Negli ultimi anni l’All-Star Game ha perso molto del fascino che esercitava sugli appassionati di basket. Non si difende, si tira solo da tre, si schiaccia soltanto, sono tutti troppo amici, è una partita che conta quanto il televoto a Sanremo sono alcune delle obiezioni che sentirete. E in parte è vero. L’All-Star Game è diventato un weekend di autocelebrazione della Lega, del proprio brand e delle proprie stelle. Ma è soprattutto una celebrazione degli interpreti che hanno reso e rendono ogni giorno magico questo sport, ognuna con il proprio merito ed ognuna con la propria storia.
C’è LeBron che si è scelto una squadra di free-agent e amici del cuore, c’è Giannis che la vorrebbe giocare come se fosse una partita di playoff, c’è Kemba che fa gli onori di casa alla Queen City, c’è Steph che torna nella sua città natale, c’è Lillard con il suo orologio da polso, c’è Middleton arrivato passando dalla D-League e ci sono Wade e Nowitzki, invitati d’onore all’ultimo gala. E attorno agli attori principali ecco i cortigiani, i giovani emergenti, gli schiacciatori, i tiratori, i giocolieri. E poi le mascotte, le ballerine, i ginnasti, i reporter, gli accreditati. Un intero organismo vivente che si prende una vacanza premio a metà tra la crociera aziendale ed una fiaba Disney prima che la stagione regolare torni a macinare partite in vista dei playoff.
Per vedere le difese, gli X&Os e le rivalità il tempo non manca, ci sono 82 partite di stagione regolare e due mesi di playoff. Ma per due giorni mettete da parte l’ossessione per la competizione e la vittoria e godetevi il basket come divertimento, come strumento di piacere.
Noi lo abbiamo fatto.
1) Kyle “Bonus” Kuzma
di Michele Pettene
Tra weird e eerie, direbbe Mark Fisher. Non sappiamo se fosse la frustrazione di essere stato inserito in ogni pacchetto UPS direzione New Orleans per l’affaire-Davis mai decollato, o se il suo atteggiamento sfrontato ai limiti dell’arrogante a Charlotte sia stata la conseguenza dei riflettori improvvisamente puntati addosso senza l’ombra di LeBron ad assorbire tutto, ma Kuzma è stato uno degli MVP più inquietanti che l’evento inaugurale dell’All Star Weekend ora conosciuto come Rising Stars Challenge (i migliori rookie e sophomore degli Usa contro quelli del Resto del Mondo) abbia mai avuto.
Kuzma è sembrato ossessionato dalla voglia di imporsi in una partita amichevole bruttarella e totalmente priva di qualsiasi competizione, prima evitando la schiacciata rischiosa su almeno tre lob “1-contro-0” appoggiando noiosamente la palla al tabellone (due schiacciate le ha fatte perbene però), poi dichiarando all’halftime di aver preso questa gara come “una forma di allenamento per la seconda parte della stagione” e accusando il record perdente dello scorso anno dei suoi Lakers come la ragione del mancato Rookie of the year. Infine, affermando alla premiazione dell’MVP del Rising Star di essere felice anche per i 25mila dollari di bonus previsti per la squadra vincitrice. Sostanzialmente Kuzma ha espresso nel peggiore dei modi quello che tutti pensano ma nessuno dice, levando pure quel sottile strato di infantile divertimento che ancora poteva esserci in un evento che necessita di qualche giro di vite per tornare ad essere perlomeno godibile, ora che il fondo è stato raggiunto.
Strano o inquietante, decidete voi.
2) Le buste di Trae
di Lorenzo Bottini
Se il titolo di MVP è andato a Kuzma, è stato Trae Young ad imprimere il cambio di ritmo che ha permesso alla selezione USA di creare separazione nel secondo tempo con giocate da funambolo della palla arancione e triple un paio di passi dietro la linea. Ha sfiorato la tripla doppia con 25 punti, 10 assist e 7 rimbalzi, ma le due giocate decisive sono state i due tunnel con i quali ha ridicolizzato prima Josh Okogie e poi Deandre Ayton, facendo capire ai lunghi della selezione del Resto del Mondo che sarebbe stato meglio farsi gli affari propri in difesa o altrimenti sarebbero stati abusati senza diritto di replica. Non c’è umiliazione più grande di farsi far passare la palla in mezzo alle gambe mentre si è piegati in posizione di difesa, non c’è onta più grave di essere ridicolizzati da un lazzo proprio quando si prova a fare sul serio. Trae con un semplice colpo di polso ha congelato la crescita dei ragazzini della lega e li ha obbligati a rimanere nell’Isola che non c’é.
