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Dario Pergolizzi
Morata si ritroverà all'Atletico Madrid?
30 gen 2019
30 gen 2019
Dopo un'interlocutoria stagione e mezza al Chelsea, Alvaro Morata è tornato nella capitale spagnola.
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Dario Pergolizzi
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In una recente

per il quotidiano spagnolo El Mundo, Alvaro Morata ha rivelato diversi aspetti emotivi che hanno influenzato negativamente la sua esperienza a Londra. Senza troppi sforzi, possiamo immaginare che questi problemi siano stati decisivi anche nelle difficoltà incontrate nel corso della sua breve carriera, ad esempio durante il secondo anno alla Juventus. Morata fa risalire l’origine del suo tracollo di prestazioni in maglia Blues ad un infortunio che ne aveva interrotto l’ottimo avvio, con sette gol in sette partite. La voglia di tornare a sentirsi acclamato al più presto lo ha probabilmente spinto a forzare il rientro, portandolo in una spirale di nervosismo e imprecisione dal quale sembra ancora faticare ad uscire.

 

L’intervista a El Mundo risale al mese di ottobre, ma

  Morata sembrava portare sulle spalle un armadio pieno di fantasmi e insicurezze, che lo hanno reso irriconoscibile rispetto al giocatore capace di segnare gol pesantissimi con le maglie di Juventus e Real Madrid. Ovviamente, le reazioni ambientali (cui Morata sembra essere particolarmente sensibile) non sono certo incoraggianti. Su YouTube ad esempio è

di suoi errori.

 

Nella psicologia applicata allo sport, il concetto di “autoefficacia” riveste un ruolo particolarmente delicato, in quanto è alla base della capacità dell’atleta di rielaborare dei feedback, interni ed esterni, che lo aiuta a lavorare meglio e a migliorarsi. Ma è valido anche il processo cognitivo inverso, quello che porta un atleta a soffrire e a peggiorarsi: questa potrebbe essere una spiegazione, per quanto parziale, del vortice di negatività in cui sembra essere sprofondato Morata.

 

Tuttavia, l’imponderabilità di disturbi emotivi come l’ansia, la loro capacità di colpire a prescindere dallo status sociale e dal contesto in cui ci si trova, richiedono competenze specialistiche di livello per identificarne la natura e le cause, oltre che un rapporto diretto con il soggetto e una conoscenza approfondita sulla sua quotidianità e abitudini.

 

Sarebbe pretenzioso, oltre che inaffidabile, provare ad analizzare il percorso psicologico di Morata, quello che noi sappiamo per certo, è che 

,

. E possiamo limitarci a studiare le circostanze in cui, almeno in apparenza, è sembrato a suo agio dal punto di vista tattico e ha mostrato più lucidità ed efficacia nei compiti affidatigli, e cercare di capire dove potrebbe dare il meglio, sulla carta.

 

 

 




 



Il primissimo Morata visto in bianconero fu un’arma inedita per la squadra nel ciclo Agnelli: una punta di movimento che, a una grande struttura fisica abbinava una notevole rapidità sul lungo, unico per caratteristiche in un parco attaccanti che comprendeva Tevez, Giovinco, Llorente e Coman. Dopo un paio di mesi di adattamento e qualche infortunio, Morata riesce finalmente a prendersi la scena al fianco di Tevez.

 

L’argentino era un enorme catalizzatore di possessi e aiutava la squadra a risalire il campo andando a raccogliere palla anche molto indietro; Morata invece rimaneva più libero sul fronte avanzato e aveva il compito di svariare soprattutto orizzontalmente, per svuotare l’area e agevolare gli inserimenti dei centrocampisti di Allegri (all’epoca schierati col rombo). Le poche volte che si ritrovava a ricevere palla spalle alla porta e lontano dall’area di rigore, tuttavia, Morata riusciva quasi sistematicamente a girarsi agilmente e saltare l’uomo, puntando direttamente la porta.

 

A fine stagione, dopo l’addio di Tevez, la Juventus decide di acquistare Mandzukic, e a rendere la situazione ancora più indecifrabile, inoltre, c’è l’arrivo di Simone Zaza. L’avvio della stagione è positivo per Morata, che nonostante un piccolo infortunio non sembra soffrire particolarmente la concorrenza: è forse il miglior attaccante della squadra per tutto il primo mese, complice anche le difficoltà iniziali di Mandzukic, in un sistema di gioco che lo vedeva giocare in posizione più defilata. Così, anche durante un inizio preoccupante per tutta la squadra, Morata arriva ad essere protagonista di una delle partite della Juventus più convincenti in Europa, in casa del Manchester City, in un tridente formato insieme al croato e Cuadrado; poi segna un gol e realizza due assist nella sfida interna col Bologna, anche lì agendo da punta “defilata”, questa volta insieme a Dybala in un 3-5-2.

