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Sakara infinito
27 ott 2025
A 44 anni Alessio Sakara è diventato campione nella boxe a mani nude.
(articolo)
9 min
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Dopo un main event intenso, contro Chris Camozzi, campione cruiserweight della promotion Bare Knuckle Fighting Championship (la boxe a mani nude, come si combatteva 150 anni fa, con dei piccoli accorgimenti), Alessio Sakara scuote la testa, quasi deluso, senza speranze. Il suo volto è tumefatto e sembra abbia preso la peggio nel combattimento, almeno finché Camozzi non si toglie il paradenti e mostra una finestra nella parte frontale dove dovrebbero trovarsi gli incisivi. Manca un dente, un altro si muove in maniera evidente e aspetta di essere tirato un po’ per staccarsi.

Camozzi ci prova, ma ne tira via poco, lasciandolo a penzolare, in un misto fra un film splatter e una scena dei Looney Tunes. Sakara probabilmente non ci fa caso. Camozzi è una sua vecchia conoscenza, hanno militato entrambi in UFC, ma l’ex campione BKFC ha chiuso un po’ meglio nel mondo delle MMA e ha cominciato molto bene la sua carriera in questo nuovo sport, con un record di 4 vittorie e una sola sconfitta, catturando anche il titolo nel processo.

Sakara è un personaggio particolare, legato a dei valori antichi e generalmente positivi. Non ha mai fatto mistero di non provare eccessiva simpatia per personaggi come Conor McGregor che, di fatto, ieri notte era il suo datore di lavoro, essendo diventato nel corso del 2024 uno dei proprietari della promotion BKFC. L’eccentricità e i modi di fare di McGregor sono sempre stati in perfetta antitesi con quelli promossi invece dal "legionario romano". Sakara, alla veneranda età di 44 anni, quando tutto sembrava finito, ha deciso di darsi un’altra possibilità e, dopo aver battuto il quarantunenne Erick Lozano per TKO lo scorso luglio a Philadelphia, ha ottenuto la possibilità di fare la storia e di fare un altro grande match davanti al pubblico della sua Roma.

Nella sua carriera nelle MMA, Sakara non ha visto molte split decision, come quella di ieri sera, anzi, a dire il vero ha dovuto ascoltare verdetti non unanimi solo una volta, contro Thales Leites in UFC, in un match nel quale era ampiamente sfavorito e che invece è riuscito a portare dalla sua parte. Leites era un esperto di brazilian jiu-jitsu, a seguito della vittoria, Sakara fu insignito della cintura nera da Marcus “Conan” Silveira, boss della American Top Team, che era con lui anche ieri. Forse per la stanchezza sia mentale che fisica, forse perché pensava che avrebbe potuto perdere, o semplicemente perché credeva di aver fatto meno del suo avversario, quando Sakara ha sentito la dicitura “split decision” - ovvero che i giudici non erano d’accordo su chi avesse vinto, ma solo due su tre - ha iniziato a scuotere la testa.

Eppure il match è stato perfettamente equilibrato e in certi momenti Sakara ha avuto dalla sua in maniera decisa l’inerzia del match, specie nella parte finale dell’incontro. I round di bare knuckle durano due minuti, non cinque come nelle MMA, ed è comprensibile: tutto ciò che si vede sono pugni tra il bersaglio grosso, il corpo, e quello piccolo, la testa, con in mezzo delle fasi di clinch più o meno lunghe. È uno sport crudo, esteticamente violento, ma che risparmia non di poco i danni che invece porta la boxe. Non ci sono i guantoni, quindi le nocche sono esposte: nella BKFC in particolare le nocche non si possono nemmeno bendare.

Al contrario delle credenze popolari, il guantone da boxe non serve ovviamente a proteggere il volto, ma proprio le nocche. Oggi, grazie alla divulgazione data da internet è un’ovvietà, ma fino a non molto tempo fa c’era una grossa confusione in merito. Il guantone garantisce la preservazione delle ossa della mano e la sua funzione è quella di prevenire infortuni. Di contro, non ferendo con tagli la testa dell’avversario, il guantone comporta molte più concussion, con danni alla materia cerebrale che si vanno ad accumulare (con conseguenze disastrose nel lungo periodo). Entra in causa anche la procedura del taglio del peso qui: se è stata estrema, i liquidi sono pochi e anche solo con pochi traumi il cervello va in stand-by.

