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Valentino Tola
Analisi Mondiali: Olanda - Argentina
10 lug 2014
10 lug 2014
Dopo una semifinale non esaltante abbiamo la seconda finalista del Mondiale brasiliano. Contro la Germania che cosa dobbiamo aspettarci da Leo Messi?
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Valentino Tola
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Tutto il dibattere attorno al valore simbolico dei Mondiali e alle occasioni storiche che presenta ogni quattro anni non toglie il fatto che giocare male una semifinale mondiale è una prerogativa dei campioni, e che anche se si tratta di semifinali può sempre essere un Sergio Romero a deciderla, così come una finale può essere decisa da Marco Materazzi.
La partita in cui Messi delude e Robben non risolve è l’atroce ma fedele parto dell’unione di due squadre che

lo sono per davvero (l’Argentina per coesione, concentrazione e spirito di sacrificio, l’Olanda per un’identità tattica riconoscibile come poche altre nel Mondiale, per quanto possa piacere o meno), ma che accusano evidenti carenze qualitative: o meglio, la qualità è tantissima, ma tutta concentrata in due-tre fenomeni. Quando il resto di entrambe le squadre ha la palla o ha la personalità di un pulcino bagnato, oppure proprio non può fare meglio di quello che fa.
Passa l’Argentina, che magari ha avuto qualche occasione in più, come sarebbe potuta passare anche l’Olanda: van Gaal ha spremuto tutto quello che poteva da una rosa che impallidisce al confronto con la media qualitativa delle Nazionali olandesi degli ultimi 40 anni, con una versatilità e una creatività nelle decisioni in corsa che pochi gli accreditavano. Estremamente ingiusto quindi il paragone che capita di sentire fra questa sua Olanda pragmatica e pure “sporca” in certi momenti e l’undici raccogliticcio capitato in finale nel 2010.

 

Per parlare dell’Argentina bisogna partire da Messi. Cosa gli si chiede oggi 10 luglio 2014? Di essere decisivo. Fatta questa premessa, arriva il primo fraintendimento: la squadra è costruita attorno a Messi perché è il giocatore che più di tutti può essere decisivo, ma Messi non può essere la squadra intera. Ne è il leader tecnico, ma non può essere il leader della manovra: non può essere un vero 10 che in ogni momento influisce sul gioco. Troppo ridotta la sua mobilità, chi lo ha seguito nell’ultimo anno e mezzo lo sa bene.
Messi gioca in una mattonella, possibilmente nell’ultimo quarto di campo, e una volta che lo attivi nella sua mattonella, ma solo una volta che ci riesci, allora è ancora il giocatore più forte in circolazione, per la qualità tecnica nello stretto e per la capacità di attrarre avversari smarcando i compagni (per fare un esempio tutta l’azione del gol al Belgio nasce proprio da questa sua capacità unica). Essere decisivo in questi dettagli è il massimo che ad oggi puoi chiedere a Leo: è tanto, ma non può essere tutta l’Argentina, e forse sarà il caso di lasciargli giocare tranquillo il suo Mondiale, accettando questa realtà senza tirare in ballo costantemente confronti col Messi di due anni fa o peggio ancora con campioni del passato.

 

Il problema dell’Argentina è che difetta di mezzi di trasporto del pallone dalla sua metà campo alla mattonella di Leo. Uno c’era, Di María, il più formidabile gregario del calcio mondiale (talmente formidabile che potrebbe presto stancarsi di questo ruolo e provare a misurarsi lontano da Madrid come primattore): nell’orizzontalità del centrocampo argentino, le zingarate palla al piede del

(possibilmente accentrato come mezzala o comunque rientrando da destra, proprio per non allontanarlo dal cuore della manovra, anche a costo di perdere qualche palla) erano l’unico mezzo per distrarre attenzioni e attivare la mattonella di Leo.
In assenza di Di María, Messi in questa gara ha preso palla nella sua mattonella solo una volta, al 55’ per la precisione, fallendo l’unica grande occasione per rivelarsi decisivo nell’uno contro uno con Vlaar al limite dell’area. Ma nell’occasione Enzo Pérez si era dovuto travestire da Di María partendo in percussione dalla sua metà campo: cosa non nelle corde del

, che pure ha giocato una partita apprezzabile per dinamismo e precisione negli appoggi.
Messi non è stato decisivo, quindi ha giocato male, e l’Argentina senza Di María ha rivelato la propria impotenza di fronte alle sempre più oliate marcature a uomo di van Gaal. Tendenzialmente Wijnaldum segue Mascherano, Sneijder Biglia e De Jong si prende Messi quando arretra sulla trequarti, mentre uno dei tre centrali (de Vrij, Vlaar, Martins Indi) a turno esce a pedinare il taglio verso il centro dei due esterni del 4-4-1-1 di Sabella, e cioè Enzo Pérez e Lavezzi.
In teoria però c’è una via per avanzare a disposizione dell’Argentina, ed è sulla sua fascia destra: Zabaleta parte basso, tanto che nemmeno l’Olanda schierata a uomo lo segue sempre con Blind, quindi con più campo per giocare la palla, e poi dal 20’ Sabella scambia intelligentemente gli esterni, passando Lavezzi a destra a pizzicare alle spalle di Martins Indi, scarpe grosse e cervello non troppo fino.
L’Argentina trova ogni tanto questa linea di passaggio direttamente dai difensori ai tagli di Lavezzi e Higuaín, che potrebbe essere anche utile per trascinare via difensori e attivare Messi, ma non si può dire che domini, sia perché comunque la circolazione di palla resta spesso troppo lenta e la maggior parte delle volte dà il tempo per scalare agli olandesi, e perché quando innesca il movimento alle spalle di Martins Indi comunque poi si presentano troppo pochi in area per la conclusione.

