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Come Alisson ha cambiato il Liverpool
20 feb 2019
20 feb 2019
E viceversa.
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Da quando è passato al Liverpool, la vita di Alisson non sembra essere cambiata molto. Nonostante abbia cambiato paese, squadra e città, il portiere brasiliano continua infatti a bere mate, suonare la chitarra, mangiare molta carne ed essere il miglior portiere del suo campionato. Al portiere brasiliano riesce davvero così semplice il suo mestiere, come quando fa apparire la parata più complessa come un gesto naturale o un lancio di sessanta metri come una formalità burocratica.

 

Ce n’eravamo

la scorsa stagione, alla fine della quale ha vinto il nostro premio

e quello dell’AIC come portiere della top XI della Serie A, adesso

anche in Premier League, dove comunque avevano già portieri del calibro di De Gea, Ederson e Lloris. Il talento di Alisson ha un potere illusorio che sembra poter piegare qualsiasi contesto alla sua forza, al di là della competitività degli avversari, al di là dei ritmi a cui si gioca, al di là della squadra in cui viene inserito.

 

Quello della naturalezza nello stile è quasi diventato un brand, che lo stesso portiere brasiliano sta iniziando a promuovere. «Mi piace parare in maniera semplice»,

a settembre in un’intervista all’Independent «Non faccio parate per le macchine fotografiche. Se la palla è davanti a me non mi butto. Se mi arriva su un lato mi butto da quel lato. Mi piacciono le cose semplici».

 

Non è che Alisson non faccia errori, ovviamente – è proprio lì il suo potere illusorio. Anzi, c’è stato un momento ad inizio stagione in cui la sua esperienza inglese magari avrebbe potuto deragliare. E cioè quando, il primo settembre, con il Liverpool avanti per 2-0 sul campo del Leicester, ha provato a dribblare Iheanacho sulla linea di fondo ma si è impicciato con le gambe, finendo per perdere il pallone e permettendo alla squadra di Puel di segnare il gol che ha riaperto la partita. Uno dei suoi tratti distintivi, quello della spregiudicatezza con i piedi fuori dalla porta, avrebbe potuto essere compromesso.

 



 

Ma alla fine quell’errore è stato ininfluente (il Liverpool ha vinto per 1-2) e adesso l’unica cosa che non si può fare a meno di notare è che il Liverpool è primo in classifica (a parimerito con il City, ma con una partita in meno) con la miglior difesa della Premier League. La stessa squadra esplosiva e instabile dell’anno scorso, con 38 gol subiti in campionato (appena uno in meno del Burnley), capace di arrivare in finale di Champions League subendo 9 gol solo nelle ultime tre partite disputate, e il cui unico cambiamento rilevante in difesa è stato proprio l’acquisto di Alisson.

 

Se guardassimo superficialmente le cose, quindi, forse potremmo dire che è stato davvero il portiere brasiliano a rendere finalmente solida una squadra che fino alla scorsa stagione era troppo imprevedibile. Se l’anno scorso la squadra di Klopp era nitroglicerina, pericolosissima ma instabile fino all’inverosimile, quest’anno con Alisson si è fatta dinamite, ugualmente esplosiva ma maneggevole e controllabile.

 

Ma è davvero così?

 



Valutare l’impatto di un singolo giocatore sul gioco di una squadra non è un’operazione semplice, soprattutto per quanto riguarda un portiere. Ogni giocatore con le proprie caratteristiche influenza infatti il gioco di squadra, che a sua volta plasma il modo di giocare dei singoli e che cambia nel tempo per via delle decisioni prese dall’allenatore. Isolare il contributo di Alisson alla solidità difensiva della squadra di Klopp è quindi un’operazione più sfumata e complessa di quanto non appaia.

 

È chiaro che Alisson sia un portiere fenomenale: l’affermazione per cui sia uno dei migliori della Premier League non è solo un’opinione personale ma soprattutto un’evidenza statistica. Il portiere brasiliano al momento è secondo nel campionato inglese per percentuale di tiri in porta parati (77,3%; dietro a Lloris a 80.3%, ma davanti a Ederson a 74.2%), ma anche per differenza tra Expected Goals dei tiri in porta subiti e gol concessi: Alisson è a -4,3, ancora dietro a Lloris (-3,2) mentre tutti gli altri non vanno sotto il -5 (Ederson a -5,5, De Gea a -8,3). Con l'unica eccezione del portiere del Tottenham, insomma, Alisson è sia il portiere che para di più che quello che para i tiri più pericolosi, quelli cioè che statisticamente hanno più chance di entrare in porta.