Senza guantoni (o anche coi guantini da MMA, che possono essere equiparati più alla fasciatura che a un guantone da boxe) l’impatto è più netto e spettacolare, più brutale certo, ma si possono verificare diversi scenari: la rottura delle mani, un taglio, un ematoma evidente che faccia fermare il match. Insomma, se esteticamente la bare knuckle è più cruda della boxe, nei danni a medio-lungo termine non ha la stessa incisività.

Sakara ha iniziato il match con una guardia molto chiusa: mani quasi attaccate al volto, buonissimo movimento di busto che ha ricordato che il fighter romano ha un trascorso da pugile professionista (con un record di 8-1), peekaboo applicata da manuale. Camozzi, più spesso fisicamente, meno mobile forse inizialmente e forte di una grande capacità da incassatore, ha iniziato a intercettare i movimenti di Sakara stringendo le braccia e accogliendolo in clinch coi montanti, non curandosi inizialmente quindi di sfruttare il proprio vantaggio nell’allungo e scegliendo l’interno. Combattendo il fuoco con il fuoco.

Per quello che si è visto, la strategia di Camozzi pareva essere quella di schivare il primo colpo, girare lateralmente e poi legare e colpire forte con pugni corti dal clinch, con un in&out che gli permetteva di andare incontro ai colpi larghi di Sakara, legando prima ancora di subire. Dal canto suo, Sakara, è parso accettare questo tipo di combattimento, soprattutto nei round centrali, quando alle brevi combinazioni ha preferito accorciare e legare. Dal clinch però è stato Camozzi a mettere i colpi migliori. Anche il jab dello statunitense ha avuto successo: la parte sinistra del volto di Sakara, quella del braccio avanzato, è stata percossa in maniera decisa, costringendolo a riaccorciare e riprendere a scambiare per non far gestire il vantaggio nell’allungo a Camozzi.

Ecco, qui una scelta stilistica che alla fine ha pagato: nelle ultime riprese si è visto Sakara accorciare spesso per finire nel clinch di Camozzi ed esprimere dalla distanza più breve tutta la propria potenza, senza concedere al suo avversario troppo spazio di movimento e una gestione pulita dall’esterno. Se, quindi, inizialmente è stato Camozzi ha ricercare in maniera quasi forsennata il clinch, perpetrando questa strategia nelle riprese centrali, in quelle finali, quarta e quinta, è stato Sakara invece ad imporre le proprie qualità attraverso la legata, a prendere meglio le misure, a colpire sia dall’interno che dall’esterno.

Sakara in qualche occasione, quando ha avuto lo spazio in linea retta disponibile, ha anticipato Camozzi con combinazioni di diretto-gancio che hanno quasi sempre trovato il bersaglio. Dal clinch, poi, quando è riuscito a liberare il braccio destro (Camozzi ha fatto un buon lavoro per intrappolare con gli underhook, ma soprattutto con gli overhook, le braccia di Sakara), il suo montante è arrivato più volte alla mandibola e ala bocca dello statunitense. Anche per questo, sicuramente, alla fine Sakara era gonfio ma integro, mentre a Camozzi mancava mezza arcata dentale superiore.

Bisogna capire che le energie spese in clinch sono molte e che la pressione espressa dai fighter in questa fase richiede molte energie fisiche, fiaccando spesso prima della fine i combattenti. Il match, poi, esteticamente può risultare più sporco e con movimenti di in&out continui e non coordinati si tende a “sporcarlo” esteticamente. Ma l’impegno, l’usura, il sacrificio fisico che si applica nel contrastare e dominare il clinch sono tutti fatti tecnico-fisici dai quali la boxe a mani nude non può prescindere e che, se lo chiedete a me, quando fatti in maniera cadenzata e non continua, abbelliscono il match. In questo caso, forse, il clinch è stato prolungato da ambo le parti (forse più da parte di Camozzi, a dire il vero), ma si sono visti bei colpi e Miragliotta ha avuto una gestione sbilanciata (non a favore di uno o dell’altro atleta, quanto proprio nella gestione della durata delle sessioni singole di clinch), separando a volte rapidamente, a volte permettendo invece il prolungamento.

