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Articolo
Storia di un infortunio
31 ott 2025
Alessandro Gazzi racconta il suo ultimo infortunio in carriera.
(articolo)
19 min
(copertina)
IMAGO / Camera 4
(copertina) IMAGO / Camera 4
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Sctrct. La sensazione. Sctrct. Il mutismo del ginocchio che ruota oltre i limiti articolari. Sctrct. Il legamento lacerato e la caduta a terra. Sctrct. Tu che rimani immobile sul terreno di gioco. Non sei triste e non sei felice, non ti passa niente nella testa. Senti solo il dolore focalizzato e la voglia di rimanere lì ad aspettare che l’arbitro interrompa il gioco. Sei accasciato, con gli occhi chiusi. A quel punto, Simo e il Doc correranno dalla panchina per valutare le condizioni del tuo ginocchio. Ne seguirà un breve dialogo.

Ale!

Il ginocchio…

Che è successo?

Mi si è girato.

Fammi vedere, piano.

Doc, provo a rialzarmi.

Poi ti prenderai tutto il tempo necessario, ti farai aiutare da Simo per uscire dal campo. Sai che nel tuo corpo non tira una bella aria. Sei consapevole che il suono anomalo che hai sentito, Sctrct, è una richiesta doverosa. Ma giustamente per togliere qualsiasi dubbio…

Cambia Doc

Non servono le parole. Bastano due braccia alzate, mani e indici che frullano. Al ventottesimo minuto di gioco: entra il numero 24 Suljic ed esce il numero 14 Gazzi. Fai fatica a camminare, quando appoggi la gamba senti dolore. Non sono bei segnali. La sensazione che percepisci è meno focalizzata, ti sembra quasi di… ma il tuo corpo è ancora caldo. Mi ci vorrà del tempo. Escludi che sia il crociato anche perché il dolore è situato nella zona mediale del ginocchio sinistro. Pensi che qualcosa si è rotto, sicuro. Cammini verso la panchina, ti limiti a dire due parole al Greg(ucci), il ginocchio… e scendi nel tunnel.

A giugno smetto se tutto va bene.

Entri nella stanza della fisioterapia e il Doc ti fa sdraiare sul lettino.

Stai rilassato, non ti faccio male.

Il test del Cassetto valuta la stabilità del ginocchio. Qualcosa non va.

Crociato?

Lunedì risonanza.

La gioia per il 3 a 2 finale contro il Livorno è notevolmente trattenuta. O meglio, nemmeno ti sfiora. Perché la vittoria è una misera consolazione degli sforzi che hai profuso fino al ventottesimo minuto di gioco quando ancora stavate perdendo. È vero, stavi svolgendo il tuo compito discretamente ma sentivi una stanchezza dovuta ad una nottata poco riposante. Si accavallano sensazioni stranianti, i volti felici dei tuoi compagni acuiscono il divario emotivo tra te e il resto della squadra. Senti una sorta di vuoto e di indifferenza. Perché sai che questo infortunio non sarà una cosa di pochi giorni: il tutore calibrato a 30 gradi e le stampelle che stai utilizzando sono il primo passo di una riabilitazione non ancora definita nei tempi ma che potrebbe estendersi per diversi mesi. Sei abbastanza tranquillo sul fatto che non sia un crociato: di compagni stesi a terra e in lacrime per quel legamento ne hai visti parecchi, fin troppi. Il tuo dolore non dovrebbe essere lo stesso che hanno percepito loro. Intanto attorno a te ci saranno le reazioni esterne, chi è dispiaciuto e chi cinicamente dirà che il vecchio ha già smesso da qualche anno. Chi vede un concorrente in meno per la maglia da titolare e chi sarà realmente dispiaciuto. Poco importa. Sei consapevole che il tuo tempo sta per finire ma chiuderlo così, con un infortunio, lascerebbe gli obiettivi stagionali rappresi sulle corde di un collaterale.