3) Skills Challenge postmoderno
di Lorenzo Bottini
Lo Skills Challenge è il più surreale dei tre concorsi dell’All-Star Saturday (ovviamente Shaq contro 2 Chainz è una cosa a parte) e negli anni è diventato il palcoscenico di un Cabaret Voltaire. Quest’anno ci hanno provato un po’ tutti i concorrenti in gara: prima Trae Young ha eliminato Fox tirando da nove metri, poi Luka Doncic ci ha provato per due volte sparando da centrocampo. In finale Young si è lanciato la palla avanti invece di palleggiarla da un lato all’altro, ma si è fatto beffare da una tripla di tabella da centrocampo di Tatum. Il tutto mentre il vincitore dello scorso anno, Spencer Dinwiddie, dal tavolo dei commentatori continuava a esortare i concorrenti a tirare il prima possibile. Una serie di soluzioni punk per piegare le regole a proprio vantaggio talmente scoperto e alla luce del sole da essere un tentativo postmoderno di annullare il concorso stesso.
4) Curry on Curry
di Michele Pettene
Doveva essere il weekend della famiglia Curry e, seppur parzialmente, lo è stato. La famigerata macchina da marketing della NBA ha calcato abbastanza la mano sul ritorno nel North Carolina della stella di casa Stephen Curry, per l’occasione speciale accompagnato pure dal fratellino Seth – il miglior tiratore dei Portland TrailBlazers – e ovviamente dall’idolo casalingo Dell, padre di entrambi e cecchino degli Hornets negli Anni Novanta.
Una narrativa affiancata alla classica family of shooters che ha dato vita a uno dei momenti più divertenti poco prima dell’inizio della gara del tiro da tre punti, dove erano coinvolti entrambi i Curry. Dell, a suo agio nelle vesti di padrone di casa, ha ingaggiato un siparietto con Steph a centrocampo dicendosi piuttosto sicuro di poter ancora competere in una gara di tiro, provando poi a dimostrarlo in una sorta di “revival” nostalgico per i tifosi di Charlotte, con due leggende dei Calabroni come Curry e Glen Rice affiancati da Mark Price e Ray Allen a cimentarsi in un giro di carrelli benefico (per ogni canestro sarebbero stati donati 1000 dollari) da dietro l’arco prima dell’inizio della competizione vera e propria. Inattesi risultati esilaranti (i quattro ex-tiratori ne han messi solo sette) che i Curry Brothers non sono riusciti a ribaltare: Seth, forse emozionato, non è riuscito ad andare oltre i 17 punti del First Round, Steph s’è lasciato soffiare il trofeo da Joe Harris. La sconfitta è stata digerita rapidamente, ad ogni modo: per Steph, Charlotte rimane la prima casa, i suoi vivono ancora qui e Davidson, il piccolo college da cui Curry è uscito distruggendo ogni pregiudizio nei suoi primi anni NBA, è poco distante dalla città. Una rara reunion con la comunità che l’ha visto crescere da aggiungere ai suoi ricordi più belli.
5) Joe Buckets
di Lorenzo Bottini
Joe Harris è il secondo miglior tiratore da tre in stagione, pochi decimali sotto Davis Bertans, con più di cinque tentativi a partita. Praticamente un carrello. Per i numeri doveva essere uno dei favoriti alla gara del tiro da tre, ma la sua attitudine da co-worker, la barba da bartender di Williamsburg e la timidezza di chi è al primo weekend fuori casa lo hanno messo un po’ in disparte. D’altronde era facile rimanere nell’ombra tra la lotta fratricida dei Curry, l’idolo di casa Kemba Walker e il dirp delle aspiranti superstar Buddy Hield e Devin Booker. Invece Lumberjoe si è arrotolato le maniche della camicia di flanella e ha infilato due serie solidissime, senza fronzoli e con il gomito ben piegato sotto la palla. Harris ha vinto con trentasei triple su cinquanta tentativi, sfruttando in modo chirurgico le sue Moneyball e rendendo merito ai social media manager dei Brooklyn Nets di aver creato il video perfetto per fargli strappare l’ultimo invito disponibile.
