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Alfredo Giacobbe
Analisi Mondiali: Italia - Inghilterra
15 giu 2014
15 giu 2014
Il nostro Mondiale è cominciato benissimo: 2 a 1 all'Inghilterra, Sirigu dà sicurezza, segna Balotelli, usciamo vivi dalla Foresta Amazzonica. Ma era tutto previsto, "l'avevo detto io che si vinceva".
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Alfredo Giacobbe
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US AND THEM Gli italiani sono così. Quando si avvicinano ad una grande manifestazione, la distanza tra l’opinione pubblica e le scelte del CT sembrano incolmabili. Dalla scelta dei convocati alle anticipazioni sulla tattica: è tutto sbagliato, è tutto da rifare. Lo scetticismo, alimentato dalle cattive prestazioni in amichevole, accompagna Selezionati e Selezionatore fin sulla scaletta dell’aereo. Ma ad un certo punto qualcosa cambia, accade sempre. Il torneo prende il via e gli altri non sembrano poi così forti. L’ansia che negli esordi mondiali ci prende sempre, i nostri vecchi che paragonano queste veglie a quelle di Messico ’70: a un certo punto succede, nelle discussioni da ufficio o da bar, che smettiamo di usare il “loro” ed iniziamo ad utilizzare il “noi”. FORMAZIONI E PRIMO TEMPODue gli schemi provati negli ultimi tre test e Prandelli per l’esordio sceglie il modulo con i tre play: il 4-1-4-1/3-4-3 con De Rossi, Pirlo e Verratti a formare il triangolo di centrocampo e con Marchisio e Candreva a supportare Balotelli in fase offensiva. La compresenza in campo dei nostri registi ha un solo scopo: controllare il gioco. Avere il controllo può produrre tre effetti positivi: 1) spendiamo meno energie fisiche e gli avversari sono costretti a inseguirci per strapparci il pallone; 2) concediamo il tempo ai nostri uomini di raggiungere le posizioni e completare la transizione dal 4-1-4-1 difensivo al 3-4-3 offensivo; 3) ciascuno dei tre registi è capace di cambiare ritmo ricercando la profondità con precisione chirurgica. A suo modo Hodgson cerca di sorprenderci, non tanto nello schieramento che è il consueto 4-2-3-1, quanto negli uomini: ha una chance dal primo minuto Raheem Sterling, il talentino del Liverpool si piazza dietro la prima punta Sturridge. Rooney dal lato di Darmian e Welbeck dal lato di Chiellini completano il quartetto di attaccanti dal quale viene estromesso Adam Lallana. Il fantasista del Southampton, spostato sulla fascia destra, era sembrato uno degli uomini più in forma negli ultimi tre test. Il canovaccio del gioco italiano è chiaro fin dalle prime battute: De Rossi sovrintende alla manovra, abbassandosi tra i due centrali difensivi che si allargano e permettono ai terzini di salire lungo le fasce. Pirlo e Verratti si piazzano dietro la prima linea inglese, quella dei trequartisti, e si muovono attraverso questa per suggerire una linea di passaggio sicura a De Rossi. Marchisio e Candreva avanzano e stringono verso il centro per posizionarsi tra la seconda e la terza linea avversaria, ai lati di Gerrard e Henderson. Gli inglesi inizialmente provano a pressarci poi, per come riusciamo a girare palla tra i tre registi e a trovare l’uomo in profondità, decidono che è meglio aspettarci. Noi giochiamo sempre la palla e loro spendono molto: al fischio d’inizio la temperatura in campo è di 30 gradi, l’umidità è al 60%. In fase di non possesso, gli Azzurri attendono gli avversari e l’unica pressione individuale è quella di Verratti su Gerrard. Senza il loro uomo d’ordine, gli inglesi fanno fatica a portar su il pallone. La loro manovra trova sfogo sulle fasce e in particolare su quella destra si rendono pericolosi. Welbeck è più vivo di Rooney e Marchisio, che non è un tornante di ruolo, fa fatica a tracciare i suoi movimenti e quelli di Johnson. Al centro invece Sterling non fa paura più di tanto, con De Rossi che gli ha preso le misure dopo lo spavento iniziale (al terzo minuto Paletta esce in ritardo e Sterling manca di poco l’incrocio alla sinistra di Sirigu).

La partita simbiotica di Candreva e Darmian. Avessimo avuto un terzino di spinta anche a sinistra, saremmo stati il Barcellona.

