
«Sembra un robot», ha detto di lui Antonio Conte lo scorso novembre. Il più grande dei complimenti, venendo da un allenatore che sembra voler guidare i propri giocatori col joypad e che in quel modo voleva sottolineare la capacità di Amir Rrhamani di integrare rapidamente concetti nuovi; il modo in cui, cioè, era diventato un giocatore di cui Conte poteva fidarsi.
Rrhamani ha compiuto trentuno anni a febbraio e ha giocato già in passato stagioni ad alto livello, eppure l’impressione è che non gli sia mai stato riconosciuto il suo vero valore. Rrhamani era considerato il Robin di qualche Batman, una buona spalla, un comprimario, non un protagonista. Tre anni fa il Napoli ha venduto Kalidou Koulibaly al Chelsea per poco più di quaranta milioni; due anni è stato Kim ad andare al Bayern Monaco per cinquanta. Senza un compagno che lo completasse, colmando le sue lacune atletiche, la scorsa stagione (in cui, a dire il vero, hanno deluso tutti i giocatori del Napoli) Rrhamani era sembrato uno dei punti deboli della rosa.
Quest’anno è riuscito lì dove aveva fallito nella stagione post-Spalletti: diventare il leader della migliore difesa d’Europa (il Napoli è, insieme allo Sporting, la squadra europea che ha subito meno gol in campionato, 27). La sua reputazione sembra cambiata, oggi, proprio perché a differenza del passato non c’è stato nessun compagno di reparto a metterlo in ombra (specie per via degli infortuni di Buongiorno). Rrhamani è la costante della difesa napoletana nel corso degli anni, ma lo è stato soprattutto in questa stagione: è stato il giocatore più utilizzato da Conte: 3406 minuti (secondo Whoscored) su 3420 disponibili.
Fin qui Rrhamni è stato sottovalutato anche perché è difficile dire in cosa eccelle veramente. Certo, la concentrazione, la competitività, la solidità: tutte qualità necessarie anche solo per scendere in campo contro giocatori più agili ed esplosivi; ma a Rrhamani mancano quei momenti di dominio totale nei duelli che ci permettono di distinguere i difensori “d'élite” da quelli semplicemente “buoni”. Che poi, in realtà, a ben guardare, anche Rrhamani ha i suoi momenti.
Ad esempio. Lo scorso marzo il Napoli secondo in classifica è andato a giocare a Venezia una partita delicata. Due settimane prima aveva pareggiato con l’Inter e poi entrambe le squadre avevano vinto una partita. Il Napoli giocava prima dell’Inter che, quella sera, sarebbe scesa in campo a Bergamo, con l’Atalanta che in quel momento era ancora vicina alla testa del campionato. Vincendo Conte si sarebbe preso il primo posto e avrebbe messo pressione a Inzaghi, o quantomeno avrebbe staccato Gasperini.
A Venezia, però, il Napoli si ritrova a giocare una partita complicata, Raspadori colpisce un palo e Lukaku va a un centimetro dal gol di testa, con la palla fermata sulla riga dal portiere avversario, Radu, in giornata di grazia. Rrhamani nel primo tempo si era fatto saltare in area di rigore da Fila (era scivolato provando a frenare e cambiare direzione) ma poi al quarantesimo ha avuto il suo momento: dopo una parata di Meret in uscita bassa su Kike Perez, Fila ha raccolto la palla vagante dentro l’area e ha calciato a porta vuota. Solo Rrhamani, saggiamente finito a difendere la riga di porta, ha evitato il gol.
Quella partita il Napoli l’ha pareggiata 0-0 e sembrava un risultato deludente, ma alla fine è stato fondamentale, come tutti gli altri punticini che il Napoli ha accumulato nel corso di un campionato così tirato, vinto poi proprio per un punto di differenza. E se quel punticino, quel giorno, il Napoli l’ha portato a casa, è stato anche e soprattutto grazie a Amir Rrhamani.
Ma sarebbe al tempo stesso fuorviante e riduttivo valutare Rrhamani per i suoi momenti più fortunati (tipo quel tocco con cui ha propiziato il gol di McTominay contro l’Inter a novembre). Bisogna saperlo apprezzare come massimo esponente di quella categoria di difensori che, come si dice, difendono di posizione, che oppongono una resistenza fisica ai tentativi avversari di entrare in area di rigore, difensori che spazzano, che respingono.
Quei difensori che, magari, anziché uscire dal duello palla al piede dopo un contrasto, che invece di scivolare in modo spettacolare per strappare il pallone all’avversario, preferiscono rallentare, temporeggiare, e poi spostare gli avversari in area, tenerli quel poco che basta, sbilanciarli, fargli perdere il tempo, tutte cose altrettanto utili vicino alla porta, anche se meno vistose.
Si può dire che oggi Rrhamani non è più veramente sottovalutato. È considerato come uno dei migliori difensori del campionato proprio per il valore che abbiamo imparato a riconoscere a quelle cose più invisibili che, però, sono una parte molto grande dell’arte difensiva. Tra le tante cose invisibili che hanno permesso al Napoli di vincere il quarto scudetto della sua storia, c’è la dimensione a cui è arrivato Amir Rrhamani.