 

Da lì in poi, però, Morata perde progressivamente il posto in favore di Mandzukic, e si ritrova ad essere il primo sostituto di Dybala come punta di “raccordo”, mentre Zaza si alterna con il croato. Zaza e Morata hanno anche giocato insieme diverse partite, e anche in questi casi lo spagnolo ha continuato ad agire come punta più mobile e meno presente in area di rigore.

 

Inizia un periodo di grande imprecisione sotto porta per Morata, ed i primi segnali di irrequietezza sono evidenti. Allegri, dopo aver recuperato terreno in classifica e ritrovato solidità generale, preferisce non intaccare nuovamente gli equilibri e la formazione tipo non vede più Morata tra i suoi effettivi. La doppia sfida col Bayern Monaco mostra però segnali sorprendenti: contro la squadra di Guardiola in parziale emergenza difensiva, la Juventus riesce a sfruttare le offensive in campo lungo, e le caratteristiche di Morata tornano ad essere decisive.

 

Quella di ritorno, poi, è forse la miglior partita in assoluto di Morata in bianconero, come punta in un 4-5-1 mirato ad allargare i reparti dei tedeschi e colpirli sulla profondità, sfruttando principalmente le doti di strappo palla al piede dello spagnolo, insieme a Cuadrado e Pogba. L’azione con cui la Juventus mette a segno il 2-0 è il ricordo più impressionante che ha lasciato Morata a Torino: dopo aver raccolto palla nella propria trequarti parte in percussione centrale, resistendo alla carica di Alaba, saltando secco Benatia e Kimmich, evitando i rientri di Lahm e Vidal e aprendo infine con un delizioso tocco di esterno per Cuadrado.

 

https://twitter.com/ChampionsTOP/status/791982316096716800

 

Questa azione è stata probabilmente l’espressione più alta di tutte le migliori qualità di Morata lontano dall’area: la cavalcata velocissima con quella leggera gobba che sembra quasi aumentarne l'incisività, il fisico che riesce a contenere l’impatto avversario senza fargli perdere lo slancio, e poi la brillantezza e la lucidità del tocco finale.

 

L’esperienza di Morata alla Juventus si chiude qualche mese dopo, con un’altra manciata di gol segnati tra Coppa Italia e campionato (tra cui quello della matematica certezza dello Scudetto, a Firenze) e uno status da comprimario ormai consolidato. Il Real Madrid decide di esercitare il diritto al riacquisto.

 


Anche un gol nel derby.


 



Anche a Madrid - parliamo della stagione 2016/17 - Morata passa un anno da riserva, alle spalle dell’indiscutibile BBC (Bale, Benzema, Cristiano Ronaldo). Al contrario di Allegri, però, Zinedine Zidane decide di impiegarlo in maniera meno “mobile”: nonostante Benzema, cui dava il cambio, fosse l’emblema della dinamicità in favore del riempimento dell’area da parte di Ronaldo, con Morata in campo era CR7 a caricarsi sulle spalle maggiori responsabilità in rifinitura e a muoversi in ampiezza più spesso. Il Real Madrid, dunque, mutava leggermente il suo atteggiamento offensivo con l’ex canterano in campo.

 

Malgrado lo scarso impiego, Morata ha concluso la stagione con l’impressionante score di 20 reti e 6 assist in appena 1.903 minuti tra tutte le competizioni, mostrando una ritrovata lucidità sotto porta e la capacità di far valere la sua pulizia tecnica anche in un raggio d’azione più ridotto e con margini di reazione più brevi, affrancandosi quasi del tutto dallo sviluppo della manovra. In una squadra con più giocatori capaci di portare palla e palleggiare dinamicamente, la mobilità di Morata sembrava quasi superflua, ma lui è riuscito comunque a trovare il modo di incidere negli scorci di gara a disposizione.

 

Questo convince il Chelsea e Conte a investire su di lui, per rimpiazzare la pesante dipartita di Diego Costa. Pur condividendone la mobilità, a differenza del compagno di nazionale, Morata offre un’altra interpretazione del ruolo, meno improntata sul contatto fisico e di conseguenza con un’influenza differente su difensori avversari e compagni.

 

Il suo grado di associatività con Hazard, principale arma offensiva dei Blues, sembra di buon livello all'inizio, con i due capaci sia di duettare sul corto che di attaccare gli spazi in maniera sincronizzata a favore reciproco. Dopo l’infortunio al polpaccio, però, la stagione di Morata cambia piega e a Londra finiscono presto per

l’approccio più aggressivo, a tutto tondo, di Diego Costa, al punto di acquistare Giroud a gennaio pur di riacquisire un po’ di fisicità.

