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Daniele V. Morrone
Analisi Mondiali: Argentina - Belgio
07 lug 2014
07 lug 2014
Un brutto Belgio esce dal Mondiale dopo una partita che non è mai riuscito a interpretare. L'errore più grave di Wilmots è stato quello di non aver avuto un “piano Messi”.
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Daniele V. Morrone
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La malsana decisione di far giocare ventidue atleti all’ora di pranzo in Brasile nelle gare di un Mondiale finisce per toccare per la quarta volta consecutiva (!) all’Argentina. Evidentemente la FIFA vuole mettere nella peggior condizione possibile una delle squadre pronosticate per la vittoria finale in modo da farne scaturire un racconto epico per le generazioni future. Oppure si tratta solo di puro sadismo. Nei confronti dei giocatori, ma soprattutto nei confronti degli spettatori che devono assistere a due squadre che centellinano i loro sforzi in modo plateale per evitare di morire disidratati a partita in corso. La corsa alle borracce al primo stop da parte dell’arbitro per un fallo è uno dei momenti indimenticabili di questa Coppa del Mondo. Il tutto aspettando con ansia il prossimo Mondiale in cui si potrà assistere a una rappresentazione con pallone e due porte della

.

 

La squadra da battere per raggiungere le Semifinali dopo 24 anni è il Belgio di Wilmots reduce dalla vittoria ai tempi supplementari contro gli Stati Uniti. Il CT belga conferma il 4-2-3-1 con cui ha finito gli Ottavi con il solo Mirallas entrato nell’11 per Mertens alla luce delle due opposte prestazioni dei giocatori contro gli americani. L’impatto avuto da Lukaku non è stato abbastanza per convincere Wilmots a farlo tornare tra i titolari, preferendo continuare con il guizzante Origi davanti alla stella della squadra Hazard, al menzionato Mirallas e soprattutto a quel De Bruyne reduce da una prestazione imperiosa. Il resto della squadra rimane immutato con la difesa dai quattro centrali e con al centro del campo la coppia afro più famosa del Mondiale. Dei due Witsel parte più in basso rispetto a Fellaini che appena può si sgancia per andare a ricevere i cross in area. Questa tattica ha funzionato contro l’Algeria, ma è stata premiata contro gli Stati Uniti.


No, Witsel e Fellaini non stanno facendo i bulli rubando i soldi della merenda a Mascherano. Ecco però la differenza di statura tra chi si contende il centro del campo.


 

Sabella, tolta la scelta obbligata di sostituire a sinistra lo squalificato Rojo con il centrale adattato Basanta, decide di affidarsi all’esperienza di Demichelis al centro della difesa per Fernández e di stupire i tifosi escludendo dai titolari il centrocampista Gago in favore di quello della Lazio Biglia messo accanto a Mascherano. Il resto del 4-2-3-1 vede i confermati Lavezzi, Messi e Di María dietro a Higuaín. La scelta di avere Lavezzi a sinistra è data dalla necessità di un uomo che rimanga sull’esterno per evitare di ingolfare la fascia centrale del campo, territorio preferito dalle due stelle della squadra Messi e Di María. Uno parte già al centro mentre l’altro ci arriva tagliando da destra. L’idea è quella di contrastare la fisicità con la qualità. Il punto debole di questa tattica è che la fascia lasciata scoperta da Di María è quella di Vertonghen che tanto bene aveva fatto contro gli Stati Uniti. Sabella è quindi cosciente di aver lasciato un vantaggio agli avversari in una zona di campo che va a mitigare il problema della velocità di base dell’esterno basso belga. Vertonghen può arrivare sul fondo quando vuole avendo il solo Zabaleta davanti. Il valore di Di María vicino a Messi però è tale da rendere prioritaria la necessità di schierarli in modo tale da farli dialogare.

