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Dario Saltari
Alla Lazio è bastato sedersi sulla riva del fiume
11 gen 2024
11 gen 2024
Un altro derby in cui ha vinto chi ha sbagliato di meno.
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Dario Saltari
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IMAGO / HochZwei/Syndication
(foto) IMAGO / HochZwei/Syndication
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Con quello di ieri, sono quattro i derby di Roma consecutivi in cui viene segnato un solo gol o addirittura nessuno. Questa specie di quadrilogia della pochezza, se vogliamo chiamarla così, si è aperta il 6 novembre del 2022, con il derby dell’errore di Ibañez, anticipato da Pedro su un tentativo scellerato di finta verso la propria area di rigore. Quel momento sembra ormai aver marchiato a fuoco il derby di Roma, una partita in cui le due squadre fanno talmente poco per vincere che è diventato impossibile pensare di non perdere, in cui anche il più piccolo errore sembra una condanna a morte.

I giocatori di Lazio e Roma, anche ieri, sembravano essersi abbandonati all’idea che, se è così difficile giocare a calcio con i propri compagni, tanto vale farlo con gli avversari. Già al primo minuto Cataldi, con un filtrante perfetto, ha servito Lukaku sulla corsa per andare in uno contro uno con Patric e calciare da fuori area. Poi al decimo è stato il turno di Kristensen, che invece ha visto Castellanos libero sulla trequarti e lo ha lanciato con un passaggio che non ha permesso a Mancini di intervenire. Infine al 22esimo Karsdorp, con un passaggio orizzontale al bacio per Guendouzi, ha innescato la transizione della Lazio dall’ultimo quarto di campo, con una giocata per cui ci vuole una certa visione di gioco.

Nel primo tempo la Roma ci ha messo anche un certo impegno difensivo per disfare le sue stesse trame di gioco, e per ben due volte nell’arco di soli 45 minuti Bove è riuscito ad anticipare Lukaku sulla trequarti e a restituire palla alla difesa della Lazio con dei bei retropassaggi di testa di ispirazione derossiana.

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Si potrebbe continuare così a lungo - a dire la verità si potrebbe fare un pezzo solo raccontando tutti gli errori ridicoli che hanno caratterizzato una partita che ormai a guardarla fa male agli occhi - ma il sarcasmo finirebbe per nascondere una realtà incontrovertibile. Di questi ultimi quattro plumbei derby tre ne ha vinti la Lazio, che ogni volta, ormai da un anno abbondante, si dimostra la squadra che utilizza una strategia reattiva per lo meno con uno scopo, e non per semplice paura. Questo è forse l’aspetto più paradossale di questi derby tra Sarri e Mourinho, quello che non ci saremmo mai aspettati prima del loro arrivo a Roma: il primo che piega i propri principi per «dare all’avversario la partita che non vuole» (come da celebre aforisma dell’allenatore portoghese); il secondo che, nella partita più sentita dell’anno, mette in campo una squadra molle, senza personalità e soprattutto senza controllo.

La strategia della Lazio era piuttosto semplice e, come tutte le strategie, non priva di difetti. Lasciare il pallone alla Roma, aspettarla con un blocco medio, schermare con ali e mezzali le linee di passaggio dei due braccetti giallorossi verso il centro, e uscire a uomo con due centrocampisti (di solito Cataldi e Vecino) sulle ricezioni dei due mediani di Mourinho (Paredes e Cristante).

Come detto, le falle non mancavano. Con la solita attenzione maniacale al controllo della zona, gli scivolamenti rigidi in orizzontale, la Lazio faceva fatica ad uscire in tempo con i propri terzini sui due esterni giallorossi (Zalewski e Karsdorp). Al centro del campo c’era un problema ancora più grande. Muovendo la palla in orizzontale, infatti, a volte le schermature e le marcature della Lazio si smagliavano lasciando invitanti linee di passaggio verso i mezzi spazi, occupati da una parte da Dybala e dall’altra da Bove. Soprattutto quest’ultimo, con il suo movimento instancabile senza palla ha spesso messo in crisi Guendouzi, indeciso se scalare in avanti su Paredes o seguire i suoi tagli all’indietro.