 

Se l’Argentina guarda alla mattonella di Messi come scorciatoia per la vittoria, l’Olanda invece guarda alla posizione di Sneijder come chiave per controllare le gare. Wesley parte attivo, deciso a scappare ai radar nella sua zona preferita sul centro-sinistra. Contando anche sul 3 contro 2 dei difensori olandesi con gli attaccanti argentini a inizio azione, l’Olanda da quel lato potrebbe aver spazio per provocare l’uscita di un centrocampista argentino e innescare tra le linee Robben.
Qui va detto che l’esercizio argentino è praticamente perfetto, e torna a nobilitare l’Arte della Difesa dopo la serata di scempi brasiliani (con quel David Luiz che chi scrive aveva proclamato miglior difensore del Mondiale prima della semifinale…): è un esercizio intellettualmente esigente, in special modo per Biglia, perché in una situazione di potenziale inferiorità numerica (lui contro Martins Indi, Sneijder ma anche de Jong lì vicino) il laziale sul centro-destra deve sempre leggere correttamente quando uscire sul giocatore olandese di volta in volta in possesso del pallone per non farlo girare e quando invece ripiega deve preoccuparsi solo di intercettare la possibile linea di passaggio verso Robben o Sneijder che scala in avanti.
Biglia non si prende una responsabilità che sia una in impostazione, tutti appoggi banali, ma rispetto all’Argentina di inizio Mondiale migliora di molto le iniziative talvolta sconsiderate di un Gago sempre attratto dal pallone. E dietro di lui, la difesa schierata bassa toglie gli spazi a Robben per girarsi quando cerca fortuna centralmente, e scala puntuale quando invece l’asso del Bayern parte largo. Un Garay perfetto come al solito stravince contro van Persie le volte in cui l’Olanda, non trovando il gioco tra le linee, cerca la palla diretta sugli attaccanti, e Demichelis quando non si crede un mix fra Beckenbauer e Passarella resta un signor difensore.

 

Nella ripresa, van Gaal tappa il buco inserendo Janmaat al posto di Martins Indi, spostando Kuijt a sinistra e arretrando Blind come terzo centrale. L’Argentina non ha più la profondità sulla sua fascia destra, e anzi perde metri col passare dei minuti: le sue fasi di possesso sono caratterizzate oltre che dalla lentezza e carenza di creatività di Mascherano e Biglia dalla semplice paura di perderla e scoprirsi, mentre l’Olanda un po’ più di scioltezza nella circolazione di palla la acquista con Blind al posto di Martins Indi come terzo centrale e con Clasie al posto di de Jong (ancora senza i 90 minuti).
I cambi che Sabella realizza per provare a uscire da questa situazione stagnante poi forse la peggiorano pure: intesi come cambi offensivi, Palacio per Enzo Pérez e Agüero per Higuaín non restituiscono metri in avanti e fanno pure perdere solidità dietro. Palacio deve fare il tornante puro e semplice, non può spaziare in avanti con quei movimenti “a mezzaluna” che tanto predilige, il Kun invece è un fantasma, non tiene su palla né allunga la difesa olandese rispetto a un Higuaín che seppure svantaggiato dal contesto (anche se fai i movimenti buoni, se il centrocampo non ti fa arrivare la palla coi tempo giusti è dura) nelle ultime due partite ha mostrato una condizione incoraggiante. Sui piedi di Palacio (e anche dell’altro subentrante, Maxi Rodríguez sulla fascia al posto del sempre sacrificatissimo Lavezzi) però capiterà l’occasione più ghiotta dei supplementari, e ovviamente se fosse entrata sarebbe stato un cambio geniale di Sabella.

 

In chiave difensiva, con Palacio sulla destra l’Argentina perde le distanze fra Pérez e Biglia che avevano chiuso le linee di passaggio olandesi da e verso Sneijder fra le linee. Quindi in prossimità del novantesimo l’Olanda comincia ufficialmente a far entrare in gioco Sneijder, e da questi poi Robben. Al novantesimo in punto l’unico vero momento epico della gara, quando Robben si smarca fra Mascherano e Biglia, Sneijder davanti a lui chiude triangolo con un tacco tanto difficile da percepire quanto illuminante, e Arjen davanti al portiere si vede negare la finale da più di 100 anni di calcio argentino riassunti in un solo giocatore, Javier Mascherano. C’è l’anima, c’è la capacità di competere sempre e comunque, c’è una tecnica difensiva difficilmente superabile nel tackle che in caso di vittoria finale verrà ricordato come una delle giocate più importanti nella storia di questo Mondiale.

 

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