C’è un ricordo dei miei anni calcistici che l’ultima giornata di campionato ha riportato prepotentemente in superficie. Sono stati anni in cui ho fatto molta panchina, ho preso molto freddo, ma ho anche visto e sentito cose dalla privilegiata visuale della panchina.
Secondo me si sottovaluta quanto sia bello (oltre che doloroso, certo) starsene lì, a un metro e mezzo-due dal campo ad ascoltare tutto quello che succede senza però poter fare niente.
Ad ogni modo, il ricordo in questione riguarda un mio compagno di squadra, uno dei più “esperti”, che all’epoca mi sembrava vecchissimo ma che probabilmente aveva meno anni di quanti ne ho io oggi. Lo chiamavamo il "Sindaco" per la sua abitudine a tenere discorsi, durante lo stretching, il riscaldamento, in partita, sempre, discorsi e racconti che con il calcio non avevano niente a che vedere con il calcio.
Una volta mi tenne un dettagliato e vagamente inquietante resoconto di alcune orge, o feste scambiste, a cui aveva partecipato.
Cose così.
Aveva fatto le categorie e si diceva fosse pagato per giocare, o che comunque ci fosse qualche impiccio di qualche dirigente con la sua attività (se non ricordo male un fioraio) per cui aveva comunque un ritorno economico, cosa rara per la squadra in cui giocavo.
Era un centrocampista lento, più lento della maggior parte degli avversari che affrontavamo e se la cavava giocando di prima, al massimo a due tocchi, e ricorrendo spesso all’antica "Arte Del Prendere Fallo".
Quel giorno si trovava sulla fascia proprio davanti alla panchina, piazzato dietro un avversario a cui la difesa aveva lanciato una palla alta. “Spizza roscio”, gli disse, perché quello aveva i capelli rossi, un attimo prima che la palla arrivasse. “Spizza”. E quello ha spizzato davvero. Chissà, magari anche quelli della sua squadra lo chiamavano roscio e questo lo aveva confuso.
Dopo aver stoppato la palla di petto e aver aggiunto un “Bravo roscio”, il Sindaco è ripartito in contropiede, tra le proteste della panchina avversaria che lo aveva sentito.
Ci ho pensato guardando Udinese-Bologna dove lo svizzero Michel Aebischer, prima, e l’olandese Jerdy Schouten poi, hanno dato una prova esemplare di quest’altra forma d’arte antichissima: l’Arte Della Spizzata. Che il Sindaco ha sfruttato per interposta persona - genio - ma che in generale richiede non solo tecnica e sensibilità in una parte del corpo solitamente inutile, da coprire con cappelli o proteggere con caschi ma niente più; ma anche visione di gioco.
La spizzata è la rovesciata dei colpi di testa. O forse è il colpo di tacco dei colpi di testa? In ogni caso andrebbe tenuta in considerazione come le rovesciate e i colpi di tacco veri e propri. E invece non ho visto nessuno condividere le due bellissime spizzate del Bologna contro l’Udinese.
Qui se preferite ci sono gli highlights della performance di Aebischer e Schouten, direttamente dal Museo della Spizzata.
La prima è una spizzata filtrante, che taglia davanti al suo marcatore e mette il compagno - Sansone - in grado di calciare in porta da dentro l’area piccola. Aebischer, che secondo internet non è neanche altissimo, un metro e ottantatré, si inserisce in area di rigore, sfruttando lo spazio creato da Orsolini che si è mosso verso sinistra portandosi via il difensore centrale dell’Udinese.
Lo prende in carica Neuhén Pérez, ma nessun difensore potrebbe immaginare quel fantastico colpo di nuca che sta per fare Aebischer. Non solo cambia del tutto direzione alla palla - non si limita a prolungarne la traiettoria come la maggior parte delle volte fanno le spizzate - ma l’abbassa proprio per farla cadere sui piedi di Sansone, che nel frattempo è passato davanti al suo di marcatore, Rodrigo Becao.