 

Ogni squadra che deve affrontare l’Argentina deve avere un “piano Messi”. Il 10 utilizzando le stesse parole di Sabella “è come l’acqua nel deserto per questa squadra”. Tutto il gioco si basa su Messi. Rispetto al Barcellona gioca da vero numero 10 dove è in tutto e per tutto il regista della squadra. È lui a dettare i tempi di gioco e a finalizzare la giocata con l’assist per i compagni (con 18 chances create Messi arriva ai Quarti come il giocatore in testa a questa classifica tra tutti al Mondiale). Senza palla non corre (giocare all’ora di pranzo certo non lo aiuta…) con essa però è l’artefice di ogni prestazione di questa squadra. Dicevamo del “piano Messi” quindi, la Svizzera contro il 10 ha adottato

con Behrami e Inler incollati per tutti e 120 i minuti di gioco a Leo. La cosa ha funzionato per lunghi tratti, ma ogni volta che Messi è

è nata un’occasione da gol per l’Argentina. Lo stesso gol della vittoria di Di María nasce da una giocata con assist di Messi. Stranamente Wilmots non applica un “piano Messi” adeguato alla grandezza del giocatore, lasciando liberissimo di ricevere il 10 e con il solo Witsel a occuparsene in marcatura visto l’avanzamento di Fellaini in fase offensiva che forza De Bruyne ad arretrare sul centro sinistra ruotando di 90 gradi il triangolo di centrocampo. Questa tattica risulta fatale già da subito visto che al minuto 7 una salita di Kompany viene ostacolata perfettamente da Messi che libero poi di ricevere il pallone innesca Di María che con un rimpallo fortunato trova pronto Higuaín a sbloccare la partita. Per la terza volta consecutiva in tre partite la gara inizia con un gol entro la prima metà del primo tempo.


Messi è liberissimo di ricevere vista l’assenza di Witsel nata nell’azione precedente. Prima De Bruyne e poi Fellaini si fiondano per cercare di recuperare il pallone che il 10 con calma olimpica protegge e serve a Di María. Una leggerezza da parte del Belgio punita immediatamente con la pena massima nel calcio. Un gol subito.


 

Il gol così presto viene a genio all’Argentina che può permettersi di abbassare i ritmi appena in possesso e consegnare l’iniziativa agli avversari. La scelta di rendere facile la ricezione del pallone a Messi inspiegabilmente viene mantenuta da Wilmots e permette al 10 di farci vedere quella che forse è

. Messi sfrutta perfettamente il concetto di “pausa” rallentando improvvisamente il tempo della giocata portando gli avversari controtempo prima di liberare un perfetto rasoterra per lo scatto del compagno Di María. Un salvataggio tempestivo di Kompany permette al Belgio di salvare l’azione.

La risposta di Wilmots è quella di scambiare gli esterni portando Hazard sulla fascia di Basanta e Mirallas a sinistra e chiedendo a Vertonghen di arrivare con più insistenza sul fondo per il cross. L’incapacità da parte di Origi di liberarsi per sfruttare il tanto movimento e la gestione attenta da parte della difesa argentina nell’assorbire il cambio tattico avversario addormentano la partita. Hazard non incide minimamente e De Bruyne è più attento in fase di non possesso che con la palla. La ricezione di Messi è sempre pulita e l’Argentina gestisce il vantaggio lasciando l’iniziativa a un Belgio senza idee per poi tentare magari la giocata improvvisa.

Alla mezzora purtroppo l’ennesimo infortunio ci priva di una delle stelle del Mondiale: Di María si fa male da solo ed è costretto ad abbandonare il campo. Sabella decide di risolvere il problema Vertonghen inserendo Enzo Pérez, un centrocampista centrale energico del Benfica. Enzo Pérez viene messo sulla fascia destra di un 4-4-1-1. Non certo un inno al bel calcio questo cambio. Dall’uscita di Di María emerge Higuaín che libero di muoversi sulla destra riesce a trovare lo spazio dove poter ricevere il pallone allontanandosi dalle grinfie di Kompany, unico giocatore belga che performa al livello richiesto.


L’unica nota positiva dell’infortunio di Di María è l’ottima partita di Higuaín. La manovra del Belgio libera spazi per i movimenti di Higuaín che può ricevere il pallone lontano dallo spauracchio Kompany.


 

Con il possesso del pallone per il Belgio esce fuori puntuale il problema dell’assenza di un regista al centro del campo portando la manovra a essere prevedibile e i movimenti della punta Origi per lasciare spazio a Fellaini inutili. Salgono in cattedra Mascherano e Garay. La partita diventa il parco giochi del centrocampista del Barcellona che gestisce i movimenti della squadra nelle due fasi e aiutando nella gestione il compagno Biglia. Ogni intervento è deciso e preciso e nessun pallone viene buttato. Ezequiel Garay firma la miglior gara del proprio Mondiale controllando in tranquillità la punta avversaria utilizzando il fisico e anticipando l’arma più importante del Belgio (Fellaini che sale per i cross) con le stesse armi dell’avversario.