Si intuisce da subito che la partita può decidersi sulla nostra fascia destra, dove Matteo Darmian si fa sempre trovare molto alto e largo. Rooney non ha il passo per seguire il torinista a tutto campo, Gerrard non scivola verso l’esterno per non lasciare spazio centralmente a Verratti. Il terzino Baines è sempre tra due fuochi, indeciso se prendere Candreva stretto e lasciar crossare Darmian; oppure andare a chiudere il nostro terzino e concedere spazio tra le linee al laziale (quando lo fa non si dimostra una buona idea, Candreva per poco non brucia le mani di Hart da 25 metri). La sblocchiamo noi, con uno schema da calcio d’angolo: non la mettiamo in mezzo dove gli inglesi ci sovrastano in statura, la giochiamo fuori per Marchisio che incrocia sul secondo palo dopo il velo di Pirlo (la finta del nostro regista mi ha esaltato quasi quanto il suo no-look per Grosso nel 2006). Gioie, sì, ma anche dolori provengono dalle fasce. Prandelli aveva ammonito: “attaccheremo molto coi terzini, ma se perderemo palla saranno dolori”. Così è quando Candreva cerca una verticalizzazione rischiosa per Balotelli invece di un più sicuro scarico verso Darmian, che ancora una volta si era fatto vedere in sovrapposizione. Rooney fa l’unica cosa buona della sua partita: si fa vedere alle spalle del nostro terzino, la copertura preventiva di Verratti non c’è e l’inglese può andare sul fondo e mettere una palla forte e tesa sul secondo palo, un cioccolatino per un cecchino come Sturridge. Gli inglesi rimettono subito la loro partita in piedi ma noi non ci abbattiamo: prima di andare al riposo c’è ancora tempo per il tentativo di lob di Balotelli, pescato alle spalle del difensore da uno scavetto geniale di Pirlo. E per il palo di Candreva, sulla successiva azione da calcio d’angolo. Andiamo negli spogliatoi col 60% di possesso palla e con la strana convinzione che, sì, possiamo farcela. SECONDO TEMPO Hodgson muove i suoi trequartisti e inverte la posizione di Rooney e Welbeck, con quest’ultimo chiamato a mettere una pezza alle avanzate di Darmian. I trequartisti inglesi sono troppo stretti, mentre il torinista pesta la linea laterale e non lo vedono mai partire. Dopo cinque minuti siamo di nuovo avanti e il cross decisivo per la testa di Balotelli parte ancora dalla fascia destra e dai piedi di Candreva.

L’azione del gol del 2-1: Jagielka esce per aiutare Baines, ancora una volta da solo contro due, e lascia Cahill a marcare Balotelli in area.

Il gol dovrebbe tranquillizzarci e permetterci di congelare il ritmo della partita. In realtà siamo meno uniti del primo tempo e qualche spazio tra le linee lo concediamo, soprattutto a Sturridge che prova a piazzare due volte il mancino da fuori area. Gerrard ora ha più spazio per cercare il cambio di gioco sulle due fasce, perché Verratti è stanco e non riesce più a chiuderlo. Se ne accorge Prandelli, che al cinquantasettesimo lo sostituisce con Motta. L’italo-brasiliano non è meno bravo degli altri col pallone tra i piedi, soprattutto quando si gioca sotto ritmo. Hodgson fa la sua mossa quattro minuti dopo: fuori Welbeck e dentro Ross Barkley, che va a piazzarsi dietro Sturridge con Sterling spostato in fascia. A parte il tiro di destro alla prima occasione che Sirigu respinge a terra, Barkley non mette paura perché l’Inghilterra è stanca e si spezza in due tronconi. I sei uomini difensivi non accorciano più verso i quattro attaccanti, preferiscono anzi utilizzare i lanci lunghi, che i nostri difensori vedono partire e rendono inoffensivi. I due allenatori sono entrambi molto lucidi e lo dimostrano con le sostituzioni che operano contemporaneamente al settantatreesimo: Hodgson toglie il muscolare Henderson per inserire il talentuoso regista dell’Arsenal Wilshere; Prandelli concede riposo a Balotelli e mette dentro Ciro Immobile. Le loro intenzioni sono chiare: gli inglesi vogliono riprendere a giocare la palla e rischiano tutto; gli italiani vogliono impedire agli avversari di risalire il campo, tenendoli in apprensione con un attaccante veloce che ricerca ossessivamente la profondità. Ci abbassiamo troppo, pestiamo coi piedi il gesso dell’area di rigore. Finiamo per difendere con una linea a cinque, uno tra Marchisio e Candreva si abbassa sulla pressione di Sterling e Baines. Ultimi seicento secondi e ultimi due cambi: Lallana prende il posto dell’infortunato Sturridge, con Rooney che va a fare la punta; Parolo fa rifiatare uno stanchissimo Candreva. Pirlo e De Rossi salgono in cattedra, riprendendo il controllo totale del centrocampo: i due a fine della partita avranno completato gli stessi passaggi (105) con quasi la stessa precisione (95% per lo juventino, 94% per il romanista). Concediamo due calci piazzati che Baines e Gerrard non sfruttano – e Pirlo prova a fargli vedere come si fa. C’è tempo per due ripartenze di Immobile e Parolo, che spaventano gli inglesi. Vinciamo noi. CONCLUSIONI È la mattina dei “l’avevo detto io che si vinceva”. Gli italiani sono così. Il nostro CT ha scelto il sistema di gioco ed ha schierato coerentemente gli uomini più adatti (io ho il sospetto che abbia fatto esattamente al contrario, ma sono solo uno dei 56 milioni di allenatori). Sirigu sembra dare garanzie migliori di quelle offerte da Marchetti quattro anni fa. Potremmo migliorare recuperando la spinta di De Sciglio a sinistra e riportando Chiellini al centro della difesa. Ancora non ci siamo giocati la fantasia di Cassano e il centrocampo a Y. Adesso “noi” affronteremo la Costa Rica, che ha stupito all’esordio contro la Celeste e che non rischiamo più di sottovalutare. Adesso “loro”, Uruguay e Inghilterra, sono costretti a uno spareggio già al secondo match per sopravvivere. “Noi” usciamo vivi dalla Foresta Amazzonica, venerdì andiamo a Recife.

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