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Julio Ocampo
Aduriz viene da lontano
29 mar 2016
29 mar 2016
Siamo andati ad Antiguo, nel club che ha cresciuto Xabi Alonso, Mikel Arteta e Aritz Aduriz.
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Julio Ocampo
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Non sempre nella vita l'età segnata all'anagrafe ha grande importanza. Il più delle volte è l'uomo a decidere se fermarsi o andare avanti, considerare finito un percorso o meno. In questa diatriba comanda soltanto la testa, un segreto universale che ha studiato bene Aritz Aduriz, che a 35 anni è diventato il bomber spagnolo più prolifico di quest'anno: 31 gol, 0,7 a partita, in quella che ha i contorni di una stagione magica.

 

A muovere le motivazioni del centravanti basco due grosse sfide: vincere l’Europa League col suo Athletic e guadagnarsi un posto nella lista di Vicente Del Bosque per gli Europei di Francia. Aduriz si candida insieme a Morata (0,25 gol a partita), Diego Costa (0,4) e Paco Alcácer (0,3) a raccogliere l’eredità, ormai eterna e indimenticabile, di Fernando Torres e David Villa. Ma anche quella più identitaria, basca, di altri che hanno giocato al centro dell’attacco de

: Gainza, Iriondo, Zarra, Venancio, Panizo, Valverde, Urzáiz, Etxeberria, Salinas e Fernando Llorente. Del Bosque, del resto, descrivendo Aduriz a Marca, dice: «Parliamo del prototipo di quello che deve essere un

».

 

Aduriz, come Benjamin Button, ha il dono della giovinezza alla rovescia. Esordisce in Champions League a 30 anni circa col Valencia e fa altrettanto con la Nazionale iberica, che dopo una partita contro la Lituania non lo richiama più. Aduriz sembrava un giocatore ai titoli di coda già qualche anno fa, ma tornando a Bilbao per la terza volta in carriera, nel 2012, si è aperto lo spazio per riscrivere la propria epopea calcistica.

 

Con Marcelo Bielsa in panchina, la “volpe del San Mames” ha segnato 18 gol in 44 partite. Gli stessi che ha fatto l’anno successivo con Ernesto Valverde. Niente a che vedere con i suoi 28 centri nella stagione 2014/15 con cui zittì i nostalgici che tremavano ipotizzando un Athletic senz’anima dopo le cessioni di Javi Martínez (al Bayern Monaco) e Fernando Llorente (alla Juventus).

 

Altro che crollo. La squadra di Valverde, galvanizzata dalla mistica che la rende unica (ci giocano solo baschi), ha vinto la Supercoppa di Spagna addirittura contro il Barcellona dei marziani soprattutto grazie alle prestazioni di Aduriz, autore di una tripletta nella partita di andata e del gol del pareggio in quella di ritorno al Camp Nou. E non è stata un’impresa qualsiasi. L’Athletic infatti non festeggiava un titolo da ormai oltre trent’anni e anche per Aduriz si è trattato del primo, e fin qui unico, trofeo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=0ec3OoiZS_c

Una tripletta ne “La Catedral” nel San Mames nella finale di un trofeo, contro il Barcellona campione d’Europa.


 

Inizialmente la favola di Aduriz non era riuscita ad attirare l’attenzione del ct della Spagna, la cui filosofia di gioco aveva dimostrato negli ultimi anni di poter fare a meno di un 9 classico.

 

Dopo il fallimento di Brasile 2014 era stata criticata l’assenza di un piano B in caso di fallimento di quello principale, che consisteva nel creare e attaccare gli spazi attraverso il lavoro di Silva Cazorla, Iniesta, Pedro, Fabregas e Mata. In alcune circostanze sembrava mancare un punto di riferimento offensivo, un giocatore bravo ad attaccare l’area e ad aprire degli spazi per i trequartisti.

 

In questo senso forse va letta la nuova chiamata di Aduriz, chiamato in questi giorni da Del Bosque in Nazionale dopo sei anni dall’ultima volta. Erano addirittura 44 anni che la Nazionale spagnola non chiamava un attacante di 35 anni. Gli ultimi sono stati: Luis Suárez, Gento, Puskas, Di Stéfano. Il basco può fornire l’alternativa ad un punto di riferimento per la profondità, rendendo forse più cinico e flessibile il telaio de

.

 



A Udine, contro l’Italia, Aduriz è partito titolare, giocando da punto di riferimento offensivo attorno al quale ruotava Morata per attaccare lo spazio. Dopo 70 minuti il centravanti basco ha trovato il suo primo gol in Nazionale, mettendo in rete una corta respinta di Buffon dopo un colpo di testa di Morata.

 

https://www.youtube.com/watch?v=HegJ8FPVZmQ

Un gol in tap-in a 35 anni: c’è qualcosa di più “Aduriz”?


 

 

Il basco è un giocatore completo: micidiale di testa, bravo nelle sponde, ottimo con entrambi i piedi e intelligente in area di rigore. Umanamente invece Aduriz è una persona umile e introversa, che rispecchia per certi versi il cielo plumbeo della sua città. Quest’anno capitale europea della cultura, San Sebastian è un gioiello stretto tra mare e montagne, la cui impossibilità di espansione ha sviluppato l’ingegno degli artisti e dei calciatori. Famosa tanto per la sua gastronomia (soprattutto per i

, stuzzichini simili ai

veneziani) che per le sue spiagge, come

, scelta da Eduardo Chillida per la sua più emblematica opera d’arte:

.

 


«Non volevo altro che pettinasse l’aria che entra nella città».