Una volta che il RSVP è arrivato al Barclays Center, Joe Harris ha fatto quello che sa fare meglio: far canestro.
6) John Collins e il disastro aereo
di Lorenzo Bottini
*Record scratch* * Freeze frame*
Sì, quello travestito da Amelia Earhart è davvero John Collins, che si sta apprestando a saltare una replica dell’aereo usato dai fratelli Wright per le prime prove di volo, proprio a Kill Devil Hill in North Carolina. E quelli intorno al modellino sono Tuskegee Airmen, la squadriglia di piloti afroamericani formata durante la seconda guerra mondiale e uno dei simboli dell’orgoglio nero proprio durante il Black History Month. Voi vi chiederete come siamo arrivati a questo momento e cosa possa andare storto in un contesto del genere. Bravi, dimostrate di conoscere bene tutti i cliché del caso. Infatti Collins in fase di decollo divelle un pezzo della coda, e all’atterraggio abbatte la parte anteriore, dimostrando grande accuratezza filologica in uno spettacolo disastroso. Uno dei peggiori omaggi all’arte del volo dai tre tenori a Sanremo.
7) Dennis Smith feat. J.Cole
di Lorenzo Bottini
“Dennis Smith Jr, stay solid my n***a” rima J. Cole nel suo feat in “a lot” con 21 Savage. Ed effettivamente la nuova point guard ha provato a rimanere integra durante le estenuanti sessioni che hanno composto la sua gara delle schiacciate. Una infinita sequenza di errori e rinunce che hanno trasformato un blockbuster hollywoodiano in un lungometraggio asiatico in gara per il Leone d’Oro. E J.Cole è lì, seduto su una sedia, ad aspettare che DSJ lo sorvoli per la miglior schiacciata della sua esibizione. Il rapper che si è sempre vantato di essere arrivato al disco di platino senza alcuna collaborazione ad alzare il pallone per un suo concittadino durante l’All-Star Game casalingo perché bisogna sempre rappresentare le proprie origini e perché quando ti ricapita di poter provare a schiacciare in un All-Star Saturday.
8) Diallo sopra Shaq
di Dario Ronzulli
Hamidou Diallo non ha lasciato il segno in questa sua stagione da rookie. O meglio, non l’ha fatto fino a sabato notte quando si è messo in testa di vincere la gara delle schiacciate saltando sopra Shaquille O’Neal. Nessuno aveva mai avuto l’ardire di usare Shaq come uno zerbino, neanche per gioco: già questo poteva bastare per rendere il 20enne nativo del Queens vincitore morale. Poi però l’ha saltato davvero, al primo tentativo e in maniera pulita. Omaggio a Dwight Howard con la maglia da Superman, omaggio a Vince Carter restando aggrappato al ferro con il gomito e l’avambraccio dentro la retina. Se è vero che nello Slam Dunk Contest è difficile inventarsi qualcosa di nuovo, Diallo ha avuto il merito di rivisitare cose già viste utilizzando effetti di grande impatto visivo. Cioè: questo ragazzo ha saltato Shaq, rendiamoci conto. Per quanto O’Neal abbia abbassato la testa, il salto di Diallo resta comunque irreale.
È ovvio che non basta quanto accaduto a rendere la guardia dei Thunder un credibile giocatore NBA: ne deve ancora macinare di chilometri e non è detto che poi il cammino si concluda in maniera positiva. Però intanto il suo posticino nella storia della Lega se l’è preso, facendo cose che voi umani non avete mai neanche lontanamente pensato.