IMAGO / Magic

Il battito ritmico, industriale. Saturo di rumore. Lo senti penetrare nelle cuffie. Forte, nel suo incedere meccanico. Ci hai fatto l’abitudine con tutte le risonanze magnetiche che hai svolto: ai retti femorali, agli adduttori e ai polpacci, alla spalla, ai semitendinosi e semimembranosi. Gracili. Caviglie. Te ne stai lì fermo immobile una mezz’oretta ragionando, tra preoccupazioni, nervosismi e speranze, ascoltando quella sorta di musica industriale che ricorda i Pan Sonic e i Fuck Buttons. Ammettilo, per quanto robotico possa sembrare il sound dell’esame che stai svolgendo, ad oggi, rappresenta perfettamente il sordo mormorio della tua decadenza calcistica. Quando al termine della valutazione incontri il Dottor Falletti che già aveva indagato in passato l’entità delle distorsioni delle tue caviglie, scorgi in lui un sorriso trattenuto. È il sorriso del professionista empatico che deve dare una brutta notizia e spera che il paziente non si deprima troppo.

Allora dottore?

Mi dispiace Alessandro. Lesione di secondo grado del collaterale mediale.

I tempi?

Due mesi e mezzo.

Sei felice. Vedi un obiettivo raggiungibile in un tempo che ti consente, se tutto va come deve andare, di chiudere la tua carriera con dignità. Non alzi le stampelle al cielo, quello no. Ti accontenti di quello che la vita professionale a quasi trentotto anni ti può offrire. Ok, c’è sempre di peggio nella vita reale. Accetti i sostegni metallici e il tutore, il ghiaccio, gli antinfiammatori orali e le trasferte viste in tv. Sei sempre una persona fortunata. Avevi rimesso il tuo culo in campo dopo le prime giornate trascorse in panchina. Ti sei infortunato. Non succederà più. Ora ti rimetterai in sesto, guarirai, farai tutto ciò che DEVI fare per rimetterti almeno nelle condizioni di poter essere di aiuto per i tuoi compagni.

Vibrano le chat di WhatsApp. Come va? Come stai? Risonanza? I primi giorni sono sempre così: ginocchio gonfio dovuto al versamento intrarticolare, notti parzialmente tribolate e messaggi dai colleghi, dallo staff medico e da quello tecnico. Da mamma e papà. Da tua sorella e da Fulvio, il tuo agente. Deborah si prende cura di te con tanta di quella amorevolezza che ti senti sempre in debito (e con lei, al di là degli infortuni, ti sentirai sempre, in debito). Camilla Nicole e Emily invece ti prendono simpaticamente in giro. Papà ha le stampelle ah ah ah… E te ne stai seduto sul divano a guardarti Her di Spike Jonze o studiando il protocollo riabilitativo per un collaterale mediale contenuto in un mappazzone di cinquecento pagine. Fai ghiaccio. Pazienti. Quando ti fai rivedere al centro sportivo per salutare i tuoi compagni, il Mister e lo Staff e per sentire che aria tira, da lungodegente quale sei ti accolgono quasi sicuramente sguardi empatici. E credi di capire come i tuoi colleghi di lavoro intendano il tuo stop forzato. Tendenzialmente due mesi e mezzo di distanza dai campi di gioco è considerato un lasso di tempo molto lungo per un calciatore che potrebbe vedere ridotte le prospettive a breve termine. Il benvenuto è incorniciato da qualche sopracciglio corrucciato e da qualche sorriso. Contraccambi, facendo vedere che esperienza per sopportare infortuni di questo tipo ne hai tanta da vendere. Ti insedi nel reparto di fisioterapia per programmare con medici e fisioterapisti i primi giorni di riabilitazione: ti affidi con totale fiducia alle loro mani e alle loro competenze. Mentre ai compagni rispondi quasi sempre con le stesse frasi…

Collaterale mediale

80 giorni circa

Un po'

Lo devo tenere almeno una settimana

Olio

La vicinanza emotiva iniziale è effimera. È vero che fa piacere quando qualcuno ti rivolge attenzioni soprattutto dopo un infortunio. Ma il problema si pone nel momento in cui non vivi più la quotidianità tra le quattro mura dello spogliatoio: gli orari di lavoro di chi deve recuperare sono estranei alla routine della squadra. Le cure mediche necessarie vengono svolte o prima o dopo l’orario prestabilito dell’allenamento e non sempre nella sede operativa ma in un centro fisioterapico d’appoggio in città o altrove. Con la conseguenza diretta che perdi una bella fetta della storia che il gruppo va scrivendo tra le quattro mura, giorno dopo giorno, a forza di conversazioni, opinioni e cazzate varie. L’unico modo per mantenerti aggiornato su ciò che avviene dentro è scambiando due chiacchiere con i compagni più vicini o mandando loro qualche messaggio. Nel breve periodo questo meccanismo funziona.

Allora come va?

