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Emanuele Atturo
Siamo sicuri che Allegri stia facendo il massimo con la Juventus?
22 feb 2024
22 feb 2024
Cosa ci dice il modo in cui si parla della lotta Scudetto.
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Emanuele Atturo
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Foto di Marco Bottanelli / Imago
(foto) Foto di Marco Bottanelli / Imago
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«Bisogna riordinare le idee, chiarire bene l’obiettivo» ha detto Allegri dopo il pareggio 2-2 contro l’Hellas Verona, forse la partita che ha chiuso per sempre le possibilità per la sua squadra di lottare per lo Scudetto. Una partita confusa e insolitamente aperta, in cui la Juventus si è lasciata trascinare nel disordine emotivo del Verona. Una partita di battere e levare, di transizioni, di ritmi che si abbassavano e schizzavano senza seguire nessuna logica apparente. Il tipo di partita che a Massimiliano Allegri, in genere, non piace.

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Per questo la Juventus è sembrata alla deriva, scollegata dalla propria anima di squadra maniacale nella sua razionalità, ossessiva nella sua prudenza. Segno, insomma, che qualcosa potrebbe essersi perso, a livello di motivazioni, dopo la sconfitta a San Siro contro l’Inter che ha sottolineato la superiorità chiara dei nerazzurri in questo momento storico.

Allora forse davvero la Juventus credeva nello Scudetto, e quando Allegri ripete “chiarire bene l’obiettivo” si riferisce al fatto che la sua squadra non gli dava retta, mentre lui assicurava di ambire solo al quarto posto - l’obiettivo che ha continuato a dare per ufficiale ai microfoni. Mi rendo conto: è il segreto di Pulcinella, il fatto che la Juventus stesse veramente lottando per lo Scudetto, eppure Allegri è riuscito in qualche modo a far passare la narrazione, tra stampa e una parte di tifosi, che quello non era il posto della squadra, che era lì per miracolo, e che prima o poi sarebbe tornata lontana dal primo posto.

Allegri, quindi, come tutti i profeti di sventura prima o poi finisce per azzeccarci. Ora che la Juve è a 9 punti dall’Inter con una partita in più, e che ha rischiato di scivolare terza se il Milan avesse battuto il Monza, può finalmente dire che sì: lui ve l’aveva detto.

Dopo la sconfitta contro l’Inter, che ha scoperchiato i difetti della sua squadra, Allegri ha detto che la sua squadra non giocava una partita del genere da 3 anni, e che quindi ha pagato l’inesperienza. Su questo aspetto insiste da mesi. Già la scorsa stagione dopo la bruciante eliminazione in Europa League contro il Siviglia aveva tagliato corto: «Dispiace, ma più di così non si poteva fare. Abbiamo pagato l'inesperienza, sono passaggi necessari». Prima della partita con l’Empoli ha paragonato la Juventus a Sinner, e l’Inter a Djokovic - «Se noi siamo più giovani…». Prima aveva detto: «L’Inter non è stata costruita quest’anno. Ha un percorso iniziato con Antonio Conte (…). Da quando sono arrivato io abbiamo cambiato 15 giocatori, ce ne sono forse 10 nati dal 2000 in poi. È un percorso che va fatto con gradualità. Piaccia o non piaccia, questi sono dati di fatto».

Ma sono davvero dati di fatto?

Quel che è certo è che Allegri è riuscito a manovrare la narrativa e la comunicazione sulla lotta scudetto in un modo ormai definito. L’Inter sarebbe una corazzata colossale, una squadra inscalfibile, fuori scala per la Serie A, mentre la Juventus una squadra giovane, inesperta e costruita con poche risorse. La conversazione sul calcio italiano, negli ultimi due mesi, si è impaludata dentro questo schema: per confutarlo o per confermarlo. Le questioni sono sempre le stesse: la rosa dell’Inter è più forte di quella della Juventus? Quale squadra ha investito di più? Quale ha più risorse per vincere lo Scudetto?

