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Giuseppe Pastore
Amour
16 mar 2018
16 mar 2018
La storia incredibile di Jean-Pierre Adams, il primo calciatore nato in Africa a vestire la maglia della Nazionale francese.
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Giuseppe Pastore
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Quando Jean-Pierre Adams vide la luce, il 10 marzo 1948, il Senegal stava lentamente prendendo coscienza di sé. Léopold Senghor, il massimo politico e letterato della storia del Paese, aveva appena fondato il Blocco Democratico Senegalese, che nel giro di qualche anno sarebbe diventato il partito di governo. In mezzo, l'epocale processo di affrancamento dell'Africa Nera dal colonialismo francese e la rinascita politica e culturale, puntellata dai versi del poeta: “Si possa noi rispondere presente alla rinascita del Mondo, come il lievito serve alla farina”. Anche il calcio fece la sua parte, se è vero che Adams si può considerare il padre calcistico dei Desailly, dei Vieira, dei Makelele, degli Evra, dei Pogba, tutti quei giocatori di origine africana per cui, con il passare degli anni, la maglia

è diventata sempre più approdo naturale. Ma la vicenda umana di Jean-Pierre Adams è molto di più; è una storia incredibile, che prosegue ancora oggi. Il prossimo 10 marzo Adams compirà settant'anni di una vita tagliata con l'accetta in un giorno ben preciso, che l'ha cambiata per sempre: il 17 marzo 1982.

 

Come nei film più ispirati di Wes Anderson, da bambino troviamo il piccolo Jean-Pierre in luoghi disparati. Nasce a Dakar, ma a tre anni è a Roma insieme alla nonna Paule, in Piazza San Pietro, e papa Pio XII gli impartisce una solenne benedizione “a nome di tutto il popolo africano”. Devota cattolica, Paule è la prima delle due donne determinanti della sua vita. A 10 anni parte con lei in pellegrinaggio per Montargis, a un'ora da Parigi, dove c'è un importante santuario dedicato a Notre-Dame-de-Bethléem. D'accordo con i genitori, la nonnina vuole impartirgli un'educazione “all'europea”: perciò lo iscrive all'importante scuola cattolica di Saint-Louis, dove spicca come un prete nella neve e si guadagna ben presto l'antifrastico soprannome di “Lupo Bianco”. Ci rimane per quattro anni, sradicato dalle origini e dalla famiglia, finché a 14 anni non viene accolto dai signori Jourdain, una coppia che vive lì vicino, nel paesino di Corquilleroy. Stringe amicizia con la sorellina Joelle, che ha due anni meno di lui e resta vivamente colpita dalla vitalità del nuovo arrivato. L'unico riferimento al calcio della sua infanzia è suo zio materno Alexandre, che aveva giocato nel Jeanne d'Arc, un club di Dakar. Completa gli studi, inizia a giochicchiare nelle squadrette della zona e si mantiene con i primi lavoretti, come quello di operaio in una fabbrica di trasformazione del caucciù. A 19 anni rimane coinvolto in un brutto incidente d'auto in cui perde la vita il suo amico Guy Beaudot. Jean-Pierre ne esce solo con qualche graffio, e qui finisce la prima parte della sua vita.

 



La carriera da calciatore di Jean-Pierre Adams inizia seriamente solo nel 1967, quando a 19 anni viene tesserato da una società che porta il mirabolante nome di Entente-Bagneaux-Fontainebleau-Nemours, per brevità chiamata EBFN. È una squadra che ha il quartier generale a 60 chilometri a sud di Parigi, e qualche decennio dopo ospiterà i primi passi di un altro giovanissimo "

", Lilian Thuram.