In uscita da un clinch, Sakara ha addirittura colpito Camozzi, scusandosi subito dopo, appena l’arbitro li aveva separati. Questo, se non si vuole vedere necessariamente malizia nel gesto, capita proprio a causa di una gestione imprecisa da parte dell’arbitro che, in questo caso, capita che sia anche uno dei migliori arbitri di MMA al mondo. Ma questa era solo una digressione per discutere di un dettaglio gestionale della gara sul quale ognuno - non essendoci una regola ben precisa - può dire la sua.

Camozzi ha alternato la sua guardia aperta a una sorta di cross arm defense, che però lo rendeva spesso vulnerabile ai cambi di livello. Sakara ha accettato spesso di incassare i primi colpi pur di arrivare a bersaglio con colpi potenti e precisi. Non sempre c’è riuscito: quando si incassano colpi d’incontro, lucidità e coordinazione vengono a mancare, ma la sua rinnovata capacità da incassatore lo ha riportato sempre più di frequente ad uscire col colpo in più dalle fasi di legata e dalle combinazioni dalla cortissima distanza. Spesso, dopo aver schivato i ganci sinistri di Camozzi, è rientrato a sua volta con degli stiff jab, non con dei veri e propri diretti mancini, fatto dovuto probabilmente a ritrovare compostezza più rapidamente. Quando la tattica di Camozzi di entrare in collar tie, sia per colpire che per uscire dalle corde, si è fatta evidente, Sakara ha cominciato a colpire con montanti dritti, quasi all’americana, rapidi e fastidiosi.

L’ultimo round è stato un inno alla sua carriera ed è stato questo probabilmente a convincere due dei giudici a far pendere la vittoria dal suo lato. Arrembante e gladiatorio, ha iniziato a combattere in perenne avanzamento, tra clinch e colpi singoli, dando tutto ciò che gli era rimasto. A 45 secondi dalla fine ha guardato il cronometro e si è quasi sorpreso, come a dire che credeva mancasse più tempo. Da lì, ha ulteriormente accelerato, dando fondo alle ultime energie.

E quindi, torniamo al principio. Sakara durante il verdetto pare sconsolato. Quando l’annunciatore urla il suo nome si scioglie in un pianto commosso. Alla fine di un match molto equilibrato si è visto consegnare un’altra cintura da aggiungere agli allori di una bella carriera. Il suo primo pensiero è stato quello di stimolare i giovani in un modo forse un po’ antico e popolare: «Sognate! Andate in palestra e mollate le console», ma consono e in linea col suo personaggio. Ha poi ringraziato tutti, dicendo di aver vinto perché ha sentito la spinta al pubblico.

Quel che è successo dopo ha ancor più dell’incredibile. Che sia stato per promuovere il proprio prodotto, che sia stato perché in parte ci credeva davvero o che sia stato per una forma di intesa ed empatia, al di là delle insite differenze caratteriali che due uomini possono avere - un’intesa che esiste solo tra chi ha condiviso sangue e sudore in uno spazio delimitato da corde o gabbia - Conor McGregor è intervenuto dicendo: «È stata la prestazione più d’ispirazione che abbia mai visto nella mia vita in uno sport da combattimento. A 44 anni quest’uomo è tornato e ha vinto il titolo. Alessio Sakara, un’ispirazione per le masse, complimenti!».

McGregor recentemente ha detto di essere un uomo «guarito e nuovo», riferendosi alle sue ultime disavventure fuori dalla gabbia. E se il diavolo fa le pentole e non i coperchi, è anche vero che il coperchio che ha messo alla fine l’irlandese ha impreziosito una delle notti più indimenticabili della vita sportiva di Alessio Sakara, incisa nella storia con la vittoria di un titolo. E mostra anche il rispetto di un campione dello showbusiness come McGregor per la filosofia “antica” di Sakara, e questo, forse, nemmeno lui se lo sarebbe aspettato.

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