Se lo schermo centrale si sfalda, e le mezzali escono in ritardo, il campo diventa troppo grande da coprire solo per Cataldi.

La Roma, una squadra che sembra guardare il pallone come un estraneo, non ha però visto questi vantaggi tattici, ignorandoli per paura di sbagliare o semplicemente perché non aveva gli strumenti per individuarli. Gli esterni non sono quasi mai stati raggiunti in maniera pericolosa per attaccare l’ampiezza lasciata sempre rischiosamente scoperta dalla squadra di Sarri. Nella propria metà campo la circolazione della palla era troppo lenta per sorprendere gli scivolamenti della Lazio e l’unica soluzione trovata da Mourinho è stata quella di alzarli praticamente sulla linea degli attaccanti, costringendo i centrocampisti a complicati cambi di gioco di decine di metri, che nello stato mentale in cui galleggiavano le squadre ieri erano semplicemente impossibili (solo a Paredes ne sono riusciti un paio).

Anche le ricezioni nei mezzi spazi ai fianchi di Cataldi, che sarebbero potuti essere un’arma interessante, non sono state che una manciata, e nessuna pericolosa. Senza meccanismi in fase di costruzione dal basso, per la Roma era infatti molto difficile scombinare i centrocampisti avversari, nonostante non sembrasse poi così difficile farlo.

Qui Mancini ha addirittura due linee di passaggio libere, una verso Dybala libero alla sinistra di Cataldi. Sceglie quella più semplice, orizzontale verso Karsdorp, su cui comunque Marusic è in ritardo. La Roma arriverà al cross sfruttando il taglio interno-esterno di Dybala.

La Roma è troppo lunga quando cerca di far risalire il pallone in maniera ragionata e non riesce a coinvolgere il doppio pivot che ha messo davanti alla difesa, e questo costringe i trequartisti a scendere molto nella propria metà campo, agevolando la densità difensiva avversaria. Dybala e più raramente Bove ricevevano quasi sempre circondati da avversari, molto bassi e vicini alla linea del fallo laterale. In queste condizioni ci sarebbe voluto Messi nelle sue serate migliori per trovare una via verso la porta avversaria. Rimaneva la scorciatoia più semplice: il lancio lungo diretto verso Lukaku, ma la Roma lo ha utilizzato in maniera tragicomica. Il centravanti belga non è mai stato un fenomeno nei duelli aerei, ma ieri i palloni che gli sono arrivati sembravano colpi di cannone lanciati a caso oltre le linee avversarie. A fine primo tempo Lukaku aveva toccato il pallone solo 13 volte, tentando 7 passaggi e completandone 4. A fine partita i passaggi riusciti saranno 13 su 21 (il 62%). Lukaku è stata la personificazione di una squadra che non vede e non sa sciogliere i nodi della partita, perché il suo mismatch atletico con Romagnoli e soprattutto Patric sarebbe potuto essere potenzialmente decisivo per la Roma.

La Lazio, a sua volta, non si è presa praticamente alcun rischio, ma è sembrata utilizzare il primo tempo per individuare le debolezze del suo avversario. La squadra di Sarri costruiva con l’intera difesa a quattro piatta per tutta l’ampiezza del campo e per aumentare ulteriormente il controllo abbassava tra centrale e terzino anche la mezzala sul lato della palla. Una mossa che toglieva un ulteriore uomo sulla trequarti, e che nonostante questo ha mandato in crisi il sistema di marcature della Roma, che ieri semplicemente non sembrava allenato per l’avversario che aveva di fronte. Di fronte all’abbassamento di Vecino a sinistra, per esempio, la Roma faceva uscire su di lui Cristante, aprendo le maglie al centro e facilitando le rotazioni del triangolo di sinistra, con Marusic che si staccava in ampiezza e Zaccagni che entrava dentro al campo. Quest’ultimi due erano presi in consegna a turno da Kristensen e Karsdorp, sempre puntualmente in ritardo sui rispettivi avversari.