 

Gioca soprattutto in attacco, segna molto e guida l'EBFN alla conquista di tre campionati amatoriali consecutivi. È il 1968: mentre la Francia vive mesi eccitanti e decisivi per la propria storia sociale, Jean-Pierre incontra a un ballo a Montargis la seconda donna della sua vita, del tutto diversa dalla prima. È bella, bianca, bionda, ha quattro anni più di lui e si chiama Bernadette: li unisce la comune passione per il tango, il bandoneon e tutta la musica ballabile del mondo. Si frequentano, scoprono di essere fatti l'uno per l'altra e dunque si fidanzano nonostante la forte opposizione della famiglia di lei, specialmente della madre. Un invito a cena, modello Spencer Tracy e Katharine Hepburn, appiana le diffidenze. Convolano a giuste nozze nel 1969 e la loro storia è lo specchio dei nuovi tempi: «Lasciai casa per andare a vivere con lui a Fontainebleau», ricorderà lei. «Dopo la proposta di matrimonio scrissi una lettera ai miei genitori: ci sposiamo il 6 aprile, siete invitati. Mia madre rispose: tornate a casa tutti e due. Ma poi è diventata la sua prima tifosa, tanto che in tribuna prendeva a ombrellate quelli che osavano parlare male di lui».

 

Le parole di Bernadette anticipano i futuri sviluppi della carriera di “Jipé”, che prende una discreta impennata all'inizio degli anni Settanta. Mentre è sotto le armi, le sue imprese a Fontainebleau attirano l'attenzione dei “Coccodrilli” del Nîmes, squadra di metà classifica di Ligue 1 allenata da un uomo leggendario, Kader Firoud. Ex centrocampista di origini algerine, nazionale francese dalla carriera brutalmente interrotta da un grave incidente d'auto nel 1954, ha metodi di lavoro poco ortodossi, i suoi allenamenti sono molto più duri della media ma è

, con discorsi che sfiorano la trascendenza: «Quando giocavamo in casa avevamo un'identità molto forte. Da un lato questa specie di protestantesimo calcistico, fatto tutto di rigore e di dirittura morale; dall'altro, questo spirito competitivo innato che trasformava l'incontro calcistico in una specie di tauromachia e l'avversario in toro, di fronte al quale dovevamo approdare al momento della verità».

 

Alla guida di Nîmes, Tolosa e Montpellier dal 1955 al 1982, Firoud è il secondo allenatore con più presenze (782) della storia della prima divisione francese, alle spalle del solo Guy Roux, santone dell'Auxerre per 44 anni. Adams è una delle sue invenzioni più brillanti: Firoud gli concede un provino durante un'amichevole a Rouen, a cui il 22enne Jean-Pierre – che non ha la patente - si presenta accompagnato dalla moglie al volante di un'utilitaria Simca 1000, non esattamente il prototipo dell'auto da calciatore. Il test va alla grande: Firoud rimane colpito dalle sue doti atletiche sopra la media (l'altezza di un metro e 78, oggi men che normale, all'epoca era più che notevole) e pensa di affidargli la maglia numero 4 e trasformarlo in un poderoso

proprio com'era lui da giocatore. Il giorno dopo Jipé si presenta a sorpresa nel negozio di biancheria di Gien, dove lavora Bernadette, per comunicarle la grande notizia: da adesso si cambia vita, da adesso si va a giocare in Division 1.

 



Quarto posto, secondo posto, settimo posto: nei tre anni di Adams, il Nîmes mantiene un rendimento molto alto ma manca sempre l'acuto finale. Il rimpianto maggiore riguarda la stagione di mezzo, in cui ai "Coccodrilli" non bastano cinque vittorie nelle ultime cinque partite per operare il sorpasso sul Marsiglia del formidabile centravanti Josip Skoblar, 74 gol in due campionati tra il 1970 e il 1972. Ma arrivano piccole soddisfazioni: la nomina di Firoud ad allenatore dell'anno, l'esordio in Coppa UEFA (prematura eliminazione contro i portoghesi del Vitoria Setubal, ma Adams segna un gol), la vittoria della Coppa delle Alpi, competizione franco-svizzera che il Nîmes si aggiudica con un pirotecnico 7-2 in finale sul Bordeaux. E poi la nascita di una grande amicizia: in una trasferta ad Ajaccio Adams fa la conoscenza di Marius Trésor, nero come lui, due anni più giovane di lui. Originario della Guadalupa, sarà il primo capitano di colore della storia della Nazionale francese e sarà punto di riferimento nella vita di Jean-Pierre, con cui passa la serata a sbevazzare nei peggiori bar della Corsica già a poche ore dal primo incontro.

