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Marco D'Ottavi
Enciclopedia delle sbroccate di Allegri
16 nov 2023
16 nov 2023
Dai cappotti lanciati ai cartelloni calciati.
(di)
Marco D'Ottavi
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IMAGO / Xinhua
(foto) IMAGO / Xinhua
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Il 20 dicembre 2015, dieci minuti prima delle quattordici, nell’aria pungente della Bassa, Massimiliano Allegri si era tolto il cappotto e l’aveva lanciato nel vento. Il motivo? Pochi secondi prima Lorenzo Lollo del Carpi aveva malamente fallito l’occasione per segnare il gol del 3 a 3 in pieno recupero, appena due minuti dopo aver segnato il gol del 2 a 3. La sfuriata di Allegri era diventata rapidamente virale, un po’ per la sua oggettiva bizzarria, un uomo adulto che lancia un cappotto da migliaia di euro, un po’ per la poca corrispondenza con il personaggio. Un po’ cazzone e un po’ filosofo, Allegri per indole non è uno di quegli allenatori perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, al contrario il suo mantra è la calma o halma, nella sua versione toscana con la c aspirata. Vederlo perdere le staffe così contro il Carpi ultimo in classifica, in una maniera che avrebbe fatto impallidire il miglior Conte, era stata un’inaspettata variazione sul tema. “Meglio gettare via il cappotto che punti! Non sempre #civuolecalma”, avrebbe poi scritto sul suo profilo Twitter, oggi defunto, per riappropriarsi del personaggio di allenatore serafico e amichevole. Anni dopo nel salotto di Sky avrebbe raccontato quel colpo di pazzia diventato ormai leggendario: «Era l’ultima partita prima della sosta. Dicevo sempre ai ragazzi: “Non mi rovinate le vacanze, prima della sosta non voglio perdere”. E quella volta entrò Lichtsteiner che fece uno stop al contrario dentro l’area e presero una traversa e mi tolsi la giacca. Fui due ore inca**ato». È curioso come Allegri ricordi male non solo l’episodio (Lollo strozzò malamente il tiro, non prese la traversa) ma anche il suo gesto. In quell’occasione infatti a volare fu il cappotto e non la giacca, seppure dalle immagini è facile confondersi, visto che nella foga Allegri sembrava disposto a rinunciare a tutto il suo vestiario.

Col passare degli anni questi episodi rabbia - o ansia, o paura, o malinconia, o tristezza: questo che segue non vuole essere un trattato psicologico, ma una pura ricostruzione dei fatti - sono diventati sempre più comuni, come sa bene chi ha visto tante partite della Juventus recente. Non si ripetono sempre uguali o sempre negli stessi momenti, ma al loro interno è possibile trovare dei tratti comuni, come delle parti. Sono momenti-Allegri, rituali che l'allenatore sembra ripetere all’occorrenza, per necessità o scaramanzia, come fossero un copione e, come fossero un copione, abbiamo provato ad analizzarli scomponendoli.

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La svestizione La svestizione è il tratto più riconoscibile dei momenti-Allegri. Pur essendo piuttosto rara - sulle oltre 600 partite allenate in carriera - è diventata un marchio di fabbrica, come la Z per Zorro. Come si veste Allegri quando non lancia giacche e cappottiè il titolo di questo articolo in cui si descrive lo stile dell’allenatore della Juventus partendo proprio dai suoi lanci; in questo invece si fanno notare le similitudini tra le giacche Allegri, brand di moda toscano fondato nel 1954, e le giacche di Massimiliano Allegri; qui addirittura c’è un ucronia sulle giacche mai lanciate da Allegri. Ma quando succede, dove succede? E soprattutto, perché succede?Il 25 ottobre 2017, a quasi due anni da Carpi, il lancio del cappotto si ripete allo Stadium. La Juventus va rapidamente sul 2 a 0 ma poi subisce la rimonta della Spal, che prima accorcia e poi segnerebbe anche il 2 a 2 con Oikonomou, se il VAR non lo annullasse per un fuorigioco di Paloschi. È praticamente un déjà vu: la Juventus che ottiene un vantaggio di due gol contro un avversario più debole ma poi si distrae e rischia di essere ripresa. Allegri allora, come allora, torna a lanciare il cappotto.