Ne hanno discusso Sandro Sabatini e Riccardo Trevisani di recente in televisione; Daniele Adani ne ha fatto oggetto di un’arringa iper circostanziata, benché parte del conflitto con Allegri che dura ormai da qualche anno. Se ne discute continuamente su Twitter, o nei podcast, e Francesco Acerbi è intervenuto ai microfoni per cercare la provocazione al contrario: «Dicono che siamo i più forti ma guardate che quelli che sono andati via erano fortissimi. Dicono che dobbiamo stravincere ma la Juventus ha speso 200 milioni per 3 giocatori come Vlahovic, Chiesa e Bremer. Noi parametri zero. Proviamo a essere un po’ equilibrati».

Se ne scrive ovviamente sui giornali e la narrativa di Allegri alla fine, si può dire, è comunque riuscita a passare. Stefano Agresti sulla Gazzetta dello Sport ha dato la sua versione della storia recente della Juventus secondo cui Allegri sarebbe stato mandato via per populismo, in sostanza, mentre ora il suo lavoro sarebbe amato come non mai. Il motivo dovrebbe essere quello che lui stesso definisce “un piccolo grande miracolo”: «E adesso lo esaltano, se apprezzano anche i successi di corto muso, se accettano di vincere benché spesso il gioco non sia entusiasmante, è perché hanno capito che stavolta Max sta realmente facendo un piccolo, grande miracolo. La Juve non è una squadra stellare come quelle che l’allenatore ha guidato durante il ciclo d’oro: non ha fuoriclasse né grandi campioni, solo un paio di giocatori che potrebbero diventarlo (Vlahovic e Chiesa, ora anche Yildiz); non ha un organico di qualità ampio; ha calciatori riscoperti, reinventati, valorizzati, portati oltre i loro limiti».

È una narrazione ideologica, che enfatizza alcuni aspetti per trascurarne di proposito altri. Come è ideologica e parziale anche la narrazione opposta, quella secondo cui l’Inter avrebbe una squadra fatta di scarti del calcio mondiale, presi a parametro zero e valorizzati da Inzaghi. In questa conflittualità un po’ infantile, che inquina il dibattito, cosa resta di vero?

Difficile provare a fare un debunking puntuale, tanto sono opachi i termini della questione, che forse non è nemmeno così interessante. Possiamo dire che la media età in campo della Juventus è sì inferiore a quella dell’Inter, ma in linea con quella delle migliori squadre europee, che ambiscono a vincere titoli. Ed è una media età comunque più alta di tre squadre - Liverpool, PSG e Bayer Leverkusen - oggi in cima ai propri campionati. Se parliamo di esperienza maturata in campo, più di status che anagrafica, risulta complicato definire acerbi giocatori come Sczcesny, Danilo, Bremer, Rabiot, Kostic, Locatelli, Chiesa o Vlahovic.

C’è poi il tema economico e di progettualità, che viene spesso tirato in ballo. «Se qualcuno pensa che la Juventus quest’anno doveva vincere il campionato, vuol dire che hanno più capacità di me di capire il percorso di una squadra» ha detto Allegri. Andrebbe detto che l’Inter è stata costretta a cambiare diversi giocatori negli ultimi anni. Rispetto alla squadra 2020/21, quella che con Conte in panchina ha vinto lo Scudetto, quella cioè citata da Allegri, l’Inter ha cambiato 10 dei 16 giocatori con più di 20 presenze. Di questi 10 alcuni rappresentavano una parte dell’ossatura della squadra: Romelu Lukaku (il miglior marcatore della squadra), Achraf Hakimi (7 gol e 9 assist), Samir Handanovic, Marcelo Brozovic, Ivan Perisic, Christian Eriksen. Negli ultimi cinque anni il bilancio fra entrate e uscite nei trasferimenti dei neroazzurri è in attivo. Solo nell’ultima estate bisogna citare le cessioni di due titolari come Brozovic e Onana. Il modo in cui si commenta la cessione del portiere suona particolarmente disonesto: viene fatta passare per una fortuna la vendita di uno dei migliori giocatori dell’Inter dello scorso anno, e di sicuro uno dei più influenti tatticamente. Ma come spesso capita nel calcio, abbiamo la memoria corta.