 

Si ritroveranno e si scambieranno il cinque anche nel momento più bello e desiderato della carriera di Adams: l'esordio in Nazionale all'interno della Taça Independencia, un estemporaneo torneo organizzato in Brasile per festeggiare i 150 anni dall'indipendenza dal Portogallo. Adams debutta sostituendo proprio Trésor in una partita di girone contro una selezione africana. Quattro giorni dopo, contro ls Colombia, va in campo per la prima volta una coppia centrale difensiva interamente nera: un piccolo shock culturale per uno dei Paesi guida della cultura europea. Adams causa un rigore, ma la Francia vince 3-2 e lui gioca una buona partita. Per passare il turno la Francia deve battere l'Argentina e lo 0-0 finale sancisce la fine del torneo, ma il duo Adams-Trésor ci fa un figurone: è la nascita della cosiddetta “Garde Noire”, come da soprannome appioppato dal ct francese del biennio successivo, un altro allenatore leggendario dei primi anni Settanta: nientemeno che il rumeno Stefan Kovacs, che dal 1971 al 1973 aveva perfezionato l'organizzazione e l'armonia del grande Ajax di Cruijff e soci, portandolo alla vittoria di due Coppe dei Campioni.

 


L'esordio in Nazionale della coppia centrale Adams-Trésor contro la Colombia, nel 1972. Al minuto 3:40 la “Garde Noire” si perde Moron, e Adams – con il numero 2 – è costretto al fallo da rigore.


 

Trésor gioca da libero ed è in effetti più tecnico del poderoso Adams, che rappresenta però un vero e proprio dissuasore mobile per tutti gli attaccanti europei, in un'epoca in cui i difensori di colore si contano ancora sulle dita di una sola mano. È il primo giocatore nato in Africa della storia della Nazionale francese: prima di lui c'erano stati Raoul Diagne (1931-1940), figlio di un politico senegalese ma nato in Guyana Francese, e Lucien Cossou (1961-1964), originario del Benin ma pur sempre nato a Marsiglia. L'esordio ufficiale della coppia è nella vittoria per 1-0 sull'Unione Sovietica, match d'esordio del girone di qualificazione ai Mondiali 1974. Una discreta autorità in materia, Franz Beckenbauer, dichiara a

che Adams e Trésor formano una delle migliori coppie centrali d'Europa. Ma i sovietici sono un osso duro: imperniati quasi interamente sul blocco della Dinamo Kiev che vincerà la Coppa delle Coppe 1975, tengono botta e superano i francesi sul filo di lana, battendoli 2-0 nella partita decisiva allo stadio Lenin di Mosca. Quel giorno Adams non è in campo, e agli spareggi ci va l'URSS (accoppiati al Cile, nell'autunno 1973 i sovietici poi diserteranno quel famoso spareggio, in segno di protesta contro la dittatura di Pinochet appena insediatasi). La buona stella della

inizierà lentamente a offuscarsi nel biennio successivo, e la carriera in Nazionale di Adams si concluderà nel 1976 con 22 presenze e nessun gol.

 


La Marsigliese prima di Francia-Portogallo del 1973, in cui Adams gioca titolare con la maglia numero 7. Notate come quarant'anni fa nessuno si preoccupasse di cantare l'inno.


 

Nel 1973 Jean-Pierre si trasferisce in Costa Azzurra, luogo che entra immediatamente nel cuore dei coniugi Adams. Il Nizza dell'ambizioso presidente Roger Loeuillet è una squadra molto

che corteggia lungamente, e invano, un fuoriclasse come Jairzinho, uno dei cinque numeri 10 allignati in attacco dal Brasile del 1970 (Jairzinho sbarcherà in Francia solo nel 1974, purtroppo con la maglia dell'Olympique Marsiglia). Adams disputa una prima stagione clamorosa, segnando addirittura 9 gol, ma non adeguatamente supportato dal resto della squadra, “appena” quinta a 12 punti dal fortissimo Saint-Etienne, in una stagione che passa alla storia anche per l'introduzione della bizzarra regola dei punti bonus: un punto in più a ogni squadra che segni almeno tre gol in partita, a prescindere dal risultato finale. JPA è leader riconosciuto dei rossoneri anche se ogni tanto trascende, come accade in coppa UEFA. Dopo aver eliminato il Barcellona al primo turno, il Nizza ha strapazzato 4-0 il Fenerbahçe nell'andata del secondo turno: al ritorno in Turchia, quando l'arbitro ungherese Somlai concede ai turchi un rigore inesistente, Adams gli si avvicina e si abbassa i calzoncini. Rosso diretto. Squalificato per tre partite, la sua assenza sarà alla base della successiva eliminazione agli ottavi, per mano del Colonia.