Bene! Oggi Ciccio ha fatto i numeri…

È sul lungo periodo che la storia che scrive la squadra diventa implicita e quando ti siedi al tuo posto in spogliatoio per farti anche solamente vedere ti senti quasi un estraneo. Quindi, per non dimenticare le fasi dell’ultimo infortunio della tua ultima stagione da professionista decidi di scrivere la progressione giornaliera della riabilitazione fino al giorno in cui correrai. Scriverai delle sensazioni che provi e delle emozioni che vivi, di ciò che contraddistinguerà l’evoluzione riparativa di questo piccolo legamento del ginocchio.

Giorno 1, dolore. Giorno 2, dolore. Giorno 3, blocco. Giorno 4, blocco. Giorno 5, nuvole. DEBORAH CAMILLA NICOLE EMILY. Laser, ultrasuoni, ghiaccio. Stop.

Alla vigilia di Alessandria-Piacenza incontri il Presidente venuto a salutare la squadra prima dell’allenamento. Gli sorridi. Ti chiede come stai. Sorride anche lui. Scambi due parole di circostanza, d’altra parte, anche se stai giocando con i Grigi da quattro anni, gli argomenti di conversazione si sono sempre limitati ad un check rapido sull’umore. Umore che al quinto giorno è stazionario, hai elaborato il lutto e stai vivendo la riparazione fisiologica del legamento come da copione riabilitativo: stampelle, tutore, riposo. La tempesta di messaggi dei primi due giorni svanisce gradualmente e lo stesso vale per il gonfiore al ginocchio. Il Giorno 6 noti che l’articolazione sembra essersi un pò asciugata.

Let me keep some hope, let me keep some hope, let me keep some hope, let me

Feel that i'm alive, feel that i'm alive, feel that i'm alive, feel that.

I progressi sono minimi, ma percettibili: quella sorta di immobile pastosità che ha contraddistinto i primi due giorni viene meno e la sensazione fisica del dolore evolve in un’immagine che descrivi come un filo di ferro attorno al ginocchio. La partita contro il Piacenza finisce con un 2 a 0 che lascia gli animi pervasi da un ottimismo soltanto apparente. È Arrighini a segnare una doppietta in una partita giocata discretamente.

Guardi il match dalle comode poltroncine della pitch-view del Moccagatta. Sei quasi uno spettatore qualunque. È in questo momento che realizzi coscientemente (anche se lo hai già sperimentato in più occasioni) cosa inizia a significare il tuo infortunio: niente adrenalina, niente riunioni tecniche prepartita, niente. Entri nello spogliatoio per stare dentro e invece ti senti fuori dal cuore pulsante del corpo squadra. Sei un misero capillare periferico. Te ne vai a rilento sulle stampelle, percorri il marciapiede e pensi alla prestazione della squadra e a come si sono mossi i ragazzi. Alle scelte del Mister. Al buonumore che sembra aleggiare in spogliatoio. Ed infine al tuo ginocchio. Arrivi a casa e sei giù di morale. Passerà.

IMAGO / Ferdi Hartung

C’è voglia, molta voglia. Il quadricipite all’ottavo giorno insiste. Vuole spingere, vuole forzare, è desideroso di farti appoggiare il piede sul pavimento. Vuole che il tuo corpo, anche solo per qualche secondo, si inclini sull’arto sinistro. E non solo: preso da un elettrico entusiasmo vorrebbe che ti piegassi di qualche grado. Una cosa è certa. Il Doc ti ha detto che puoi togliere le stampelle quando sei in casa. Questo legamento collaterale in via di rigenerazione autonoma è un tripudio di scoperte. In due giorni il filo di ferro che sentivi nell’articolazione si è trasformato in un prurito desideroso di essere grattato, ergo muoversi. L’umore dal canto suo è migliorato: saranno i Pearl Jam, sarà che tutto sommato puoi portare le tue figlie a scuola e alle loro attività pomeridiane, fatto sta che la mobilizzazione graduale e l’elettrostimolazione che svolgi con Jacopo aumentano il bisogno di libertà angolare. Secondo i piani al rientro in campo mancano poco meno di due mesi. Nei sogni invece il rientro è già avvenuto: stai giocando un posticipo serale al Meazza e te la vedi con Marcelo Brozovic. La palla è lì, a pochi metri, tra te e lui. Entri in contrasto. Ahi!!! Uno scatto sotto le coperte ti sveglia nel cuore della notte. Dolore. La buona notizia è che non hai più un la voglia di usare le stampelle e quando ti presenti al campo, mentre guardi gli allenamenti, sei più presente. Non che si noti poi molto la differenza nel modo di camminare rispetto a qualche giorno fa: i miglioramenti che reputi alla stregua di una vittoria da sei punti non vengono proprio notati da colleghi e addetti ai lavori.

