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Classificone Fabrizio Gabrielli 16 dicembre 2016 5'

Adebayor in altre 12 immagini

Qualcuno affidi a quest’uomo le chiavi di un attacco.

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Due anni fa ho scritto un pezzo su Emmanuel Adebayor: voleva essere un’esplorazione dei suoi social e ne è venuto fuori una specie di ritratto. Avevo scelto dodici immagini che potessero essere significative: nel farlo mi sono accorto che sul grande arazzo del suo percorso di vita, il pallone finisce per essere un pretesto per sottolineare quanto sia strabordante il suo lifestyle.

 

Visto che da quel momento Ade è scivolato in una sorta di dimenticatoio calcistico (aveva avuto un buon esordio di stagione con il Tottenham, poi il suo apporto si è fatto sempre più marginale fino all’inevitabile conseguenza della rescissione del contratto, seguita da un semestre sabbatico e un’esperienza dimenticabilissima al Crystal Palace), la sua attività principale è diventata proprio pubblicare foto su Instagram: un invito a nozze. Ne ho scelte altre dodici, realizzando che tra sussurri melodici e urla disperate si nasconde un sottotesto che si fonde in un unico coro polifonico: “Ma voi siete pazzi a non affidarmi le chiavi del vostro attacco”.

 

 

1.

 

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Sarei tentato di giocarmi subito la più metaforica tra le sue foto recenti, ma farò uno sforzo e la terrò per ultima. Iniziamo quindi da questo scatto nella sua casa-quartier generale-batcaverna di Lomé: con una mise a metà strada tra il predicatore pentacostale e Michael Douglas in “Un giorno di ordinaria follia”, Ade ci augura una buona settimana con un tono che immagino ai limiti della schizofrenia. L’astinenza dai campi è in questo momento già abbastanza lunga: bisogna pur riempire le proprie giornate con attività insondabili, che in quanto tali contemplano un outfit elegante nel suo essere casual. La cravatta comunica professionalità e affidabilità, ma come diceva giustamente mia nonna, pace all’anima sua, non vi fidate mai di chi indossa camicie a mezze maniche.

 

 

2.

 

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Mi pare pacifico che l’insegnamento principale di Ade, in quanto a fashion, è che si può sacrificare il buon gusto sull’altare della pragmaticità. Un marsupio camouflage portaborracce è un orpello più cool di quello che potrebbe sembrare dal nome, e anche indossare dei leggins iperattillati sotto i pantaloncini di gioco, pensateci: come avete fatto finora senza?

 

Siete già su Amazon, vero?

 

 

3.

 

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Cosa c’è oltre una carriera da calciatore? Intendo dire: dopo. Ade ha le carte in regola per diventare l’anello di congiunzione tra Vivienne Westwood e John Galliano. Questa giacca, che forse potreste trovare su Etsy, con un po’ di creatività potete replicarla anche a casa. Vi basterà prendere una giacca qualsiasi e riempirne gli interstizi di insignificanza con ciondoli di Santi Patroni, cornetti anti-malocchio, scheletri ciondolanti come quelli che negli anni Ottanta attaccavamo sullo specchietto retrovisore delle nostre utilitarie, e fantastici diademi che potrete forgiare secondo il vostro gusto: Ade ci ha messo una foto di qualche parente e una cadillac, voi potreste infilarci una foto del pudding di Natale, di Jean-Claude Van Damme o, perché no, di Ade stesso.

 

 

4.

 

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In “Calci al Vento” Ezio Vendrame racconta di aver ricevuto a casa sua Gianfranco Zigoni, di averlo perso di vista e di averlo ritrovato davanti a un quadro che parlava da solo. Allora Vendrame gli ha chiesto cosa stesse facendo, e Zigoni gli ha risposto di levarsi dal cazzo perché era la prima volta che un quadro gli rivolgeva la parola e voleva finire quella conversazione. Questo per dire che a) i calciatori (a volte) sono grandi amanti dell’arte, b) i calciatori (spesso) sono pazzi nel senso di decontestualizzati e quindi c) non troverei assurdo sapere che Adebayor parli tutta la notte con la sua collezione di statue d’arte naif africana chiedendogli com’è che nessuno abbia ancora deciso di puntare su di lui.

 

5.

 
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Perché sarebbe magnifico se gli concedessero l’opportunità di fare una specie di tour di commiato: tre partite qua, due là, spostamenti col furgoncino attrezzato, maglie celebrative, amici che pisciano durante le soste, la vita della rockstar che abbiamo sempre sognato un po’ tutti di fare.