 


Il 3-0 al Barcellona di Rinus Michels, che di lì a un mese avrà in squadra un certo Johan Cruijff, è certamente la più grande partita europea della storia del Nizza.


 

Il miglior Nizza del quadriennio è quello che arriva secondo nel 1976, ma Jean-Pierre ha già imboccato un prematuro viale del tramonto. Tanti infortuni e una vita non proprio ascetica gli causano uno scadimento di forma che gli costa anche il posto in Nazionale. Nel 1977 si trasferisce al PSG del presidente Daniel Hechter che ha tanti soldi da spendere, anche se le sue due stagioni nella capitale saranno piuttosto anonime: si fa però sempre benvolere, sia dai senatori che dai più giovani, verso i quali è sempre protettivo, sempre sorridente.

 

Dopo una stagione in Ligue 2 con il Mulhouse, si ritira nel 1980-81, dopo un ultimo campionato con i dilettanti dello Chalon, per cui ha in animo di fare l'allenatore-giocatore. Nella cittadina di Chalon-sur-Saône, inoltre, inaugura in pompa magna un negozio di articoli sportivi con il suo nome, dimostrando una quantità di sale in zucca non comune nel mondo del calcio anni Settanta. I coniugi Adams, oltre a essere un esempio di emancipazione e modernità, sono anche una coppia molto glamour, che vive con piacere realtà tentacolari come Parigi o la Costa Azzurra. Hanno due figli, Laurent (nato nel 1969) e Frédéric (nato nel 1976), ma riescono a conciliare bene i doveri di genitori e le esigenze di coppia.

 

li paragona alla coppia Christian Karembeu-Adriana Sklenarikova, che furoreggiavano sui rotocalchi francesi anni Novanta. Racconta Michel Mézy, compagno di squadra di Adams ai tempi del Nîmes: «Amava vestirsi in giacca bianca e camicia rosa, con un paio d'anni d'anticipo su John Travolta nella Febbre del Sabato Sera. Quando faceva caldo, era capace di cambiarsi la camicia anche tre volte al giorno». Adams si gode la vita, a volte torna a casa molto tardi se non proprio di mattina, sopportato e supportato da Bernadette con cui condivide la passione per la black music: Tina Turner, Otis Redding, James Brown, Aretha Franklin.

 



Nel 1982 Jean-Pierre Adams decide di frequentare un corso da allenatore a Digione, dove si trattiene per una settimana. Il terzo giorno, però, inizia ad accusare forti dolori dietro il ginocchio e va a farsi dare una controllata in ospedale. I raggi X riscontrano un'infiammazione al tendine del muscolo popliteo: un malanno comune per atleti che svolgono attività fisica in salita o discesa, ma piuttosto raro per un calciatore. Mentre cammina dolorante lungo il corridoio dell'ospedale, un medico lo riconosce e si offre di aiutarlo: è un problema banale che può sparire con un'operazione di routine. Adams si ferma a riflettere: ha avuto una carriera tutto sommato fortunata, sarebbe la prima operazione della sua vita.

 

Torna a casa e ne parla con Bernadette, che dopo qualche titubanza gli dà il via libera. La data prescelta è un mercoledì, il 17 marzo 1982, l'ospedale consigliato è l'Edouard Herriot, a Lione. Esce di casa di buon mattino, tranquillizzando la moglie: «Va tutto bene, sono in gran forma! Mi opereranno alle 11. Pensami e passa a trovarmi tra otto giorni, e non dimenticarti un paio di stampelle», come riporta la sua biografia curata da Doris Rognon, pubblicata nel 2006. Arriva in ospedale e nota che c'è un po' di confusione. C'è uno sciopero del personale ospedaliero che crea disagi tra medici e pazienti, ma la sua è un'operazione di routine e dunque, lo rassicurano, può tranquillamente essere sostenuta dalle forze a disposizione. Dopo qualche ora, dall'ospedale parte una telefonata verso Rodilhan, il paesino vicino Nîmes dove abitano gli Adams: nessuno risponde. Dopo altri due tentativi a vuoto, al quarto finalmente Bernadette alza la cornetta: «Potrebbe venire qui, per favore?».