 

Ma con l’arrivo di Sarri, di nuovo, Morata sembra rinvigorito: il nuovo sistema di gioco porta il Chelsea ad attaccare con più uomini, creando sovraccarichi soprattutto nella zona di sinistra grazie a Marcos Alonso e Hazard. Con Pedro dall’altra parte ad occuparsi del lato debole, Morata è relativamente libero di muoversi sull’asse centrale, cercando l’attacco alla profondità e impensierendo le difese con tagli da seguire, creando spazi per i compagni alle spalle.

 

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Quando però la squadra di Sarri, nell’ultimo periodo, ha iniziato a palesare difficoltà nella creazione di occasioni di qualità negli ultimi metri, come

, è venuta fuori la necessità di avere un attaccante ancora più partecipativo e autosufficiente rispetto a Morata. Nonostante la doppietta contro il Notthingham Forest in FA Cup, lo spagnolo è stato messo sul mercato per poter liberare spazio all’arrivo di Higuain.

 



Per Morata è arrivato il momento di cambiare nuovamente aria, e la piazza più indiziata ad offrirgli una nuova opportunità è stata ancora una volta la sua Madrid, questa volta sponda Atletico, per altro la sua prima squadra giovanile (fino ai 15 anni). L’assenza forzata di Diego Costa per qualche mese ha costretto Simeone a trovare un compagno di reparto per Griezmann, uno più credibile di Kalinic.

 

L’Atletico di quest’anno è una squadra leggermente diversa dalle precedenti: un po’ meno inscalfibile difensivamente e letale sulle ripartenze, una squadra che forse si trova addirittura più a suo agio schiacciando l’avversario, grazie anche al maggior impiego di calciatori tecnici come Lemar e Correa. Di contro, però, complice anche un apparente calo atletico di Diego Costa, sembra avere più difficoltà nel riprodurre quelle micidiali transizioni che facevano parte del "brand Simeone" e, di conseguenza, il raggio di azione di Griezmann sembra essersi ridotto, forse eccessivamente orientato alla profondità, in fasi in cui la squadra necessiterebbe di un raccordo in più nelle zone centrali.

 

Simeone ha trovato la quadra alle difficoltà di inizio stagione tornando presto ad impiegare 3 centrocampisti “puri” - grazie anche alle prestazioni di Thomas Partey - ma l’urgenza principale rimane il rimpiazzo di Diego Costa. Abbiamo visto come già al Chelsea la staffetta tra lui e Morata abbia evidenziato le forti differenze di interpretazione del ruolo. Oltre ad essere curioso il fatto che adesso potrebbero ritrovarsi ad essere ancora compagni di squadra, lo è anche vedere l’Atletico, una squadra che ha fatto della  concentrazione e della foga agonistica il suo marchio di fabbrica, puntare su un giocatore che proprio sotto questo punto di vista mostra carenze.

 

Probabilmente Simeone e i suoi hanno visto in Morata delle caratteristiche tattiche contingenti alle necessità offensive dei

La più banale può essere l’efficacia in campo aperto: se Morata è in fiducia, le sue percussioni diventano un pensiero per le difese avversarie, creando scompensi a cascata di cui possono beneficiare i compagni. In secondo luogo, la presenza in area: Morata ha un approccio poco fisico e forse non è un colpitore di testa elitario, ma sa farsi valere grazie alla rapidità con cui si smarca e segue le traiettorie. Anche la stazza è dalla sua parte, e consentirebbe all’Atletico di avere una soluzione ricercabile sul lungo, che sia incontro o in allontanamento.

 

Ma è proprio l’attacco alla profondità a sembrare l’urgenza principale dell’Atletico Madrid: sostituire Kalinic con un profilo più idoneo a minacciare le difese avversarie correndo alle loro spalle, permetterebbe a Griezmann una maggiore libertà di colpire. Insomma, un modo diverso di occupare i centrali rispetto a quello iperfisico di Costa, ma funzionale e altrettanto utile per ritrovare efficacia nelle ripartenze.

 

Certo, è difficile immaginare un contesto ideale per Alvaro Morata: ha fatto ugualmente bene e male da riserva o da titolare designato, in posizione accentrata o defilata, in squadre che attaccavano in campo lungo o corto, con partner più o meno fisici. La discriminante maggiore per lo spagnolo sembra essere il suo benessere psicofisico. Non ci resta che augurargli di trovare la giusta serenità per schiarirci finalmente le idee sulla sua dimensione più consona.

 

 

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