 

 

6.

 

 

 

Alla fine della fiera Ade qualcosa da insegnare ce l’ha ancora. Sarà un po’ arrugginito, magari, però io un seminario “Come smarcarsi dal difensore”, 4 CFU, lo seguirei sempre volentieri.

 

7.

 

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Avrà perso qualcosa in mobilità, che c’entra. Però è uno dei pochi al mondo a possedere uno SpyRider, un aggeggio che è l’evoluzione malvagia del Segway ma più stiloso, lo usa per muoversi all’interno della sua magione ma nessuno vieta che possa farci dei gran giri per la piazza principale di Sassuolo, o nei quartieri tutt’attorno all’Ezio Scida.

 

Quando Ade gira in SpyRider intorno a lui va in scena l’happening antropologico della Processione del Santo: iconografie sventolate dai fedeli, rami di palma al cielo, la banda del paese alle sue spalle.

 

 

8.

 

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Invece eccolo qua, Ade, costretto a un riposo forzato, a una cattività, a un torpore dal quale svegliarsi è, e sarà col tempo, sempre più complicato: non posso sopportare di vederlo sballarsi con accostamenti cromatici lisergici, ridotto alla noiosa routine di una carambola su un panno abbastanza coatto o all’autocelebratività banale di due sedie da salotto imbottite come se fossero maglie della Nazionale.

 

 

9.

 

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Aiutiamolo a liberarsi dalla gabbia di autocommiserazione in cui rischia di finire imprigionato per sempre. No, Ade, non fare quello che ride per dissimulare: non sei affatto il verme che si annida in una mela bacata. No, Ade, non c’era davvero nessun bisogno di costruirti una Casa Mela in giardino.

 

 

10.

 

 

 

Questo. Uomo. Ha. Bisogno. Di. Tornare. A. Giocare.

 

Non possiamo permettere che i ripiani dei mobili di questa stanza rimangano così spogli: servono più trofei, più foto.

 

Ci corre l’obbligo morale di sottrarlo a una vita riempita da hoverboards, biciclettine a motore, danze melliflue.

 

Si sta davidlynchizzando. Salviamolo.

 

 

10.

 

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Alla fine però gli altarini finiscono sempre per scoprirsi: e basta imbattersi in una foto come questa per vedere il velo di Maya squarciarsi inesorabile. In un istante lo capiamo come se fosse l’assunto più chiaro del mondo perché nessuno vuole Adebayor.

 

Perché è una figura capace di eclissare.

 

In questa foto chiunque farebbe difficoltà ad affermare che il Re dei Minas non è quello a destra. Ade arriva e ti spodesta.

 

Onestamente, se foste l’allenatore di una squadra lanciata, vorreste mettere il vostro cannoniere principe nella difficile posizione di chi sta per farsi detronizzare?

 

12.

 

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Ade, delle vostre paure, è consapevole. Ma conosce anche i vostri desideri, che sono i suoi. E ve li comunica con un’iconografia pregna di sottotesti.

 

Come la Bella Addormentata Nel Bosco, Ade giace in un sonno senza sogni perché è vittima di un incantesimo. La Strega Cattiva che gli ha messo il veleno sull’ago dell’arcolaio non vuole che torni a spaccare le porte. Ma lui è là, vigilmente incosciente.

 

In questa foto c’è la metafora perfetta della meravigliosa vita di merda che sta conducendo Adebayor ultimamente: supino su un pagliericcio che sembra di fortuna ma costa più del vostro motorino, coperto con un manto di zebra, si gode un riposo sine die.

 

Le Maserati, le Rolls-Royce, la moto turbobolide che sono parcheggiate alle sue spalle sono tutte le squadre che Ade, potenzialmente, potrebbe scegliere di guidare.

 

Magari sta solo aspettando che arrivi un Principe Azzurro a svegliarlo.

 

O che si stufi di starsene in panciolle, per estrarre le chiavi dalla tasca e scegliere come e con chi rimettersi ancora in moto.

 

 

Tags : emmanuel adebayorsocial watch

Fabrizio Gabrielli scrive e traduce dei libri. Ha tradotto Lugones e collaborato con i blog di Finzioni, Edizioni Sur e Fútbologia. Ha scritto "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012) e "Cristiano Ronaldo. Storia di un mito globale" (66thand2nd, 2019). Scrive sull'Ultimo Uomo dal 2013.

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