 

Bernadette percorre a rotta di collo i 250 chilometri che la separano dall'ospedale e arriva a Lione di sera. Un medico la accompagna nella stanza in cui, da qualche ora, è ricoverato suo marito. Lo trova in condizioni inspiegabili: privo di sensi, insensibile agli stimoli, completamente intubato. La spiegazione che si sente dare è ancora più stupefacente. Lo sciopero ha costretto l'unica anestesista disponibile a seguire contemporaneamente otto operazioni, in due sale diverse, e tra i pazienti c'era anche un bambino. Ha probabilmente esagerato con la dose dell'anestetico, ma non è stato l'unico intoppo della mattinata. Il medico incaricato di operare era un tirocinante piuttosto inesperto, se è vero – come dichiarerà in tribunale – che aveva anche ripetuto un anno («Non ero all'altezza del compito che mi era stato affidato»). Non si sono comportati meglio gli infermieri: il letto su cui è stato fatto sdraiare Jean-Pierre era inadatto, e il paziente è stato anche intubato male. A quanto pare, un tubo ha ostruito l'accesso dell'ossigeno ai polmoni, causando un broncospasmo. Dopo pochi minuti, Jean-Pierre è caduto in coma.

 

Bernadette prende atto della situazione e mette radici nella stanza in cui suo marito è stato addormentato, con la lucidità e la tenacia che talvolta si accompagnano alla disperazione. Resta a vegliarlo per cinque giorni e cinque notti, mentre i figli vengono affidati ai nonni. Marzo finisce e così anche aprile, maggio, l'estate. Il coma è molto più profondo di quanto si sperasse. Nel novembre 1982 viene trasferito in una nuova struttura a Chalon, più piccola ma molto più vicina a casa. Purtroppo, il personale del nuovo ospedale non brilla per solerzia: quando una mattina scopre sulla fronte di suo marito un paio di lividi, graffi diffusi sulle braccia e, lungo le gambe, una piaga da decubito la cui infezione è quasi arrivata alle ossa, Bernadette sfiora l'esaurimento nervoso. Manda al diavolo dottori e infermieri e s'impone di diventare la prima infermiera di suo marito. Ha il nome ideale, deve pensare, per accudire un malato così grave: Bernadette è la protettrice degli infermi. Era la pastorella che, dopo aver assistito a diciotto apparizioni della Madonna in una grotta vicino il suo paese, Lourdes, nel 1933 era stata beatificata e fatta santa da Pio XI, il predecessore del papa che aveva benedetto il piccolo Jean-Pierre in piazza San Pietro.

 

Nella primavera del 1983, quando il coma ha ormai completato il primo giro di calendario, l'ospedale di

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spedisce a casa Adams una lettera, indirizzata a Jean-Pierre, in cui si comunica che «il paziente non sarà più a carico dell'ospedale a partire dal 15 giugno». Bernadette tira dritta e in fondo, molto in fondo, era quel che voleva sentirsi dire: suo marito torna a casa, in una stanza che diventa tempio consacrato al suo bell'addormentato. Qualche mese prima, a dicembre, la Federazione Francese ha versato alla famiglia un primo contributo da 25 mila franchi, prima di procedere con donazioni settimanali di 6 mila euro l'una. Anche Nîmes e PSG fanno la loro parte, con 15 mila franchi a testa. Si mobilita spesso il Variétés Club de France, storica squadra di beneficenza di cui fanno parte campioni come Tigana, Platini, Lacombe, Rocheteau e naturalmente l'amico Trésor.

 


Un articolo del Journal de Saône et Loire con una foto risalente al 26 febbraio 1992, in occasione di un'amichevole di beneficenza per Jean-Pierre.