 



 

Questo è l’apporto più evidente che il portiere brasiliano ha portato con sé al Liverpool, che ha già potuto toccare con mano gli ovvi vantaggi di avere un portiere eccezionale tra i pali dopo la grande parata su Milik all’ultimo secondo della gara di ritorno contro il Napoli, che gli ha permesso di approdare agli ottavi di Champions League.

 

Da questo punto di vista, il confronto con Mignolet e Karius, che hanno difeso la porta del Liverpool lo scorso anno, è impietoso: il primo aveva una percentuale di tiri in porta parati del 60,7% e una differenza tra Expected goals subiti e gol concessi -10,1; il secondo fissava le due statistiche a 71,4% e -3,9. Insomma, quando Klopp

che avrebbe pagato Alisson il doppio se avesse saputo che era così forte magari non sta scherzando del tutto.

 

Ma al di là delle parate eccezionali, possiamo dire che Alisson ha

il gioco del Liverpool? Che il portiere brasiliano abbia una grossa influenza sui risultati dei "Reds" è innegabile. Durante le prime 20 partite giocate dalla squadra di Klopp in campionato nel 2018, infatti, Alisson ha avuto un rendimento da primo della classe, con l'84,9% di tiri in porta parati e una differenza tra Expected Goals subiti e gol presi addirittura positiva (0,8). E al primo gennaio del 2019 il Liverpool era primo in classifica, con sette punti di distanza dal City e addirittura solo otto gol subiti.

 

Nelle prime sei partite giocate in campionato nel 2019, invece, Alisson ha avuto un grosso calo di rendimento, con il 46,2% di tiri in porta parati e una differenza tra Expected Goals subiti e gol presi di -5,1. Ovviamente stiamo parlando di un campione statistico molto limitato, e quindi ancora poco rilevante, ma è impossibile non notare che contemporaneamente le prestazioni del Liverpool non sembrano essere peggiorati allo stesso modo: anche se il volume di tiri subiti dalla squadra di Klopp è aumentato (da 8,2 a 9,2 a partita), gli Expected Goals presi sono rimasti praticamente invariati (da 0,81 a partita a 0,83) e il numero di tiri nello specchio è addirittura diminuito (da 2,7 a 2,2 a partita). E quindi è plausibile pensare che è soprattutto per via del calo del rendimento di Alisson che in queste sei partite il Liverpool abbia subito sette gol, prosciugando il distacco dal City.

 



D'altra parte, il portiere brasiliano è uno di quei giocatori talmente peculiari da lasciare un segno profondo nella squadra in cui gioca: la Roma di Di Francesco, la scorsa stagione, poteva permettersi di tenere la propria linea di difesa costantemente a centrocampo anche perché aveva un portiere che era di fatto un libero, con un tempismo nelle uscite al limite della perfezione. Come

Emiliano Battazzi assegnando il premio di MVP della Serie A la scorsa stagione, nessuno faceva più

(cioè le spazzate uscendo dalla porta) di lui nel campionato italiano (1.1 per 90 minuti), con una distanza siderale anche dai portieri più spericolati, come Puggioni (0.8 per 90 minuti) e Reina (0.6 per 90 minuti).

 

Abituati a un Liverpool verticale e sempre proiettato alla riconquista del pallone in avanti sarebbe stato naturale vedere Alisson primeggiare in questa statistica anche quest’anno. E invece il portiere brasiliano esce molto di meno dai pali in questa stagione per coprire lo spazio alle spalle della propria difesa, con le

più che dimezzate (0,5 per 90 minuti). Davanti a lui ci sono ben tre alti portieri, tra cui Foster del Watford, primo in questa classifica, che ne fa quasi il doppio (0,96).

 

Se è vero, insomma, che Alisson ha salvato diversi gol che ci avrebbero portato a giudicare il Liverpool come una squadra difensivamente instabile, è anche vero che anche il gioco di Klopp a sua volta è cambiato, diventando per certi versi più prudente e chiedendo compiti diversi al suo portiere.