Perché, non vedi come sto bene adesso?

Davvero?

Oggi raggiungi la doppia cifra, sei al decimo giorno dal trauma e carico come una molla. La mobilizzazione sempre più ampia ti porta a piegare il ginocchio di 90°. Oltre quell’angolo retto, il blocco legamentoso ti impedisce di andare oltre. Percepisci libertà, ancora di più. E con te porti sempre le stampelle. Auguri Nicole, oggi è il tuo compleanno! La valutazione individuale dei progressi cambia nelle modalità. Ora le scale del condominio diventano il golden standard dei test specifici che applichi su te stesso: qualche scalino, un crepitio osseo, lo scrocchio, e il ginocchio è scevro da vincoli non più necessari. Cammini quasi decentemente dopo essere andato a sorbirti la tua giornaliera batteria di laser ed ultrasuoni. Il Doc ti comunica che le stampelle non servono più e che puoi proseguire con il tuo lavoro di mobilizzazione che include anche l’elettrostimolazione ed esercizi di forza a carico naturale. In sostanza, cammini meglio e le cose stanno andando come devono andare. Il ginocchio tende ancora a tentennare alla minima variazione propriocettiva ma ciò non toglie che in questa fase, quando incontri i condomini sulle scale del corridoio, puoi sbilanciarti con tranquillità nel dire che sei in grado di salire la rampa senza la necessità di nessun aiuto. È una giornata di sole e vento come quella che accompagna certi sabato mattina quando non vedi l’ora di fare la rifinitura: canticchi Misunderstood dei Wilco, l’umore ritorna a galla e quando vedi Giorgio, il prof con cui lavorerai durante la fase di riatletizzazione, gli dici:

Abbiamo dato una bella sterzata (all’infortunio).

Lui sorride di gusto, d’altronde siamo al tredicesimo giorno dal trauma. Di tempo per divertirsi davanti a noi ce n’è eccome! È proprio quando le giornate sono belle sia dentro sia fuori che la domenica di riposo annuvola la situazione. La sconfitta di Renate è l’incidente di un percorso che stenta ad essere brillante e che spesso e volentieri è avvolto da giudizi eccessivamente carichi di aspettative. E quando le cose non girano diventi lo sfogatoio che tenta di riciclare commenti e giudizi negativi in discorsi produttivi: non che arrivi tutta la squadra, ma diversi compagni vengono da te. La brutta sconfitta a Renate è connotata da critiche e scusanti. Il campo pessimo, la provinciale rumorosa dietro il campo, gli spogliatoi un po' piccoli. Ogni pretesto è buono per ricamarci un’argomentazione che giustifichi gli zero punti. Parli con un tuo compagno preoccupato per il rinnovo che tarda ad arrivare. È così che una sconfitta riscopre l’elettricità negativa isolata dalle vittorie. Il DS aveva promesso un rinnovo che ancora non si vede. Smorzi a modo tuo.

Concentrati sul campo, altrimenti puoi solo perderci.

Ti assesti su un mindset nel quale assorbi le criticità negative. E il soul-step di James Blake è il contraltaresonoro ideale.

Scavalli le due settimane e sei in continua ascesa verso la guarigione. Al sedicesimo giorno godi come un bambino che fa il suo primo incontro con un pallone. No, non quello vero. È la “pressa” svolta in modalità isometrica, il pallone con il quale giochi per una decina di minuti. Fletti, stai, estendi. Jacopo detta i tempi, tu li mantieni. Sentire il quadricipite che ritorna a contrarsi per un tempo prolungato è un ebrezza che apprezzi nonostante l’articolazione sia ancora instabile e traballante. La danza scomposta di patella, femore, tibia e perone non ancora fluidi nel loro movimento, è un diseducato samba che va addomesticato. Un obiettivo che in qualche seduta riuscirai a raggiungere senza l’assillo delle pagelle alla Ivan Zazzaroni. Il test delle scale aggiunge ancor più convinzione in ciò che stai facendo. La camminata sembra quasi normale: il tutore cigola e si blocca perché giunto all’escursione massima graduata. Stai andando veloce. Quei 90° in flessione e 20° in estensione sono un limite imposto che puoi superare. Non accadrà che prenderai coraggio, inizierai a correre e distruggerai lo strumento come Forrest Gump quando sente che può spingersi al di là. Niente Corri Forrest, corri! Solo un memorabile.