La Juventus d’altra parte presenta un passivo di 190 milioni, tra cessioni e acquisti, negli ultimi cinque anni. Se è vero che la scorsa estate i bianconeri non hanno fatto acquisti rilevanti, d’altra parte sono rimasti tutti i migliori giocatori - escluso Angel Di Maria.

Il costo dei cartellini non è certo l’unico parametro economico da valutare, e spesso si dice che l’Inter, pur non investendo molto nelle compravendite, spende parecchio in stipendi per convincere i parametri zero a trasferirsi a Milano. Vero, ma anche la Juventus ha un monte ingaggi molto alto: il più alto della Serie A. È un argomento che Allegri rifiuta totalmente: «Sono bravi a farseli dare i contratti, ma sono discorsi che non stanno né in cielo né in terra».

È vero che il valore economico di una squadra non esaurisce e non definisce il suo valore calcistico. Non si può ridurre tutto ai soldi, certo, ma resta senz’altro uno dei pochi parametri utili per fissare un tetto di aspettative intorno a un club. E ci sono altri fattori di cui si parla poco. La recente nidiata di giovani della Juventus è anche il frutto dell’ottimo lavoro svolto dalla squadra Under-23, che ha un costo stimato annuo di circa 6/7 milioni di euro: non tutti i club possono permetterselo e rappresenta un’altra testimonianza del potere della Juventus.

Fuori dall’ambito economico, ci si spinge spesso in valutazioni astruse sul valore dei giocatori e delle rose. Ragionamenti che culminano in domande provocatorie che suonano tipo: «Quanti giocatori della Juventus sarebbero titolari nell’Inter?». In questi discorsi si nasconde l’idea dei calciatori come beni dal valore assoluto e indipendente. Come se si potesse, come in Dragon Ball, usare dei visori rilevatori per stabilire la potenza di un combattente. Oppure come se ci fosse il valore “overall” delle card di FIFAa stabilire, una volta per tutte, chi è più forte di un altro.

A volte possono essere discorsi stimolanti, non voglio fare il pesante, so che spesso si gioca. Amiamo il calcio anche perché si può discutere fino al più minuto livello di dettaglio su questioni così generali e astratte. Il rischio, però, è di rifiutare la complessità del calcio. I calciatori non hanno mai un valore astratto dal contesto che li circonda. È la relazione con i compagni, e col sistema e i principi dell’allenatore, che definisce il loro valore. È il motivo per cui vediamo giocatori depressi in certi contesti fiorire in altri. Ridurre tutto a chi è costato di più, a chi ha il curriculum migliore, a chi ha segnato più gol in carriera, a chi è più in forma, ci allontana dal capirne un po’ di più, di calcio, e a riconoscere quando una squadra sta facendo qualcosa di eccezionale.

Non è difficile capire perché ad Allegri faccia comodo questo schema comunicativo, anche a costo di far passare la sua squadra come un insieme di giocatori inesperti e limitati. Lo aiuta a togliere pressioni a sé stesso e al gruppo. È un meccanismo auto-protettivo efficace e difficile da disinnescare. Creare questa specie di obbligo a vincere, di converso, può proiettare molte pressioni sull’Inter di Inzaghi, che in passato si è già incartata in una corsa scudetto. Non c’è niente di male in questa manipolazione comunicativa di Allegri: fa parte del suo mestiere.

Oggi la stagione del Milan viene percepita come un mezzo fallimento, mentre quella della Juventus come un successo, nonostante i risultati sportivi non siano poi così distanti. E questo è un successo comunicativo di Allegri. La Juventus ha fin qui disputato una buona stagione: ha inserito dei giovani, si è visto qualche miglioramento tattico e i punti in classifica sono oggettivamente tanti - in altre annate abbastanza per poter lottare per il titolo. La Juventus, però, rischia di essere tagliata fuori dalla lotta al titolo per il quarto anno di seguito: troppi per la storia del club. Ed è tagliata fuori anche in una stagione in cui ha il vantaggio di non giocare le Coppe Europee. Allegri sta facendo bene, ma è difficile parlare di miracolo, o dire che stia facendo molto di più di quanto è nelle possibilità della sua rosa. Lui ci tiene a tenere basse le aspettative, e a presentarsi nell'inedita veste di allenatore "costruttore", ma è difficile vedere un progetto tattico chiaro nella Juventus, in grado di amplificare le potenzialità dei suoi giocatori; e anche il discorso sull'inserimento dei giovani andrebbe in parte relativizzato: Yildiz è stato inserito bene, finora, ma gli altri? Fagioli stava avendo uno sviluppo adatto alle sue qualità, prima della squalifica? Miretti è messo nelle condizioni di esprimersi? Che fine ha fatto Iling-Junior? Siamo sicuri che Soulé, Barrenechea e Huijsen non avrebbero fatto comodo alla Juventus? Possiamo trattare come giovani inesperti giocatori di 24 anni?