9) Dirk and Dwyane
di Lorenzo Bottini
Quando Adam Silver ha comunicato al mondo di aver incluso Dirk e Dwyane nei roster grazie ad un suggerimento di un tifoso arrivato nella sua casella email, tutti hanno riservato un’ovazione ai due grandi vecchi campioni all’ultimo giro di giostra prima della meritata pensione. Ma Dirk e Dwyane (nomi perfetti per la prossima stagione di True Detective) non sono andati a Charlotte solo per prendersi i giusti applausi, sono andati per divertire e divertirsi, come hanno sempre fatto. Nowitzki era ovunque durante il weekend, dalla gara di tiro da 3 alle battaglie a Sarabanda contro Doncic, fino a quelle tre triple segnate con quella parabola che gratta il cielo stellato prima di infilarsi nella retina. Wade invece ha sfruttato quest’occasione per una bella vacanza familiare, portando il figlio Zaire in visita guidata al più bel parco di divertimenti cestistici che esista. Poi come se non fossero passati dieci anni eccolo in campo ad alzare l’ultimo pallone al ferro per LeBron, l’ultimo scherzo al tempo che avanza.
10) L’ultimo alley-oop di Wade e LeBron
di Dario Vismara
I due grandi amici avevano un solo obiettivo per l’ultima partita delle stelle da disputare assieme: un passaggio alley-oop per l’altro prima che fosse tutto finito. Avevano creato pure un hashtag apposta, #OneLastLob, riprendendo il One Last Dance con cui Wade sta raccontando il suo lunghissimo addio alla pallacanestro in giro per gli States. E avevano talmente fretta di realizzarli da fare partire Wade titolare nel secondo tempo, prima che la gara si facesse troppo tirata per riuscirci e Wade dovesse lasciare spazio ad altri più meritevoli. Alla fine, hanno avuto quello che volevano: prima James ha alzato per un ultimo zompo di Wade; quindi Dwyane ha appoggiato la palla al tabellone per l’arrivo volante di LeBron. Un giorno non troppo lontano ne rideranno davanti a un bel calice di rosso, di quanto erano talmente potenti da fare quello che volevano nell’All-Star Game della NBA.
11) La disfida degli Halftime Shows
di Lorenzo Bottini
Quest’anno lo show dell’intervallo durante il Superbowl ha fatto esplodere tutte le criticità tra l’NFL e il mondo dell’intrattenimento americano, con molti artisti che si sono apertamente schierati contro la Lega per le sue posizioni sulla questione Kaepernick e in generale il trattamento riservato agli atleti afroamericani e alle minoranze. L’NBA non ha sofferto nessuno di questi problemi, anzi lo spettacolo offerto durante il weekend di Charlotte secondo molti ha superato di gran lunga Adam Levine che si straccia i vestiti in mondovisione. Aver scelto di aver Janelle Monae, un’artista donna ed apertamente queer, ad aprire le danze non è stato affatto banale se pensiamo che Silver ha bloccato lo svolgimento dell’All-Star Game in North Carolina per due anni, finché non è stata abrogata la discussa “Bathroom Bill”, una legge che discriminava le persone transgender.
La presentazione dei 26 giocatori in campo è stata affidata a Meek Mill, che meno di un anno fa era in galera, e che non si è fatto molti problemi a rappare di gangster shit anche davanti a Budenholzer. Dreams And Nightmares, dopo la vittoria degli Eagles lo scorso anno, è ormai l’intro perfetto per ogni evento sportivo e non potrebbe rappresentare meglio gli ultimi anni del rapper di North Philly.
A rubare lo show però ci ha pensato il padrone di casa J.Cole che dopo aver provato a schiacciare durante il Dunk Contest, ha messo tutti nel canestro con dieci minuti da MVP. E’ arrivato anche un saluto a 21 Savage, che negli ultimi giorni è stato arrestato a causa delle legislazioni di Trump sull’immigrazione, a ribadire la difformità tra i due Halftime show. Pare che LeBron abbia chiesto a Mike Malone, il suo coach per un giorno, se la squadra avesse potuto ascoltare il concerto di Cole. “Va bene se poi nel secondo tempo vi impegnate in difesa” ha risposto Malone. Detto fatto.
https://twitter.com/Genius/status/1097326434698317825
12) Compagni contro
di Lorenzo Bottini
Il nuovo formato con i capitani che scelgono la propria squadra ha dato una rinnovata vitalità alla manifestazione, creando nuove rivalità e nuove amicizie. Non essendoci più la divisione per Conference non esiste più neanche quella tra squadre e così compagni che da anni giocano con la stessa maglia per una volta si sono affrontati davanti alle telecamere e non solo in allenamento. Curry che prova a lavorare in post contro Klay perdendo la palla sul contatto con l’altro splash brother ma che si rifà abbondantemente nell’ultimo periodo con il suo classico gioco da quattro punti, una mossa che Klay ha sempre visto dalla parte giusta e che per una volta gli tocca subire da vittima. O Simmons e Embiid che si abbracciano in mezzo al campo, un po’ per riconoscersi il merito di essere entrambi lì, un po’ per impedirsi reciprocamente di giocare. Ma ci sono anche i compagni che sono rimasti insieme, come Giannis e Middleton, che nel primo tempo danno spettacolo davanti al loro coach, o George e Russell che fanno e disfanno come al solito.