 

L’allenatore tedesco, per questa stagione, sembra aver deciso di puntare meno sul pressing alto, adottando un’identità più fluida e basata sulle transizioni lunghe più che su quelle immediatamente successive al recupero del pallone. Il baricentro medio del Liverpool si è abbassato di quasi un metro, passando da 50,4 a 49,6 metri, una decisione

a facilitare i tanti giocatori letali in conduzione in campo lungo, come Salah, Mané e, in prospettiva, Keita e Fabinho. In questo contesto, si è abbassato anche il raggio d’azione di Alisson, la cui altezza media dei tocchi palla è passato dagli 11,1 metri dell’anno scorso ai 10,9 di quest’anno.

 

Il portiere brasiliano quest’anno sembra essere meno coinvolto nel superamento della prime linea di pressione avversaria rispetto all’anno scorso, quando spesso e volentieri si sostituiva ai centrali di difesa nel recapitare il pallone a centrocampo o addirittura si ritrovava a dribblare il diretto avversario pur di far avanzare l’azione. Quest’anno, invece, è la difesa ad occuparsi principalmente della costruzione bassa e Alisson ha un ruolo più diretto, e cioè quello di lanciare direttamente per le transizioni lunghe degli uomini offensivi di Klopp, a partire ovviamente da Salah.

 



 

In questo senso, il portiere brasiliano è meno un libero difensivo rispetto al passato e più un lanciatore puro - qualcosa che assomiglia per compiti all’estremo difensore della pallanuoto, in cui il portiere, appena riconquistato il pallone, lancia direttamente per i compagni che scattano verso la porta per prendere in contropiede la squadra avversaria.

 



Se parlassimo davvero del portiere come di un qualsiasi giocatore di movimento, diremmo che il Liverpool ha portato Alisson a sviluppare soprattutto il suo gioco lungo (comunque già molto raffinato) a scapito della visione di gioco e della creatività nel breve.

 



Ma il trasferimento di Alisson al Liverpool ha lasciato un solco profondo anche nel gioco della Roma, che in estate ha deciso di affidare la sua porta a Robin Olsen. Anche in questo caso non è solo una questione di riflessi tra i pali, anche se ovviamente anche quello sta inevitabilmente influendo sui risultati dei giallorossi. Se Alisson in porta è statisticamente eccezionale, infatti, Olsen invece rientra in una fascia media anche in Serie A, con il 72% di tiri in porta parati e una differenza tra Expected Goals subiti e gol concessi addirittura di -11,7 (15esimo nel campionato italiano in questa statistica).

 

Pur essendo tecnicamente pulito, Olsen è molto più conservativo con i piedi e soprattutto non è particolarmente a suo agio nell’uscire dalla porta e a giocare da libero. L’altezza media dei tocchi del portiere svedese è di 9,1 metri dalla linea di porta, cioè esattamente due metri in meno rispetto a quella di Alisson la scorsa stagione, mentre le

si fermano a 0,25 per 90 minuti, cioè la metà del dato del brasiliano di quest’anno e quasi meno di un quinto di quello della scorsa stagione.

 

Nonostante non sia sicuramente l’unico, è un dato da prendere in considerazione quando si valuta la scelta di Di Francesco di adottare un atteggiamento più prudente e una linea di difesa molto più bassa rispetto all’anno scorso, soprattutto contro le squadre della parte alta della classifica. L’altezza media del baricentro della Roma è infatti passato dai 50,2 metri dell’anno scorso ai 49,1 metri di quest’anno.

 

Certo, è probabile che la decisione dell’allenatore abruzzese sia stata provocata anche da altri ragionamenti – compreso ovviamente anche il cambio di modulo – e non è detto che le cose non cambieranno ulteriormente in futuro – per esempio, nelle ultimissime partite di campionato si è tornata a vedere una difesa altissima e un Olsen insolitamente fuori dalla propria area di rigore (una scelta che però si è già scontrata con le sue caratteristiche, come il 7-1 subito in Coppa Italia contro la Fiorentina ha confermato).

 

Non c’è dubbio che la cessione di Alisson abbia lasciato un grosso vuoto nel gioco della Roma, che Di Francesco ha faticato molto a riempire. Il portiere brasiliano è un profilo quasi unico nel panorama calcistico mondiale e i vantaggi derivanti dal suo gioco non sono tutti evidenti come le parate miracolose che ci ritroviamo negli highlights alla fine di ogni giornata di campionato.

 

 

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