileno, e dalla fascia un altro passaggio verso il centro potrebbe far entrare in gioco Iniesta e Silva in superiorità contro Marcelo Díaz. Ma detto che la posizione stretta di Javi Martínez già trascina dietro Azpilicueta, quando anche il terzino del Chelsea riceve largo e libero non sfrutta i metri di vantaggio, tarda con il controllo e quasi sempre finisce con un retropassaggio insipido. Sull’altra fascia invece, un Jordi Alba perfettamente in linea con la sua anonima stagione col Barça. Con la palla che esce a fatica, anche le mezzepunte spagnole entrano troppo poco in gioco. Sul taccuino segno la prima ricezione “interessante” di Iniesta (apertura verso Azpilicueta e palla da lì al centro che smarca Iniesta fronte alla porta, da qui uno-due che supera le due linee di pressing cileno) solo al minuto 12, e la seconda al minuto 22:36…

Avanzare sulla fascia, attirare le mezzeali e i mediani del Cile e poi smarcare Iniesta o Silva. Azpilicueta non sfrutta mai questo potenziale vantaggio.

La palla lunga che spesso ne consegue non offre nessuna soluzione alternativa, con un Diego Costa in condizioni difficilmente proponibili, quasi sempre anticipato anche nei duelli aerei da un eccellente Medel (il sistema spiccatamente reattivo di Sampaoli si adatta particolarmente alle sue caratteristiche). Impacciato col pallone fra i piedi nelle occasioni in cui viene servito in area, del brasiliano sorprende l’assenza quasi totale (solo un paio nel secondo tempo prima di uscire per Fernando Torres che come prevedibile non ha certo migliorato la situazione) dei suoi tagli classici dal centro verso le fasce, che avrebbero potuto dare respiro a una squadra che faticava così tanto a salire portando palla coi terzini. Nella ripresa cambia il contesto tattico, perché il Cile decide di abbassare il baricentro: magari Vidal o Aranguiz a turno escono ancora a disturbare l’inizio dell’azione della Spagna, ma l’altro rimane più vicino a Díaz, e l’attaccante sinistro Vargas spesso retrocede a fare l’esterno di centrocampo. Decisione fisiologica e probabilmente saggia di Sampaoli, ma che inevitabilmente dà più continuità nei passaggi alla Spagna e più possibilità di ricevere palla a Silva ma soprattutto Iniesta, l’unico spagnolo che sembra in palla anche se troppo penalizzato dal contesto. Non importa se non riceve subito smarcato tra le linee, il manchego può comunque creare, come nell’assist geniale sprecato da Diego Costa. I primi 10-15 minuti della Spagna sono migliori ma basati più sull’orgoglio (e il cambio Koke-Xabi Alonso ha senso solo in questa ricerca di maggior grinta) che su una superiorità reale, e dopo che Busquets si mangia l’1-2 a porta quasi vuota la Spagna torna ai suoi passaggi senza criterio.

Un momento della fase difensiva cilena nel secondo tempo. Molto più raccolti.

L’impresa del Cile è ovviamente degna di nota, ma si può anche dire che il gioco mostrato finora sia inferiore alle attese. Davvero difficile trovare in tutta la gara dei sudamericani serie di passaggi superiori ai 2-3. Un’eccezione è l’azione del vantaggio, che mostra il meglio di una squadra a tratti all’avanguardia tatticamente: d’accordo il passaggio sbagliato di Xabi Alonso, ma Alexis che ruba, Vidal che partirebbe dal centro-sinistra ma incrocia allargandosi fino a destra e porta via il difensore spagnolo, poi sulla conduzione di Alexis ancora un altro taglio dentro-fuori dell’altra mezzala Aranguiz e da questi poi a Vargas che sul secondo palo è libero di sfruttare lo spazio creato da tutta questa serie di tagli… be’, questa è sinfonia pura. Sinfonia a ritmo di metal estremo, ma pur sempre una coordinazione che non si vede tanto spesso su un campo di calcio, ancora meno a livello di Nazionali. In certi momenti (finora pochissimi, va detto: ad esempio i primi 10 minuti con l’Australia), il Cile sembra un ulteriore passo avanti del gioco di posizione olandese/catalano degli ultimi anni: cioè i giocatori mandano a memoria la loro posizione e la rispettano, ma giocando due-tre moduli diversi a partita in corso: 4-3-3, 3-4-3, 4-4-2, e così via, perché in realtà se ne vedono anche di più. Il problema è che il calcio non è solo movimento senza palla, a tenere insieme le pedine deve essere prima di tutto il pallone e le decisioni che prendi con questo. Il Cile è una squadra a cui sembra mancare il controllo quando non c’è subito la possibilità di verticalizzare o di aggredire in pressing. Ciò ne potrebbe ridurre la competitività durante i 90 minuti (qualcosa in tal senso si è visto contro l’Australia), perché il Cile non sembra fatto per difendersi, né col pallone né al limite della propria area. Gioca sempre al limite: quanto sarà sostenibile nelle prossime gare?

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