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Cosa ci dice la vittoria di Alaphilippe alla Milano-Sanremo
25 mar 2019
Il ciclista francese ha vinto suggellando l'evoluzione delle strategie di squadra.
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Con Julian Alaphilippe, è il terzo anno di fila che il vincitore della Milano-Sanremo, arrivata alla sua centodecima edizione, è uscito da un attacco sul Poggio. È difficile pensare sia solo una coincidenza anche se non è del tutto chiaro quale sia il il motivo. Forse è semplicemente il fatto che viviamo in un’epoca in cui gli attaccanti sono più forti dei velocisti e sicuramente anche la riduzione del numero di ciclisti per squadra, da otto a sette, ha senz’altro dato il suo contributo rendendo più difficile controllare le corse, soprattutto una corsa di quasi 300 chilometri come la Milano-Sanremo, con un finale così nervoso e imprevedibile. Ma forse c'è qualcos'altro perché vedere arrancare in coda al gruppo Elia Viviani, probabilmente il numero uno delle volate in questo momento, mentre davanti i suoi compagni sgretolavano le difese avversarie fa pensare che non sia solo una questione di numeri.

Cosa ci dice la Milano-Sanremo

Julian Alaphilippe, 27 anni da compiere a giugno, non ha aspettato la volata di gruppo ma ha vinto dopo aver portato via un gruppetto di una decina di corridori e poi, in via Roma, regolandoli tutti in volata. Ci sono un po’ di cose sorprendenti in questo racconto apparentemente lineare: intanto è curioso che un uomo capace di vincere in cima al Muro di Huy sia anche capace di battere in volata Peter Sagan; è poi sorprendente come da tre anni a questa parte nessun velocista vero sia riuscito a resistere agli attacchi sul Poggio. Secondo le rilevazioni in diretta, il gruppone è transitato in cima al Poggio a circa 20 secondi dal gruppetto di Alaphilippe e Sagan, e ha poi continuato a perdere terreno nella successiva discesa e in pianura. In quel gruppetto, regolato allo sprint da Alexander Kristoff, c’erano i nomi di quasi tutti i grandi favoriti della vigilia in caso di arrivo in volata: Gaviria, Bennett, Ewan, Demare. Non c’era Viviani, attardato di un ulteriore minuto, e non c’era neanche Groenewegen, che già sulla Cipressa aveva dato segni di cedimento.

L’anno scorso Nibali scollinò dal Poggio con undici secondi di vantaggio sul gruppo e arrivò al traguardo con poche decine di metri, quanto bastava per godersi quel momento e alzare le braccia al cielo. Quest’anno il gruppetto degli attaccanti non solo non ha perso terreno rispetto al gruppo ma ha addirittura incrementato il suo vantaggio. Segno che dietro le forze non c’erano, e sarebbe anche strano il contrario dopo più di sei ore e mezzo di corsa. Ma non c’erano neanche gregari da spremere, compagni a cui appoggiarsi per provare a ricucire. Gli stessi velocisti erano stremati, spremuti fino all’osso. Come vecchie bucce d’arancia rinsecchite al sole, non sono riusciti neanche a organizzare un abbozzo di inseguimento. E questo, va detto, è merito della squadra che sta dominando le Classiche di inizio di stagione: la Deceuninck-Quick Step che finora ha vinto tutte le più importanti corse di un giorno. All’imbocco del Poggio, Stybar si è piazzato in testa al gruppo a fare l’andatura, poi è stato Philippe Gilbert a dare la frustata decisiva per abbattere le ultime resistenze dei velocisti prima dell’attacco di Alaphilippe.

Foto di Marco Bertorello / Getty Images

Mentre Gilbert e Stybar spremevano il gruppo, dietro a farne le spese c’era il loro velocista, Elia Viviani, che arrancava nelle ultime posizioni. In un altro contesto storico e in un’altra squadra, davanti avrebbero rallentato, imponendo un ritmo più regolare e rilassato, un giusto mezzo per non tirare il collo al velocista senza lasciar troppo spazio agli attaccanti. Oggi, però, dopo due edizioni che hanno visto prevalere gli attaccanti, probabilmente alla Deceuninck hanno fatto altri calcoli rispetto al passato. E avendo in squadra sia il miglior velocista che il miglior attaccante, hanno deciso di puntare tutto su quest’ultimo.