Quando si è presentato ai tifosi del Bologna, in provenienza dallo Young Boys, Aebischer ha detto che la sua caratteristica migliore è “la visione di gioco”. Mentre si muove sperando che Posch, con la palla tra i piedi, lo veda e lo serva in area, Aebischer gira la testa solo una volta verso sinistra (oggi si parla di screening quando i giocatori si guardano intorno, e chissà se c’è qualche giocatore che gioca senza mai guardarsi ai lati) e non sono neanche sicuro che Sansone e Becao rientrino nel suo campo visivo.
Forse è una di quelle occasioni in cui si dice che un giocatore sente il compagno alle spalle, oppure che ha gli occhi dietro la testa. In questo caso, se avesse avuto gli occhi dietro la testa avrebbe dovuto chiuderli perché ci stava finendo addosso la palla.
Aebischer colpisce la palla con la parte del cranio superiore all’orecchio destro, la sbuccia, lascia che la palla sfreghi la sua testa come un cerino sulla carta ruvida che crea la scintilla, come un limone che perde frammenti della propria scorza nella padella in cui sta cuocendo il pesce.
È davvero un peccato che il gol venga annullato per fuorigioco di ginocchio di Sansone.
Meno bella, ma più importante, la spizzata con cui Schouten regala la vittoria al Bologna a dieci minuti dalla fine. Sul calcio d’angolo di Orsolini lo marca Beto, ma Aebischer va a saltare esternamente al primo palo, oltre il lato piccolo dell’area piccola, e salta anche parecchio in alto.
Oltretutto, come si capisce benissimo, Schouten non ha in mente il tiro, né una spizzata come quella prima con cui Aebischer ha tagliato la palla, ma un vero e proprio colpo di testa all’indietro. Perfetto per scavalcare i sei giocatori bianconeri alle sue spalle - nell’ordine: Beto, Success, Becao, Wallace, Bijol, Ebosse; più Arslan sul palo e Silvestri sulla riga di porta - e arrivare sulla testa di ben due compagni di squadra.
Alla fine la palla è così giusta che Posch per segnare deve spingere Ferguson, che altrimenti avrebbe segnato al posto suo.
In un’intervista alla Gazzetta, in cui tra le altre cose Schouten racconta di chiamarsi Jerdy perché di Jordy ce n’erano già troppi e i suoi genitori hanno pensato a una variazione, dice che l’importante è come lo interpreti il calcio: «È un po’ un linguaggio del corpo: mi piace avere il controllo della situazione». Che non è chiarissimo come concetto, però se parliamo di linguaggio il suo colpo di testa è un gigantesco punto esclamativo in mezzo a un’area di rigore affollata.
Schouten mette quella palla al centro di testa, colpendola all’indietro, senza vedere, con un precisione che non può corrisponde alla sua “visione di gioco” - è del tutto di spalle e non si gira mai da quando Orsolini calcia - quanto piuttosto a un’idea astratta di come sarebbero dovute andare le cose, a uno schema magari provato in allenamento ma impossibile da riprodurre fedelmente senza convincere gli avversari a comportarsi proprio come vorresti te.
È come se Schouten avesse fatto un disegno ad occhi chiusi e fosse venuta fuori la Gioconda.
Eppure nessuno in campo sembra rendersi conto di quello che ha fatto Schouten. Esultano tutti con Posch che passa dietro la porta e si allontana, persino Orsolini che gli ha messo la palla in testa - anche lui immaginando proprio uno sviluppo del genere - e che Schouten intercetta, si separa subito dal suo abbraccio per andare in direzione del goleador.
Chissà magari un giorno avremo più sensibilità nei confronti delle spizzate, uno dei gesti tecnici apparentemente facili ma in realtà più difficili in assoluto. Rispetto per i maestri Aebischer e Schouten - un altro visionario della spizzata è Sergej Milinkovic-Savic che con le sue spizzate quest’anno ha già mandato più volte in porta Ciro Immobile - per quei giocatori che hanno il coraggio e la follia per giocare a calcio dando le spalle a tutto: agli avversari, ai compagni e persino alla cosa più importante in assoluto: il gol.