Ci vediamo domani Ale. Le cose procedono molto bene!

Se salire le scale è diventato un modo per far vedere ai condomini che i calciatori nel giro di due giorni sono in piedi, rimanendo senza tutore hai la possibilità di apprezzare tutta l’instabilità del tuo ginocchio sinistro. Gli esercizi di forza diventano un piacevole passatempo. Il corpo è sorpreso da questa vivacità sottocutanea e ti comunica che quel meraviglioso complesso muscolare composto da retto, vasto mediale, vasto laterale e vasto intermedio sta funzionando in modo quasi armonico. Il quadricipite sta tornando ad esserci.

IMAGO / Sven Simon

Il dottor Musiari oltre ad essere il responsabile sanitario dell’Alessandria Calcio è un abile ipnotizzatore. Lo sai, sei curioso e svolgi qualche seduta con lui. Trovi molto interessante il lavoro. Raggiungi uno stato di rilassamento pari a 3 su una scala decimale: manna che scende dal cielo, la quiete prima della tempesta. Ti sorbisci due sfoghi. Uno del direttore sportivo e l’altro del Mister. Il direttore non è granché contento di come sta giocando la squadra e dell’andamento altalenante che sta dimostrando nelle ultime partite. Tu pensi che è abbastanza ovvio…

se l’allenatore non lo hai scelto te e sei costretto a lavorarci.

Il secondo invece ti elenca i trigger point del gruppo, quegli snodi tattici ed emotivi che vanno punzecchiati per rilassare tutta la squadra. Il Greg è molto aperto al confronto e, alla vigilia del derby piemontese contro la Pro Vercelli, a conclusione della rifinitura, ti chiama nel suo ufficio motivandoti l’undici iniziale e spiegando il senso delle sue scelte. Poi, apre il suo libro dei ricordi con Diego Armando Maradona. È un piacere ascoltarlo: ti parla dei primi anni Novanta, di quando giocava. Di quando il campionato era il migliore del mondo e di quando il Pallone d’oro ancora non andava ai sudamericani. Ti parla di quando le società potevano tesserare solo 3 stranieri e in Italia c’era l’élite dei calciatori e dei dirigenti. Delle sette sorelle, di Zico e di Diego. Di Marco Van Basten, il tuo idolo quando eri bambino. Marco. Van. Basten.

Vincete il derby per 1 a 0, il campo ti manca ma sei diventato paziente e attendi. Hai modo di valutare a fondo il lavoro della tua di squadra: i muscoli che compongono le tue catene cinetiche. Polpaccio e quadricipite lavorano ancora scollegati, sembrano due pugili che fanno a cazzotti. Cammini abbastanza bene ma quando pieghi la gamba hai ancora un certo fastidio. Aumenti la forza nel quadricipite, svolgi le solite cure ed entri nella routine della macchina isocinetica. Quando ti svegli il giorno seguente il livello percussivo dei dolori condropatici raggiunge le apoteosi ritmiche della batteria di Danny Carey. E il fastidio al piatto tibiale se non assomiglia all’assolo di chitarra sferragliato da Adam Jones in Lateralus al minuto 6.40 poco ci manca. Flirti con la cyclette. Alle 17.30 dopo diversi minuti sui pedali al fianco di una pensionata con fastidi all’anca, lo scrocchio. La camminata diventa decente, la pastosità del versamento è ancora latente. Saluti i presenti del centro fisioterapico, qualche impiegato alle prese con cervicali degne di nota. È così che impari a conoscere il via vai di uno studio di fisioterapia, il tuo ambiente di lavoro temporaneo dove anche un’anziana signora alle prese con artriti reumatoidi diventa esempio da seguire. Il lento incedere del tempo genera una suite minimale ritmata da battiti matematici in continuo crescendo. Nella tua immaginazione senza nessun pallone tra i piedi, scandisci come un metronomo il ritmo della partita con il legamento.

22° giorno. Pressa. Step. Cyclette. Cammino più forte. Quasi decentemente normale. Peso impastato sotto la patella. Cavo popliteo. Scrocchio mattutino, legna che arde.