Proprio utilizzando questo triangolo, la Lazio ha prima creato una situazione potenzialmente pericolosa alla fine del primo tempo (se non fosse stato per le sbavature tecniche dei suoi giocatori) e poi, con l’aiuto di Felipe Anderson, è andata vicino al raddoppio già al 56esimo, poco dopo aver segnato il gol dell’1-0.

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Qui Cristante esce direttamente su Marusic, ma il discorso non cambia.

In mezzo il contestato rigore che ha deciso la partita, che ci sta già facendo annegare tra screenshot manipolatori e dichiarazioni grottesche («Con Orsato chi segna per primo vince»). In questo mare di narrazione, in pochi si sono accorti che l’azione che porta al calcio d’angolo dell’improvvido intervento di Huijsen nasce da una rimessa laterale a favore della Roma all’interno della propria metà campo. A rivederlo, sembra uno scherzo che la squadra di Mourinho sia riuscita a subire un contropiede da una situazione simile, eppure è andata proprio così. Zalewski batte facile con le mani verso Cristante vicino alla linea del centrocampo ma quello gliela ridà troppo corta, troppo molle. Felipe Anderson si avventa sul pallone, si lancia verso l’area avversaria superando Huijsen e con un bel cross trova dentro l’area Vecino, che sfiora il gol ancora prima del rigore.

Nel primo tempo la Roma aveva di fatto innescato l’unica occasione da gol rilevante in maniera simile. Al 24esimo Paredes aveva finalmente trovato Dybala nel mezzo spazio di destra in maniera utile. Il trequartista argentino si è girato verso il centro ma di fronte al più semplice dei passaggi orizzontali verso Bove ha visto la palla come trasformarsi in gelatina. Il passaggio si è disfatto al contatto col suo piede ed è stato recuperato da Guendouzi, che ha innescato la transizione di Lazzari. A quel punto davanti al terzino della Lazio si sono aperte le acque. Zalewski ha stretto verso di lui, ma con il corpo rivolto verso il centro del campo, non trovando meglio da fare per fermarlo che buttarsi a terra all’indietro come uno scarabeo. Lazzari ha chiamato un facile triangolo con Felipe Anderson e si è lanciato sulla fascia. Su di lui ha chiuso Paredes, che però è rimasto piantato a terra dopo un semplice cambio di direzione. Il terzino della Lazio è entrato in area, ha superato con la stessa facilità anche il ritorno di Zalewski, e poi ha tirato verso la porta da dentro l’area, dove però ha trovato la deviazione di Mancini.

In questi casi si dice che il gol non è stato un caso. Di solito si allude allo studio che c’è dietro alle partite, al modo in cui le squadre cercano di sfruttare sistematicamente i difetti degli avversari, mentre in questo caso bisognerebbe parlare dello stato mentale con cui entra in campo la Roma, che nei derby diventa semplicemente il contrario di una squadra di Mourinho. Giocatori che sembrano inseguire i propri fantasmi, che devono lottare contro se stessi ancora prima che contro gli avversari, che si fanno imporre il contesto della partita, la cui aggressività si ritorce contro con un numero spropositato di cartellini rossi (sono quattro negli ultimi tre derby). Con questo stato mentale, prendere gol è praticamente una profezia che si autoavvera.

Di fronte a questo, la Lazio sembra avere ormai la tranquillità di chi sa che basterà fare una partita accorta per portare a casa il risultato. Cercare di sbagliare il meno possibile, prendersi pochi rischi e sedersi sulla riva del fiume. Sono quasi due anni ormai che così facendo alla fine vede arrivare il cadavere dell’avversario.

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