C’è da dire che siamo lontani dai picchi di follia di Carpi, l’annullamento del gol ha sicuramente stemperato la reazione di Allegri, mentre si sveste più che urlare sta dando indicazioni alla squadra. Sembra quasi un cappotto sfilato al ritorno a casa e poi gettato via perché non ci sono attaccapanni nei paraggi. Dopo la partita, che la Juventus finirà per vincere 4 a 1, Allegri spiegherà il motivo che lo ha portato al lancio del cappotto: «Il problema è che usciamo dalla partita, dopo il 2-0 abbiamo fatto tre errori tecnici rimettendo la Spal in partita, alla fine abbiamo rischiato di subire il 2-2». Il cappotto torna a volare a distanza di 4 anni, il 31 ottobre 2021 a Verona. Siamo all’inizio dell’Allegri bis, la Juventus ha perso la settimana prima in casa col Sassuolo, subendo il gol vittoria di Maxime Lopez al 95esimo in contropiede, e al Bentegodi prende due gol in tre minuti da Simeone. È un pugile alle corde, in balia del Verona. Al 79esimo, però, McKennie accorcia le distanze: una rimonta è possibile, ma bisogna essere chirurgici. Dieci minuti dopo però, su un pallone buttato in area di rigore che si impenna perfetto per il tiro, Locatelli preferisce inventarsi un improbabile assist, sprecando una ghiotta occasione. Allegri assiste basito dalla panchina, il Verona riparte in contropiede. L’allenatore lascia passare qualche secondo, forse pensa se valga la pena o meno - nel freddo di una serata autunnale del Bentegodi, un posto climaticamente fuori dal mondo in cui è sempre inverno anche in questa era di riscaldamento globale. Alle fine decide che sì: si toglie il bel cappotto nero lungo in dotazione, ma si vede che non è convinto, sembra quasi che se lo stia togliendo più perché tutti se lo aspettano, tanto che più che lanciarlo lo passa al suo vice Landucci, come se fosse al guardaroba di una discoteca.

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Se però il lancio del cappotto col Carpi era diventato il simbolo della rimonta di quella stagione, quello di Verona si trasforma in un segno di resa. La Juventus infatti perderà quella partita, nonostante il cappotto, scivolando a -16 dal Milan capolista. Massimo Caputi scrive: “Ad Allegri non basta togliersi il cappotto”, Striscia la Notizia inserisce il video in un servizio dei momenti scemi del calcio, in conferenza stampa gli chiedono «Si è tolto la giacca come a Carpi. È stato un gesto motivazionale?». «Non è motivazionale», risponde Allegri, «è solo che alla prima occasione che concediamo, la palla va dentro. Non è una coincidenza, è una questione di atteggiamento e dobbiamo tornare all'atteggiamento che avevamo all'inizio della stagione». Pochi secondi dopo dirà che quella squadra «è da metà classifica».Il 3 aprile 2022 è di nuovo il cappotto a volare, in questo caso un cappotto leggero, contro l’avversario di sempre. Il modo in cui si arriva alla svestizione di Allegri in questa circostanza è surreale nel suo sviluppo: verso la fine del primo tempo, dopo aver consultato il VAR, l’arbitro fischia un rigore per l’Inter. Grandi proteste in campo, ma alla fine Calhanoglu può battere. Il suo tiro è fiacco e centrale, Szczesny respinge, sulla ribattuta l’Inter segna, ma l’arbitro annulla per un fallo in mischia. Di nuovo grandi proteste, questa volta da parte dei giocatori dell’Inter. Passa altro tempo e l’arbitro si porta la mano all’orecchio, dalla sala VAR gli dicono che il rigore va fatto ripetere perché dei giocatori della Juventus sono entrati in area prima del rigore. Terzo giro di proteste, tocca di nuovo ai giocatori bianconeri. Ma se quelle in campo sono più fastidiose che violente, in panchina - si scoprirà dopo - Allegri è una furia, nel senso più letterale possibile del termine.