23° giorno. Cammino decentemente. Del tutore posso farne a meno. Step. Elettro. Terapia. Isocinetica. Pressa. Sensazione tattile all’infiammazione di zenith. Ancora non mi sento di poter correre.

Viaggi nell’ascolto delle sonorità interne: il lamento delle cartilagini come sirene danzanti sugli scogli dell’artrosi, le grida lontanissime dei tendini aggrappati alle loro inserzioni ossee. Il collaterale ancora sbilenco che suona melodie alcoliche dopo una notte di bagordi. I glitch intermittenti dei nervi come flebili segnali di una scarica elettrica pronta a risvegliare muscoli letargici. Ed infine il monologo linguistico che hai in testa e che decanta i profumi di un vino maturo.

Il Doc con la siringa in mano. Il colore giallognolo del liquido. La breve attesa sdraiato sul lettino. Al ventiquattresimo giorno ti tocca l’infiltrazione di PRP. Plasma ricco di piastrine. Hai sempre un po' di timore quando si tratta di siringhe che violano la pelle ma ti mordi l’indice della mano e osservi le operazioni senza dire una parola, sdraiato, in silenzio. Hai fiducia immensa nel Doc e sai che non ti farà percepire nessun dolore. In questi casi il ricordo va sempre lì. Paul Atreides costretto dalla sorella Bene Gesserit a posizionare la mano nella scatola. È lì che il monologo interiore del Kwisatz Haderach prende forma, è qui che il suo monologo nelle prime frasi diventa il tuo.

Non devo avere paura. La paura uccide la mente, la paura è la piccola morte che porta che sé l’annullamento totale.

Poi ritorni alla realtà e pensi che dopotutto quelle parole sono solo residui mnemonici di una mente post adolescenziale. Il Doc avvicina l’ago sulla pelle. Guardi la punta sterilizzata bucare l’epidermide ed entrare per qualche millimetro. Senti la siringa entrare nel tuo corpo, il Doc preme, spingendo il liquido all’interno dell’articolazione. Un fresco sentore ha già fatto allentare la presa dei denti. Il tuo indice respira. Attendi. Il Doc ha quasi concluso l’operazione e tu non hai sentito: nessun dolore. Anche una semplice operazione di routine ospedaliera diventa evento.

Il ginocchio è stabile Ale. Molto bene. A quasi 38 anni stai andando alla grande.

L’infiltrazione ti aiuta fin da subito nell’alleggerire la sensazione di pastosità. Poi riparte la cantilena che ripeti come le tavole di una bibbia che ti indica la strada da seguire.

Lavoro isocinetico flesso estensione + pressa e step propriocettiva. Fastidio dietro il cavo popliteo ancora persistente. Camminata quasi normale.

E poi, un altro salto quantico. Lo scrivi sul tuo diario.

Sento ginocchio molto stabile.

Sta per arrivare, il momento in cui tornerai a correre. Il corpo te lo sta dicendo forte e chiaro. Forte. E. Chiaro. Roboante è l’incedere del desiderio di correre, anzi corricchiare, mi basta anche quello. Non importa se la notte senti ancora qualche fastidio: quello è solo il legamento che ti sta dicendo Ale, devo solo prendere le misure per i prossimi giorni. E non importa nemmeno se senti quella traballante sensazione di incertezza sulla stabilità del tuo ginocchio. Il test massimale alla pressa isocinetica denota chiaramente la differenza di forza tra una gamba e l’altra. Ed è normale che sia così. Ma non è ancora nulla, rispetto al lavoro che ancora dovrai svolgere. Il tuo recupero è appena alle sue fasi iniziali e prima di poter entrare in campo dovrai ancora sudare. Apprezzerai il minimo miglioramento che percepirai. Forse subirai dei rallentamenti, farai dei passi indietro rispetto alle tue aspettative. Non importa. Rimarrai in dialogo costante con il tuo corpo, ascolterai ogni segnale che invierà. Corricchierai, correrai e scatterai. Toccherai il pallone, palleggerai e lancerai. Ritornerai alle normali funzionalità di cui hai bisogno per svolgere il tuo lavoro. Certo, dovrai fare molta attenzione una volta rientrato. Avrai davanti a te ancora qualche mese di calcio giocato. Godrai di quel che viene, anche se la condizione l’avrai persa e sarà dura trovare qualche minuto per giocare. Però intanto concentrati su quelli che sono i tuoi obiettivi del presente. Giorno 31.

Corsetta. 10 allunghi sui 100 metri.

Di nuovo in vita.

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