Il ritorno a sinistra di Hazard non cambia minimamente le cose e il secondo tempo procede con la stessa narrativa della fine del primo. Con un’ora di gioco alle spalle Wilmots decide di agire e con un doppio cambio sostituisce Origi e Mirallas con Lukaku e Mertens. La speranza è quella che il possente attaccante possa battagliare alla pari con Garay facendo valere una velocità e una freschezza nettamente superiori. Le cose non vanno nel modo sperato e Wilmots agisce in modo ancora più plateale sostituendo Hazard con Chadli. Una bocciatura pesantissima per una partita sicuramente non all’altezza del talento del Chelsea con solo due dribbling tentati (e riusciti) che stridono difronte ai nove tentati (5 riusciti) dal numero 10 avversario. De Bruyne non è in grado di giocare il pallone e Wilmots è costretto a cambiare ancora le carte spostandolo a destra per fargli trovare spazio per respirare lontano dalla piovra di nome Mascherano.


Il confronto con la partita contro gli Stati Uniti è pesantissimo per De Bruyne, i passaggi sono tutti orizzontali dato che Mascherano gli blocca ogni linea libera e la partita termina con neanche una chance creata a fronte di 7 (con assist per gol) in quella precedente.


 

Il tempo passa e con dieci minuti al termine si raggiunge il culmine della morte tattica della partita: da una parte Sabella sostituisce l’attaccante Higuaín con il centrocampista Gago, passando al 4-3-3 e soprattutto lanciando il segnale di averne avuto abbastanza degli attacchi tentati dalla propria squadra preferendo addormentare in modo definitivo la partita. Mentre dall’altra esasperato dall’incapacità dei propri giocatori nel creare occasioni da rete. Wilmots sposta in pianta stabile il centrale Van Buyten in area di rigore avversaria (!). La mossa oltre a creare imbarazzo per chiunque voglia vedere del bel calcio non fa altro che rassicurare l’Argentina che capisce di aver vinto prima di tutto psicologicamente la gara. Ormai in pieno recupero Gago lancia Messi che con 90 minuti sulle gambe non ha la freddezza necessaria per superare Courtois finendo con il tirargli il pallone addosso. Con gli spettatori a casa stremati quasi quanto i giocatori in campo la partita si chiude con la vittoria Argentina.

 

Per concludere mi piacerebbe utilizzare le parole del grandissimo

: “Il Belgio è una collezione di individualità che non funziona bene come squadra, mentre l’Argentina è una non spettacolare squadra basata interamente intorno a un individuo (Messi). Inevitabilmente quell’individuo ha dominato la battaglia tattica”.
Il Belgio quindi esce dal Mondiale in malo modo in una partita che non è mai riuscito a interpretare in nessuna delle fasi di gioco e con Wilmots che ha commesso il pesante errore di non prevedere un “piano Messi” adeguato. Essendo però questa la competizione d’esordio per la “generazione d’oro” i tifosi possono stare tranquilli, la loro prossima competizione sarà l’Europeo in Francia tra due anni in cui arriveranno ancora più talenti (ci sarebbe da scrivere un altro pezzo solo sui nuovi talenti in arrivo) sperando di trovare per strada almeno un regista e un esterno basso di livello.
L’Argentina arriva finalmente alle Semifinali di un Mondiale dai tempi di Maradona. L’assenza di Di María contro l’Olanda sarà pesantissima, minimamente mitigata dal ritorno di quel

di Rojo a sinistra. Le fortune di questa squadra dipendono esclusivamente da quelle del suo trascinatore unico. Messi non ha ancora avuto una di

che hanno fatto entrare i più grandi tra le leggende dei Mondiali e che tutti gli spettatori si aspettano ogni volta che entra in campo. Nonostante le condizioni proibitive (ripeto

) per giocare del bel calcio sta però disputando una competizione risultando decisivo come nessuno mai con quella maglia dai tempi di Diego, mettendo lo zampino in quasi ogni gol segnato dalla sua squadra. È un trattato sull’efficienza che cammina, un giocatore che a fatica corre senza palla lungo il campo ma che sa sempre cosa fare quando è in possesso. Anche questa nuova versione di Leo è un patrimonio del calcio e Sabella sa che l’Argentina arriva dove la porta il 10. Ancora una volta.

 

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