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La regia ci mostra il lancio con un rallenty da Oscar, ma non in diretta. Si rimane allora con il dubbio: Allegri è furioso con l’arbitro? Col quarto uomo? Quello che è certo è che - per la prima volta - la svestizione non è colpa dei suoi giocatori. L’indiziato principale, a guardare la direzione in cui si scaglia, è la panchina dell’Inter, con cui aveva bisticciato qualche minuto prima. Il cappotto in questo caso sarebbe quindi più una clava metaforica che non un oggetto motivazionale. Tornerà comunque su nel secondo tempo, viste le temperature di quella sera. A fine partita spiegherà così il suo gesto: «Il cappotto lanciato? Faceva un po' di caldo». E arriviamo all’ultima svestizione, la più recente. Siamo negli ultimi minuti di gioco e la Juventus sta vincendo a San Siro, 0 a 1 col Milan, e ha un uomo in più. La situazione è ideale, inoltre i rossoneri sembrano sfiniti. C’è una lunga fase di melina della Juventus, poi Miretti subisce un fallo alle spalle. Allegri dovrebbe essere contento, altro tempo che passa, e invece è - ancora una volta - una furia: Miretti a suo dire sarebbe colpevole di non aver fatto il giusto movimento ad allargarsi per dare una facile linea di passaggio a Huijsen. Non potendo entrare in campo e spostare di peso il suo giocatore (o peggio), Allegri si sfila la giacca come fosse fatta di spilli e la lancia di taglio, come si fa con i sassi piatti sui laghi. Togliersi la giacca però non basta: mentre la rabbia monta si avvicina a un cartellone pubblicitario e gli dà un calcio. Subito dopo torna nell’area tecnica di sua competenza per urlare ai suoi di «giocare largo». Mentre allarga le braccia - a indicare quanto largo deve essere il campo - trova l’impiccio della cravatta e allora via anche la cravatta. Bisogna essere maestri nell’arte della svestizione per togliersi la cravatta così facilmente.

Per diversi minuti Allegri continua a urlare come posseduto. Vuole che i suoi giocatori non prendano rischi, che allarghino questo benedetto campo «come se fosse un aeroporto». Vederlo in diretta è straniante, anche perché nel frattempo non succede niente, il Milan quasi non tocca palla. Ma, come detto, questi momenti-Allegri non servono solo a esprimere preoccupazione, sono anche un rituale, una forma atavica di scaramanzia. Allegri sa che vincere quella partita è fondamentale, più dei tre punti in palio (e infatti da allora la squadra si è lanciata come vera rivale dell’Inter per lo Scudetto). Per portare il risultato a casa c’è bisogno di tutto quello che ha, e allora eccolo tirare fuori un altro grande classico del repertorio: la fuga nel tunnel degli spogliatoi mentre la partita è ancora in corso. La fuga nel tunnel Se la svestizione è la parte più eccentrica del rituale, quella della fuga è la più imperscrutabile. Cosa spinge un allenatore a rinunciare a esprimere la sua forma di controllo sulla partita? A lasciare che sia il caso a controllare i suoi giocatori? Ovviamente quella di Allegri non è una forma raffinata di sciopero, ma piuttosto una peculiare forma di protesta. Spesso è fatta a pochi secondi dal fischio finale, quindi più scenica che concreta, ma non sempre è così.Contro l’Inter, la scorsa stagione, la più nervosa della sua carriera, Allegri addirittura lascia il campo quando mancano tre minuti al novantesimo. Considerando che la partita finirà oltre il 97esimo, la Juventus è rimasta senza allenatore per oltre 10 minuti, non pochi. La scena in campo è surreale: prima c’è lui a dare indicazioni in basso sullo schermo poi all’improvviso sparisce e al suo posto nell’area tecnica c’è Bonucci a guidare la squadra, con la pettorina rosa e la tuta.