L’impressione è che Allegri goda di un’indulgenza speciale - o che quanto meno ci sia sempre qualcuno disposto a prendere le sue parti con grande fervore; a sottolineare i suoi meriti ma a nascondere le sue imperfezioni. Intendiamoci, lo ripeto ancora più chiaramente: non penso che Allegri stia facendo male nella Juventus, ma sta facendo abbastanza, considerato che stiamo parlando della Juventus? C'è davvero una strada tracciata che vale la pena seguire?

Questo successo comunicativo è legato non solo a quello che dice Allegri, ma anche a ciò che rappresenta. Ci sono degli aspetti che rendono più ascoltate le sue parole e la sua posizione: il suo curriculum vincente, innanzitutto, e poi il fatto di essere il simbolo di una parte ben chiara dell’assurdo conflitto ideologico andato in scena negli ultimi anni, tra giochisti e risultatisti. Un falso conflitto, che però non smette di inquinare il discorso calcistico. Credere ad Allegri significa, suo malgrado, credere a una certa visione del calcio, di come dovrebbero essere fatte le cose. È una presa di posizione ideologica chiara. Ci sono degli effetti dei discorsi di Allegri, un impianto dialettico, che vanno oltre quello che lui stesso dice, e che hanno a che fare con la guerra santa che, sotterranea, agita sempre la cultura calcistica italiana.

Questo schema che si è venuto a creare ha qualcosa di pericoloso. Il rischio di questi discorsi, quello più grande, è di svuotare di valore la favolosa, fin qui, stagione dell’Inter. Far passare l’idea che l’Inter abbia dei mezzi fuori scala per il campionato italiano, e che stia vincendo la Serie A per pura inerzia - assecondando un potere politico (la Marotta League), economico e tecnico. Un’idea distante dalla realtà, ma che una parte di opinione pubblica sta provando a far passare a forza. L’Inter è riuscita a costruire un progetto tecnico estremamente coerente pur in un contesto di oggettiva difficoltà economica. In campionato ha vinto 20 delle 24 partite giocate. È una squadra che gioca un calcio leggero, libero, brillante, che sta permettendo ai suoi migliori talenti di esprimersi come mai nella vita. È una squadra costruita con intelligenza, allenata con idee fresche, e in cui tutti i giocatori sembrano giocare l’uno per l’altro nel senso più profondo e meno retorico di questa idea.

L’incredibile fluidità dell’Inter in un’immagine.

Eppure qualcuno vorrebbe far passare questo, nel caso in cui l’Inter vincesse, come un campionato banale e vinto d’ufficio; l’Inter come una corazzata formata da fenomeni. Probabilmente l’Inter è la squadra costruita meglio, ma è soprattutto la squadra allenata meglio, e che gioca un calcio all’avanguardia, che dimostra chiaramente quanto estetica ed efficacia non siano in contraddizione. L'Inter - come il Napoli lo scorso anno e il Milan due anni fa - è una squadra felice, che gioca con un divertimento palpabile che la aiuta anche a essere più efficace. Siamo storicamente un calcio tremendamente serio, grave, ma negli ultimi anni solo le squadre felici e leggere riescono a vincere.

Nel calcio italiano è sempre molto difficile riconoscere i meriti ai più forti; ci si affretta a trovare il modo per avvelenare e sporcare il successo. Un problema che la Juventus dovrebbe conoscere bene.

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