 

 

Aduriz è nato ad Antiguo, il quartiere che rappresenta il nucleo antico della città di San Sebastian fondato nel dodicesimo secolo. A metà ‘800, con l’arrivo delle industrie (soprattutto quella della birra El Leon), il quartiere si popola di operai che ne segnano l’identità. Ad Antiguo, dal 1982, esiste anche la società dell’Antiguoko, un club dilettantistico popolato da personaggi fiabeschi. Pur avendo una storia relativamente breve, il club ha formato calcisticamente i due centrocampisti baschi più forti degli ultimi anni, Xabi Alonso e Mikel Arteta, e il più grande centravanti: Aritz Aduriz, appunto.

 

Abbiamo incontrato Gorka Azpeitia Galparsoro, coordinatore generale della società, per parlare di questa straordinaria, e per certi versi inspiegabile, concentrazione di talenti in un piccolo quartiere di San Sebastian.

 


Lo stadio dell’Antiguoko, K.E.


 

«La prima pietra venne messa nel 1982, con mio padre come fondatore principale: siamo nati dal fallimento di un vecchio club chiamato Antiguo» ci dice Galparsoro. «Il nostro principale traguardo è lavorare con la

: ci rende unici». Eppure non ci sono delle strutture superiori alla media, anzi: «abbiamo soltanto un campo di allenamento che viene usato addirittura da 50 squadre. Per questi motivi non lottiamo per avere una squadra in

o

». Forse perché a quel punto il fascino non ci sarebbe più, e la società sarebbe una delle tante.

 

«Lavoriamo soltanto sui giocatori, ci prendiamo cura di loro. Li aiutiamo a crescere perché cosi cresciamo pure noi, ma senza mai dimenticare chi siamo. La nostra squadra migliore gioca in

, e si trova sopra ad Eibar e Real Sociedad. Poi abbiamo altre categorie (

,

). In tutto undici rose e sei scuole con i più piccoli (

e

)».

 

Galparsoro parla in modo chiaro, difende a spada tratta l’importanza di un’idea: quella di godersi il percorso senza guardare troppo al futuro e ai risultati. «Così abbiamo dimostrato di poter giocarcela con chiunque», anche con club meglio attrezzati e con budget storicamente più grandi, «Noi invece chiediamo la quota d’iscrizione ai genitori».

 

Poi mi indirizza al loro sito internet per trovare la formazione della prima partita ufficiale, contro lo Sporting di Herrera, il 26 settembre 1982: Alberto García, Koldo Azkue, Iñaki Villegas, José Ortúñez, José Cuellar, Iosu Linazisoro (Joseba Irazusta), José Mari Yubero, Iñaki Vázquez, Pedro Sarasola, Juan Grado y Miguel Moreiro (Félix Martín). Risultato: 3-0 per loro.

 



Quello che rende speciale l’Antiguoko è il suo grande lavoro di scouting. È grazie alla cura e all’attenzione di questo tipo di società che i club più grandi dei paesi baschi, come la Real Sociedad e l’Athletic Club, possono giocare ad alti livelli senza perdere la propria connotazione identitaria. L’Antiguoko arriva a un livello inedito di massimizzazione delle risorse: «Abbiamo scoperto molti giocatori, 85 dei quali si ritrovano attualmente tra la prima e la terza divisione». Tra tutti spiccano naturalmente Xabi Alonso e Arteta, che giocano rispettivamente in Germania e Inghilterra; Iraola in America (al New York City); ma anche Jon Ceberio, acquistato pochi mesi fa dal Bolton.

 


Nella stessa squadra dell’Antiguoko: Andoni Iraola, Xabi Alonso e Aritz Aduriz.


 

Questi trasferimenti finiscono per oliare il lavoro di scouting del club, rendendolo autosufficiente. L’Antiguoko infatti fa bingo ogni volta che i suoi ex giocatori vengono venduti in un campionato straniero, o quando gli capita di alzare un titolo. «Prendiamo le agevolazioni del meccanismo di solidarietà con i nostri ex, che ci fanno guadagnare dei soldi. Speriamo che Xabi vinca la Champions con il Bayern», confessa il coordinatore di questa meravigliosa casa che, attraverso il pallone e la furbizia legale, rende più felici i bambini. Attualmente ce ne sono oltre 200 tra i 10 e i 18 anni.

 

Il meccanismo di solidarietà, che fa parte del regolamento FIFA, stabilisce che le società in cui è cresciuto un giocatore fino ai 23 anni debbano ricevere il 5% dell’ammontare risultante da un’eventuale cessione tra squadre di paesi diversi. L’Antiguoko ha condiviso con il Real i ricavi provenienti dal meccanismo di solidarietà per i movimenti di Xabi Alonso: Spagna-Inghilterra-Spagna-Germania.

 

Sia lui che Arteta hanno fatto entrare in cassaforte oltre un milione di euro (il Leganès con l’arrivo di Eto’o all’Inter ne incassò 100mila). «Con Aduriz ancora niente», scherza Galparsoro, che sogna il successo del giocatore che nacque vecchio ma morirà giovane e con la palla tra i piedi. La maglia della Nazionale indossata agli Europei potrebbe essere la chiusura fiabesca della sua storia, il cerchio magico della sua vita sportiva.

 

Dopo aver vinto tutto è chiaro che il gruppo spagnolo va rigenerato attraverso l’innesto di giocatori della nuova generazione. Ma il ringiovanimento della rosa non può diventare un’ossessione, come lo fu in passato per Javier Clemente - che mandò in pensione la cosiddetta

- e Luis Aragonés - che fece altrettanto con Raùl. Qualcuno può storcere il naso per l’anagrafe ma che Aduriz sia, attualmente, il miglior attaccante spagnolo sembra essere fin troppo plateale.

 

Aduriz e Antiguoko stanno per scrivere un nuovo capitolo. Sicuramente il più romantico.

 

 

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