Forse è anche un sottile messaggio al suo giocatore su quale doveva essere il suo futuro.

«In quel momento non c'era più bisogno di me e mi stavo innervosendo», dirà poi «Sono diffidato e piuttosto che prendere un'ammonizione o un'espulsione ho preferito andarmene». La fuga nel tunnel come autocensura quindi. Sono settimane stressanti, quelle della penalizzazione che va e viene. La Juventus e Allegri sognano comunque una rimonta per la Champions, visto che davanti a loro si va a rilento. Qualche settimana dopo, allora, la fuga nel tunnel torna contro il Verona, sempre con la squadra in vantaggio per 1 a 0. Il motivo dovrebbe essere un mancato fallo di Paredes nell’ultimo minuto di recupero, che aveva costretto Alex Sandro a farne uno da posizione molto più pericolosa. Allegri scappa via senza sapere come andrà a finire.

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Non è facile ricostruire tutte le volte che è Allegri ha lasciato prima del termine la panchina (da persona che ha visto tutte le partite di Allegri con la Juventus sembrano molte di più di quelle che ho trovato). È successo, ad esempio, verso la fine di una partita con l’Empoli che la Juventus aveva recuperato grazie a una doppietta di Cristiano Ronaldo. All’ennesima occasione concessa, Allegri era volato negli spogliatoi del Castellani. Ma anche in Coppa Italia, contro la Lazio. Nel recupero, in vantaggio 1 a 0, Di Maria aveva sprecato una ripartenza tentando un assist con lo scavetto per Kean e perdendo palla. A quel punto Allegri era scattato (le sue urla si sono percepite in diretta), mulinando i pugni in aria prima di prendere la via degli spogliatoi con i suoi giocatori in panchina - come riportato in questo articolo - “che lo guardano stupefatti e anche incuriositi dalla sua rabbia incontenibile”. Anche col Sassuolo è scappato via prima della fine, con la squadra in vantaggio 2-1. Perché? «Mancavano 30 secondi e in quei momenti lì devi capire che la partita è finita e non bisogna rimanere sopra la linea della palla»: i motivi sono sempre più o meno gli stessi. Più recentemente contro la Lazio Allegri furioso aveva lasciato soli i suoi giocatori dopo un errore di troppo di Cambiaso e Weah. Contro il Napoli - ancora una volta nella scorsa stagione - la fuga diventa una specie di minaccia. Dopo il gol di Raspadori in pieno recupero, arrivato dopo un contatto sospetto (dal campo) tra Cuadrado e Juan Jesus, Allegri si era diretto verso gli spogliatoi, salutando tutti con un inequivocabile: «Vado via, ciao ciao».

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Non è chiaro qui quale sia il motivo. A una prima lettura era sembrata una fuga per protesta contro la decisione dell'arbitro di non andare al VAR, al contrario di quanto successo pochi minuti prima nel gol di Di Maria (poi annullato). È però possibile, plausibile, che ancora una volta Allegri ce l'avesse con i suoi, in questo caso con Cuadrado, colpevole di essere rimasto a protestare invece di tornare in difesa e coprire su Raspadori (Allegri è molto restio a parlare di arbitri dopo le partite, per cui non abbiamo una prova in un verso o nell'altro, solo ricostruzioni giornalistiche). Allegri calcia coseSe la fuga è scenica, calciare bottigliette o cartelloni pubblicitari è forse lo sfogo più naturale di Allegri, quello che possiamo ritrovare anche in altri allenatori. Però è anche questo molto presente. Col Carpi, ad esempio, tutti si concentrarono sul cappotto volante, ma a fare le spese della sua rabbia fu anche una povera bottiglietta d’acqua («Ma col sinistro: con quel piede non son buono»). Dopotutto le bottigliette d’acqua sono il bersaglio ideale per un allenatore: sono sparse intorno all’area tecnica, sono della giusta dimensione e sono attraenti (si può dire che - prima o poi - tutti gli appassionati di calcio, ma non solo, hanno calciato almeno una bottiglietta d’acqua in vita loro).Con il Benevento, Allegri calcia col destro ma il risultato non è quello sperato. La coordinazione è buona ma l’impatto è pessimo.