Gilbert e Stybar hanno imposto un’andatura folle sul Poggio: il gruppo ha percorso la breve salita in 5’50”, il miglior tempo degli ultimi vent’anni, a pochi secondi dai 5’46” di Jalabert e Fondriest del 1995. Ma anche la media generale è stata incredibilmente alta: l’anno scorso la gara di Nibali durò più di sette ore, a una media di 40,208 km/h; quest’anno, Julian Alaphilippe ha vinto in sei ore e quaranta minuti con una media di 43,62 km/h. Con un’andatura così forsennata per tutto il percorso, anche il tratto fra la Cipressa e il Poggio è andato via senza che i velocisti potessero avere il tempo di respirare e recuperare le ultime energie prima del finale. All’ingresso del Poggio, con gli uomini di Alaphilippe a rilanciare ancora l’andatura, le scorie di quei 280 chilometri abbondanti percorsi tutti d’un fiato, senza respiro, si sono fatte sentire nelle gambe degli atleti. Soprattutto nelle gambe di chi solitamente corre la Sanremo nascondendosi nella pancia del gruppo per risparmiare energie, superare il Poggio e giocarsi tutto allo sprint. Quest’anno non c’è stato spazio per questo tipo di corsa: gli ultimi trenta chilometri sono stati percorsi sempre a tutta, sempre con l’acqua alla gola, finché qualcuno, inevitabilmente, è annegato.

Il primo a cedere è stato Dylan Groenewegen, uno dei più attesi per lo sprint di gruppo, ma che già sulla Cipressa ha mostrato le prime crepe per poi crollare definitivamente sul Poggio. Poi è stata la volta di Viviani, che dalle prime rampe del Poggio ha dovuto alzare bandiera bianca. L’abbiamo visto barcollare lungo la salita, mentre tentava di aggrapparsi alle ruote degli avversari che lo passavano uno alla volta con facilità e a ogni fuorigiri accumulava altri metri che piano piano lo allontanavano dalla coda del gruppo.

Ma se Viviani soffriva così intensamente anche gli altri velocisti di certo non se la passavano tanto bene, impegnati a resistere al forcing della Deceuninck-Quick Step. È del tutto naturale, quindi, che nel momento in cui è partito Alaphilippe il gruppo sia esploso e si sia frammentato in più tronconi: davanti gli attaccanti, in mezzo dei ritardatari sparpagliati, più indietro i rimasugli del gruppo dei velocisti.

Davanti però, nonostante l’azione decisa di Alaphilippe, sono rimaste alcune ruote veloci pericolose: Peter Sagan su tutti, che la Sanremo l’ha sempre e solo sfiorata; Matteo Trentin, il campione europeo in carica ed eterna promessa del ciclismo italiano; Michał Kwiatkowski, che nel 2017 in una situazione analoga riuscì a beffare allo sprint proprio Sagan e un giovane Alaphilippe.

Da dove viene Alaphilippe

Quella del 2017 fu la prima esperienza alla Sanremo per il ciclista francese, chiusa al terzo posto dopo essere riuscito a tenere la ruota di uno scatenato Peter Sagan sul Poggio. Quell’anno erano solo in tre davanti a giocarsi la Classicissima e la volata fu un duello fra Kwiatkowski e Sagan con il francese a fare da spettatore non pagante. Quest’anno, invece, Alaphilippe era l’uomo da battere in una situazione di questo tipo. Ed è sorprendente per uno che a inizio carriera veniva visto più come un novello Valverde (un uomo da classiche adatto ai grandi giri) che come l’erede diretto di Paolo Bettini (un uomo da classiche in grado di battere anche i migliori velocisti al mondo in un arrivo di gruppo).

Ci aveva provato, Alaphilippe, a far classifica nelle corse a tappe. Nel 2016 vinse il Giro della California e arrivò sesto al Delfinato; poi nel 2017 dopo un buon Abu Dhabi Tour si presentò alla Parigi-Nizza con l’intenzione di provare a vincerla. Non fu un totale fallimento, perché dopo le prime tappe al comando ebbe un cedimento nella tappa regina chiudendo con un onesto quinto posto nella generale, ma di certo non quello che si aspettava. Un’esperienza importante per la sua crescita e per prendere maggiore consapevolezza dei propri mezzi e del futuro. Contestualmente, nelle classiche, sono arrivate le prime soddisfazioni: il podio alla Sanremo 2017, i duelli con Valverde sulle strade del Nord, soprattutto alla Liegi e alla Freccia Vallone, vinta, dopo anni di sconfitte, nel 2018.