 

Pierre Huth, medico del Paris Saint Germain di fine anni Settanta, si offre volontario per occuparsi della causa, ma le lungaggini burocratiche sembrano esistere apposta per scoraggiare la determinazione di Bernadette. Nel 1989, dopo sette anni, il Tribunale di Lione riconosce che l'anestesista e il medico furono colpevoli di semplici “lesioni colpose”: dopo appelli e contro-appelli saranno sospesi per un mese (!) e condannati a una multa equivalente a 750 euro al cambio attuale. Il calcolo del risarcimento è un'operazione che porta via altri quattro anni e che approda quantomeno a un indennizzo fisso mensile che le consentirà di sostenere i costi delle cure.

 



Cristallizzate nel tempo e nello spazio, le giornate di Bernadette Adams si susseguono tutte uguali da più di 30 anni, da quando si è trasferita in una nuova villetta a Cassargues, periferia di Nîmes, che ha ribattezzato “

”. Si sveglia alle 6 e 45, fa colazione e poi inizia a prendersi cura di suo marito: lo lava, lo veste, gli fa la barba e gli spruzza qualche goccia del suo profumo preferito, che recentemente è cambiato: «La Paco Rabanne non produce più il profumo che ha portato per anni, quindi ora gli compro Sauvage di Christian Dior»,

.

 

Intorno a mezzogiorno gli prepara da mangiare – si fa per dire: l'unica alimentazione possibile per un paziente in coma è quella artificiale, dunque una soluzione nutritiva dal sapore quasi certamente pessimo, la cui preparazione porta via circa un'ora -, quindi si occupa della toilette e assiste il fisioterapista che lo sottopone a esercizi muscolari per evitare paralisi e atrofie. Dal lunedì al venerdì si fa assistere da una badante, ma nei weekend resta sola con Jean-Pierre. Alle 8 di sera, quando il marito è pronto per dormire, la giornata può dirsi conclusa: eppure non manca mai di alzarsi un paio di volte a notte per andare a controllare che sia tutto a posto, oppure per girarlo dall'altra parte. «Vado in vacanza due volte all'anno, per una settimana», ha commentato, sottolineando di aver sviluppato qualità intuitive non comuni per una donna di sessant'anni: «L'ultima volta che sono tornata mi sono accorta subito che c'era qualcosa che non andava, e che aveva un'infezione alle vie urinarie. Il dottore me l'ha confermato, dicendomi che meritavo un diploma in medicina».

 

Ogni tanto passano a trovarli vecchi amici, oppure i figli. Laurent, il maggiore, ha persino il suo

, grazie all'unica presenza in prima squadra con il Nîmes, in una partita di Coppa di Francia del 1996. Il secondogenito Frédéric lavora come elettricista in un ospedale e ha favorito l'acquisto di un letto di marca americana iper-tecnologico, su cui Bernadette ha collocato in posizione strategica decine di cuscini per far stare suo marito il più comodo possibile. Laurent e Frédéric hanno dato al loro papà tre nipotini che gli sono stati adeguatamente presentati. «Ogni anno, a Natale, per il compleanno o la festa del papà, figli e nipoti gli portano un regalo, di solito una t-shirt o un maglione».

 

Di ex calciatori, invece, se ne vedono sempre meno. «Ogni tanto, passa Trésor. Gli altri invece sono troppo vecchi, non hanno più voglia di uscire di casa: le uniche occasioni per incontrarli sono i funerali degli altri ex compagni. E mi chiedono sempre come faccio a resistere». La stanza in cui riposa Jean-Pierre comunica direttamente con il grande salotto con cucina, centro della vita domestica. Bernadette non sopporta il silenzio assoluto, in sottofondo c'è sempre della musica oppure la TV accesa. «Gli parlo in continuazione, di cosa c'è in TV, della posta, di tutto! C'è sempre movimento attorno a lui, ed è sempre vicino a noi. Credo che riconosca anche il suono della mia voce e a volte mi sembra che, magari solo per un istante, capisca quello che gli dico. Ma non ne sono certa».

 

È una storia d'amore in cui l'eutanasia è parola non contemplata, sconosciuta. «Impensabile! Cosa dovrei fare? Privarlo del cibo e lasciarlo morire a poco a poco? Certo, Jean-Pierre ha bisogno di aiuto, ma è ancora vivo, solo che non può pronunciarsi. Ma chi sono io per decidere al suo posto?». Per quanto evidentemente non sia auto-sufficiente, Adams non è neanche una presenza così invadente: pur essendo in stato vegetativo, non ha bisogno di respiratore artificiale: «L'unica cosa a cui è collegato sono io», ha dichiarato Bernadette a So Foot nel 2017 (nel numero 147), con una punta di malcelato orgoglio.