Una bottiglietta andrebbe calciata di collo e non di piatto, ma forse è meglio che l’allenatore della Juventus abbia ciancicato la sua conclusione, visto che era indirizzata proprio verso la sua panchina. Se tutti gli allenatori si sfogano sulle bottigliette, anche qui la peculiarità di Allegri è di farlo quasi sempre quando la sua squadra è in vantaggio. Lo era col Benevento, lo era con il Milan come abbiamo visto poco sopra (in quello sfogo c'è anche uno o due calci a una bottiglietta), lo era con il Malmö e lo era anche con la Sampdoria, quando dopo un gol sbagliato dai suoi Allegri calcia con grande violenza una bottiglietta rimasta nella terra di nessuno, facendola esplodere (o, forse, la bottiglietta era aperta, l’effetto scenico rimane).

Anche qui: è impossibile ritrovare tutte le volte in cui Allegri si è sfogato su una povera bottiglietta e allora tanto vale concentrarsi a quando la rabbia nelle sue gambe centra qualcosa di più grande. Con il Milan, abbiamo visto, Allegri ha calciato sia l’acqua che i cartelloni pubblicitari, come già era successo con lo Spezia. In quel caso il motivo scatenante fu addirittura un gol di Milik, il 2 a 0 arrivato nei minuti di recupero. Pochi minuti prima l’arbitro era stato costretto ad ammonirlo perché Allegri era entrato in campo per urlare a De Sciglio, colpevole di aver sbagliato una facile occasione.

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Non voglio entrare nei meccanismi psico-motori di un allenatore di Serie A, un campo veramente troppo complesso. Ma anche in questo calcio Allegri non sembra proprio naturale nonostante in fin dei conti sia un ex calciatore. Questo calcio sembra invece qualcosa di preparato, il bisogno di far passare un messaggio a tutto l'ambiente: abbiamo vinto ma così non va bene. È puro Allegri: una vittoria va bene anche al termine di grandi sofferenze (vedi i grandi complimenti dopo l'ultima a Firenze), ma è fondamentale essere sempre concentrati e attenti, non concedere mai il minimo, neanche quando la vittoria sembra in porto. Sono sempre fatte negli ultimi dieci minutiAi microfoni Allegri spiegherà il calcio al cartellone con una frase a suo modo rivelatoria: «Alla fine ero un po' arrabbiato perché volevo che finisse la partita». Sembra una frase assurda, fuori contesto, ma in qualche modo spiega perché quasi sempre questi momenti capitano negli ultimi dieci minuti della partita, con la sua squadra in vantaggio. Se è vero che sono per definizione i momenti più concitati, per i veri allenatori nevrotici è tutta la partita a essere un eterno sbrocco, dal primo all’ultimo minuto. Allegri invece conserva il suo stile pacato fino all’ottantesimo poi, come avesse un orologio interno, se la partita non è totalmente sotto controllo, diventa un altro allenatore.