Alaphilippe sembra abbia scelto la sua strada anche se in Francia già parlano di una possibile vittoria al Tour de France. Ma al momento sembra difficile che accada, e non per decisioni di squadra o per motivi di preparazione, ma semplicemente perché, per caratteristiche tecniche, sembra poco adatto alle grandi corse a tappe. Oltre al fatto che, dopo questa vittoria, potrebbe voler puntare ancora di più sulle classiche.

Questa Milano-Sanremo non decreta nemmeno il declino di Sagan, nonostante il risultato direbbe il contrario. Sono gli ultimi metri di gara a dircelo. In fondo alla discesa Trentin ha provato ad andar via da solo, mandando all’aria ogni possibilità di dire la sua in volata (lui che è uno specialista degli arrivi in gruppi così ristretti), ma è stato Van Aert a riportare sotto il gruppetto (incomprensibilmente, essendo lui decisamente sfavorito per un eventuale arrivo allo sprint). A quel punto Matej Mohoric ha provato il contropiede proprio sotto l’arco dell’ultimo chilometro, ma Alaphilippe è stato lesto a chiudere il buco con Sagan a ruota.

In quel momento, Sagan era nella posizione perfetta per lo sprint ma il gruppetto ha rallentato, con i ciclisti che si allargavano su tutta la carreggiata. In quel momento, Alaphilippe è stato bravissimo a far perdere le sue tracce a Sagan e a ricomparire pochi metri dopo alla sua ruota. Il tre volte campione del mondo si è ritrovato in testa, nella peggior posizione possibile, e si è guardato alle spalle continuamente per tenere d’occhio gli avversari. Partire da lì, con Alaphilippe incollato alla ruota, sarebbe stato un suicidio e allora ha aspettato, cercando di spostarsi da quella posizione per prendere la ruota di qualcuno. Si è voltato a destra e si è spostato al centro della strada. È esattamente in questo momento che Sagan ha perso la Sanremo. Valverde ha accennato uno scatto, Sagan ha rallentato per prendere la sua ruota mentre alla sua sinistra, Mohoric è ripartito come una saetta. Alla ruota dello sloveno si è proprio Julian Alaphilippe mentre Sagan è rimasto nel mezzo: alla sua destra Valverde non è partito; alla sua sinistra, non visto, Mohoric ha lanciato la volata. Il ciclista francese ne ha approfittato e si è smarcato. A quel punto Sagan si è accorto di ciò che stava succedendo, ha cercato di prendere la ruota di Alaphilippe ma è stato chiuso prima da Naesen e poi da Kwiatkowski. Rimasto così troppo indietro, è stato costretto a rallentare e poi a rilanciare la sua azione mentre davanti Alaphilippe, saltato secco Mohoric, si è lanciato a tutta velocità verso il traguardo.

A questo punto si dovrebbe parlare della differenza nella preparazione atletica di Alaphilippe rispetto a Sagan. Il primo è partito presto, ha già corso la Vuelta a San Juan, il Giro di Colombia e la Tirreno-Adriatico, ha vinto la Strade Bianche due settimane fa, e ora si prepara a staccare la spina per un po’ prima del trittico Amstel-Freccia-Liegi di fine aprile. Sagan invece ha ritardato la sua preparazione, ha saltato le prime corse del Nord in Belgio per poter prolungare la sua stagione delle classiche fino alle Ardenne, lui che negli ultimi anni si è sempre concentrato sulle classiche del pavé staccando dopo la Parigi-Roubaix.

Ci può stare quindi una diversa condizione, ma non è solo questo. Il punto, in realtà, è che Sagan ha semplicemente sbagliato a impostare la volata finale. Per paura di perdere, di subire l’ennesima beffa, ha aspettato troppo e alla fine si è fatto sorprendere.

Tutto sommato, quindi, Julian Alaphilippe ha vinto con grande merito questa Milano-Sanremo. Forse perché oggi gli attaccanti sono più forti dei velocisti, forse perché con un uomo in meno è più difficile tenere chiusa la corsa. Forse, più probabilmente, stiamo entrando in un’epoca in cui attaccare conviene e attendere fino all’ultimo non è più un’opzione così vantaggiosa. Lo hanno dimostrato Sagan e Kwiatkowski due anni fa, Nibali l’anno scorso, Alaphilippe quest’anno.

E la Deceuninck-Quick Step ha dimostrato che si può fare la corsa dura anche alla Sanremo, basta avere gli uomini giusti e la voglia di farlo. Forse, alla fine, è solo questione di testa.

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