13) Kevin Durant, MVP senza neanche impegnarsi
di Dario Vismara
Quando Kevin Durant è in campo, il gioco e il tabellino sembrano viaggiare su due binari opposti della realtà. Mentre nel primo la sua presenza è sporadica, segnalata solamente da qualche fiammata a intermittenza, nel secondo è sempre silenziosamente presente, e basta un attimo che si ritrovi oltre quota 20 senza neanche accorgersene.
Alla partita delle stelle è andata esattamente così: Durant ha costeggiato la partita fino a quando non si è acceso improvvisamente, e avendo già messo da parte una ventina di punti nei primi tre quarti senza neanche sforzarsi di segnarli, gli è bastato mettere qualche canestro per zittire Joel Embiid per scollinare quota 30 e portarsi a casa il titolo di MVP. Massimo risultato con il minimo sforzo e secondo trofeo in bacheca, già che passava di lì.
14) Lo struggle di Steph Curry
di Dario Vismara
Alla fine, si può dire che il weekend di Steph Curry non è proprio andato come voleva. Non è riuscito a vincere la gara del tiro da tre punti, battuto all’ultimo carrello da un Joe Harris qualsiasi. Non è riuscito a vincere la partita né tantomeno a conquistare l’MVP davanti al pubblico che lo ha visto crescere. Anzi, non è nemmeno riuscito a farlo vincere a Giannis Antetokounmpo, visto che nell’ultimo quarto ha sparacchiato sbagliando sette triple su otto. Eppure ci ha provato in tutti i modi, registrando più giocate da highlight di chiunque altro (alzando lob a chiunque, difendendo su Klay Thompson, facendosi microfibre dalla TV) e sfogandosi alla fine con una reverse che solitamente non appartiene al suo repertorio. Non è servito a nulla se non a fargli aumentare il nervoso, mentre Kevin Durant (proprio come alle Finals dello scorso anno) vinceva il premio di MVP senza neanche volerlo davvero. Come dice il Genio di Aladdin: “Steph, sii te stesso”.
15) Quella schiacciata di Giannis al volo
di Dario Ronzulli
Ho visto tante schiacciate del mio capitano odierno in questi anni. È veramente bravo, non c’è che dire. Ha una elasticità, un’agilità e una potenza che raramente si è vista con questa combinazione. Voglio metterlo alla prova, voglio sfidarlo in un modo nuovo, vediamo cosa sa fare. Io sono Steph Curry, giostro la palla come mi pare, posso inventarmi qualche passaggio strano: tanto siamo all’All Star Game, c’è spazio per (quasi) tutto. E soprattutto per divertirci. Toh, ecco un contropiede: quel pazzo di Embiid mi dà il pallone. C’è Giannis dalla parte opposta alla mia. Potrei dargli un comodo e semplice alley-oop. Troppo banale. Gli potrei passare la palla ad un’altezza disumana ma in un modo tale per cui lui possa prenderla. Sì, mi piace. Ecco, gli faccio il passaggio schiacciato con la parabola più alta che lui abbia mai ricevuto in vita sua. Vediamo cosa si inventa.
Certo che a saltare salta parecchio. Chissà se la prende. Dio mio l’ha presa! E l’ha pure schiacciata! Ma che roba è? Torniamo in difesa, gli do il cinque e rido, non posso non ridere. Giannis ha fatto una cosa bellissima. Certo, la sua schiacciata toglierà la vetrina al mio passaggio: quella palla lì deve rimbalzare nel punto giusto e con la parabola giusta sennò finisce facile facile in tribuna. Però non mi interessa. L’ho sfidato, lui ha accettato e ha vinto: bravo lui.