 

Mangia e digerisce correttamente, sente gli odori, ascolta, capisce quando qualcuno lo tocca, ha un sussulto quando un cane abbaia. Alterna fasi di sonno a fasi in cui è sveglio, con gli occhi ben aperti; il movimento delle palpebre è del tutto normale, ma non può vedere. A volte si muove, sobbalza per un colpo di tosse o si scompone leggermente per sbadigliare. «A volte esagera e gli si blocca la mascella, ma ho imparato a sbloccargliela».

 

, Bernadette ha aggiornato la cartella clinica del suo amato paziente, parlando come sempre alla prima persona plurale: «Nel 2011 abbiamo incontrato un neurologo specializzato in lesioni cerebrali dell'ospedale Carémeau, a Nîmes. Ha esaminato tutti i risultati dei test, che hanno confermato importanti danni cerebrali. Ma non è invecchiato, a parte qualche capello bianco». Dobbiamo fidarci e lo facciamo volentieri, anche perché – per espressa volontà e ordine tassativo della signora - non esistono riprese video né fotografie di Jean-Pierre Adams successive al 17 marzo 1982.

 

Il 17 marzo 2017 il suo sonno ha tagliato il notevole traguardo dei 35 anni. Forse è un po' cinico da dire, ma il Guinness dei Primati fissa a 42 anni la durata del coma più lungo della storia: un record detenuto da due donne, la statunitense Edwarda O'Bara e l'indiana Aruna Shanbaug, senza che in nessuno dei due casi sopraggiungesse un clamoroso colpo di scena a lieto fine. Il giorno dopo, il 18 marzo 2017, se n'è andato il grande Chuck Berry, padre fondatore del rock'n roll, uno dei musicisti più amati da Jean-Pierre. Bernadette è andata a recuperare un suo vinile e l'ha fatto suonare sul giradischi, e mentre andavano

e

, Bernadette giura di avergli visto spalancare gli occhi, di colpo. «Sembrava che quella musica gli avesse risvegliato qualcosa».

 


Di Jean-Pierre e Bernadette si è occupata anche la CNN.


 

Il tempo passa sempre uguale, gli anni diventano decenni, il senso della vita si fa sempre più inafferrabile, con una punta di assurdità. In tanti parlano di Jean-Pierre Adams al passato: dietro alcuni affettuosi attestati di stima, come le piccole società che gli hanno intitolato stadi, palestre o centri sportivi, c'è il goffo riflesso incondizionato di considerarlo già un defunto. Il finale è congelato fino a data da destinarsi, per la signora Bernadette ogni opzione è ancora ben presente sul tavolo. Potrebbe congiungersi idealmente a suo marito, come Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva in

, lo straordinario e tristissimo film del regista franco-austriaco Michael Haneke.

 

Potrebbe vendicarsi di quell'ospedale “che non ha mai chiesto scusa”, come la

di François Truffaut si vendicava dei colpevoli della morte di suo marito; potrebbe impazzire come Adéle, la figlia di Victor Hugo, in un altro film di Truffaut. Oppure, scomodando ancora Truffaut, sommo indagatore dell'animo femminile, potrebbe trascinare ancora il mobile del giradischi nella stanza di suo marito e mettere su un altro disco, facendo risuonare nella casa vuota eppure piena la voce di un altro monumento francese alla grazia e alla bellezza che è andato via la scorsa estate. Jeanne Moreau, che in

cantava l'eterno

: «Visto che ci siamo conosciuti, visto che ci siamo riconosciuti, perché perdersi ancora di vista? Allora tutti e due siamo ripartiti nel vortice della vita, e abbiamo continuato a girare, allacciati insieme».

 



 

Nell'aprile del 2019 festeggeranno cinquant'anni di matrimonio. Molto probabilmente quel giorno sarà uguale a tutti gli altri: un'ora e un'altra ancora, un momento dopo l'altro, ore di serena e lucida pazzia aspettando quel momento, quando Jean-Pierre Adams rivedrà la luce.

 

 

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