Più che Dottor Jekyll e Mister Hyde però, Allegri sembra avere un secondo fine in questa sua trasformazione negli ultimi minuti, il che spiegherebbe anche perché sembra sempre così innaturale. Interrogato a riguardo dopo la partita con il Milan, Rabiot aveva dato una chiave di lettura interessante: «Cerco di essere sempre concentrato sul campo, soprattutto negli ultimi minuti, ma il mister è così. Ha sempre voglia di vincere e di dare il 100% fino alla fine. Ci dà energia così, è bravo il mister». Allegri fa tutto questo per dare energia ai suoi giocatori? È una possibilità, sicuramente lo fa per alzare la concentrazione, e più i minuti passano più la concentrazione cala, così come l’energia. Le giacche lanciate, le fughe nel tunnel e le bottigliette scalciate allora, più che reazioni istintive, sarebbero quindi trucchi del mestiere, come una sostituzione fatta al momento giusto. È un trucco che, però, ha una forte controindicazione. Allegri, se anche fosse vero che “sceglie” di arrabbiarsi per aiutare la squadra, finisce per portarsela addosso anche nel post questa trasformazione. A Bologna, all’inizio di questa stagione, per i troppi nervi, a fine partita Allegri ha accusato un leggero malore. O, almeno, questa è stata la versione della Juventus per giustificare la sua assenza ai microfoni. I maligni hanno detto che, invece, era solo troppo arrabbiato per andare ai microfoni. Arrabbiato con chi? Non è chiaro: nelle ricostruzioni si parla dell’arbitro, dei suoi giocatori, anche dei dirigenti, colpevoli di non aver ribattuto alle dichiarazioni del Bologna sugli errori dell’arbitro. Tutti però raccontano di un accesso di rabbia quasi incontrollabile nel tunnel degli spogliatoi. Se ci pensate, tanti degli episodi più controversi della sua esperienza in panchina con la Juventus sono arrivati proprio dopo il fischio finale. Le liti con Adani, che hanno inquinato il discorso pubblico calcistico e anche il suo percorso da allenatore, ma anche quelle con Spalletti, quando nel tunnel gli urlò: «La finisci di fare casino con gli arbitri? Ti devi vergognare». Oppure quelle con l’Inter, società tutta, culminate nella partita di ritorno di Coppa Italia della scorsa stagione. Allegri nel tunnel avrebbe dato delle «me**e» ai dirigenti nerazzurri, tra cui Marotta, per poi lanciarsi in una profezia: «Ma tanto arrivate sesti». Dalle ricostruzioni, poi, l’allenatore ne avrebbe avuto anche per i suoi giocatori. Una volta tornato in spogliatoio gli avrebbe urlato: «Ma come si fa a perdere con una squadra di morti? Dobbiamo arrivare davanti in campionato, non devono andare in Champions».Ci sono anche gli sfoghi contro i suoi calciatori: «Li prenderei tutti a calci nel c…» disse a Marotta e Paratici nell’immediato post della Supercoppa 2016 persa ai rigori col Milan a Doha. O quando scappando dallo Stadium dopo un pareggio sempre col Milan si era colta con precisione una frase: «Porca t***a, e questi vogliono giocare nella Juve».

Insomma, qual è il vero Allegri? Quello che parla di cavalli, predica calma e ha una risposta simpatica per tutti o quello che lancia cappotti, scappa nel tunnel e ne ha per tutti nel dopo partita? Se è vero che ogni uomo contiene moltitudini, quelle di Allegri sembrano creare uno strano cortocircuito. Qualcuno lo ha accusato di essere un cattivo perdente. Di essere stato socievole quando le cose andavano bene e di essere diventato scorbutico quando hanno iniziato ad andare male. Certo nello sport è difficile trovare buoni perdenti, proprio per la sua natura, e Allegri non è uno di loro. Questa carrellata, però, mostra che - in caso - Allegri è anche un cattivo vincente, visto che diversi suoi sbrocchi sono arrivati in partite vinte e in anni in cui le cose andavano bene. Alla fine, la spiegazione più semplice, l'ha data per sbaglio Spalletti quando era ancora allenatore dell'Inter. Era l'aprile del 2019 e a pochi metri da lui andava in scena una delle più memorabili liti tra Allegri e Adani. Spalletti, che in quel momento era in collegamento con Inter TV, sentendo le urla pazze di Allegri, si era girato e ridendo aveva detto: «Se fanno incazzare pure Allegri è segno che c'è qualcosa che non va bene».

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